di Tonino Bucci
Dov'è la vittoria? A parte quella ottenuta dall'undici azzurro nella semifinale contro i tedeschi non se ne vedono altre. Al vertice europeo di giovedì la partita contro la Germania - se la metafora calcistica è consentita - è andata in tutt'altro modo. L'euforia dei mercati ha ridato per il momento un po' di respiro alla moneta europea e gli spread  sono calati. Ma se si analizza nel dettaglio quel che Monti (forse) si aspettava di ottenere dal braccio di ferro con la Germania di Angela Merkel e quel che di fatto ha ottenuto, la vittoria strombazzata nei titoli dei giornali è più che altro una vittoria di cartapesta. Lo scopo del vertice era mettere a punto dei meccanismi di stabilizzazione finanziaria che mettessero a sicuro la zona euro. E siccome l'assetto della moneta unica è messo a repentaglio dal fatto che i capitali rifluiscono dagli istituti creditizi dei paesi indebitati verso quelli tedeschi, il settore sul quale si è intervenuto è proprio quello delle banche. L'accordo raggiunto prevede l'unione bancaria, da realizzarsi al fianco di quella monetaria già esistente. Come dovrebbe funzionare questo sistema unificato a livello europeo di assicurazione dei depositi bancari? Semplice, con il passaggio della supervisione sulle banche dalle autorità nazionali (come è accaduto finora) alla Banca centrale europea. Non è un dettaglio. Il Fondo europeo di stabilità (il famigerato Esm) potrà intervenire (col denaro dei contribuenti) direttamente nelle operazioni di salvataggio e ricapitalizzazione delle banche solo dopo - e non prima - che sia avvenuto questo trasferimento di sovranità dai governi nazionali alla Bce. E chi assicura che il sistema finanziario, così organizzato, sarà capace di autoregolamentarsi? Alla crisi - innescata da operazioni azzardate sui prodotti derivati - le banche sono sopravvissute grazie a generose iniezioni di denaro pubblico nelle loro casse. Con gli accordi appena raggiunti, lo strapotere del capitale finanziario rimane immutato, sotto il controllo diretto della Bce, quindi svincolato dai governi nazionali e da qualsiasi organismo democraticamente eletto.
Veniamo all'altro punto dirimente. Sarà sufficiente l'unità bancaria - come si è più volte ripetuto in questi giorni - a porre un freno agli attacchi speculativi sui titoli di stato dei paesi più deboli dell'Ue? Nel dettaglio, il fondo europeo Esm potrà intervenire sul mercato dei titoli pubblici per stabilizzarne i rendimenti, a patto però che i paesi interessati «rispettino le raccomandazioni specifiche per paese e gli altri impegni, tra cui i rispettivi calendari, nell'ambito del semestre europeo, del patto di stabilità e crescita e delle procedure per gli squilibri eccessivi. Tali condizioni dovranno figurare in un memorandum d'intesa». In altre parole, il meccanismo blocca-spread può intervenire per riequilibrare i differenziali di rendimento dei titoli di stato solo nel caso che i paesi in questione applichino i piani di rientro dal debito previsti dal Fiscal compact. Non c'è traccia della medicina che avrebbe dovuto salvare l'euro, né della misura che «Monti si sta vendendo come una svolta», scrive Sergio Cesaratto su politica&economiablog (http://politicaeconomiablog.blogspot.it/2012/06/monti-di-paracetamolo-ovvero-il-super.html#more). Tutt'al più, quello che si vede è solo "paracetamolo”, tachipirina buona appena a far abbassare temporaneamente la febbre. «Lo Esm ha infatti risorse limitate tenuto conto che i quattrini li mettono anche i medesimi paesi da sostenere, che Grecia e Portogallo avranno ancora bisogno di prestiti, mentre la sfida sul fronte dei debiti bancari spagnoli e di quelli pubblici dell’Italia è formidabile. Umiliante per l’Italia è inoltre il fatto che l’intervento non è automatico qualora gli spread toccassero livelli ancor più insostenibili degli attuali, ma su richiesta e a condizione di sottoscrivere un “memorandum di intesa”, dunque se non è la Troika poco ci manca». Se c'è un vincitore, non è Super Mario alias Monti. Semmai i vincitori sono la Bce e la Bundesbank. «La via indicata da Schäuble, il ministro delle finanze tedesco, è di un “zar del bilancio” europeo - scrive sempre Sergio Cesaratto - che esautori i parlamenti nazionali dalle decisioni di finanza pubblica e imponga piani di rientro dal debito, una strada esiziale per l’Italia. Ma Monti la sosterrà potendo così nel frattempo completare la sua opera a colpi di privatizzazioni. Allora meglio fuori dall’euro subito: con la ripresa dell’industria italiana potremmo persino aiutare la Germania a sostenere un po’ la Spagna».
E, in effetti, o ci si piega alle condizioni capestro di rientro dal debito (che però sono talmente gravose da rendere il pareggio di bilancio una chimera) oppure si rischia di finire fuori dall'euro per fallimento da spread stratosferici. Anche per la rivista "lavoce.info" il concetto non cambia. «Il risultato del vertice prevede proprio che per usufruire dell’intervento dello Esm, anche nella forma di acquisto di titoli sul mercato, si passi tramite la solita trattativa che porti alla firma del Memorandum: quindi non c’è nulla di più di quanto già previsto dallo statuto dello Esm. In parole povere, sul meccanismo anti-spread la signora Merkel non ha concesso nulla» (http://www.lavoce.info/articoli/pagina1003156.html).  Chi ha ottenuto di meno è stata l'Italia. Monti sperava che l'Esm ottenesse oltre al potere di intervenire nell'acquisto dei titoli di stato, anche quello di potersi finanziare direttamente alla cassa della Bce senza dover passare per la procedura di richiesta di aiuto da parte di un governo, il che comporta - come noto - la sottoscrizione di un Memorandum sotto la supervisione della Troika (come è avvenuto per la Grecia). «Il vero vincitore della partita - scrive Angelo Baglioni sempre su lavoce.info - è la Bce, o meglio la Bundesbank. Da un lato, la Bce ottiene la supervisione bancaria, che le consente di estendere il suo ruolo istituzionale. Dall’altro, riesce ad evitare che le sia conferito il ruolo di prestatore di ultima istanza nei confronti degli stati della zona euro, ruolo sempre fortemente osteggiato dalla banca centrale tedesca». Questo atteggiamento della banca centrale rappresenta un «ostacolo formidabile». L’unico meccanismo anti-spread veramente efficace sarebbe «la fissazione di un target sugli spread da parte della Bce, con l’impegno ad intervenire sul mercato per farlo rispettare. La banca centrale è l’unica istituzione dotata delle risorse e della flessibilità per mettere un freno agli spread. Tale compito rientra nella sua responsabilità di assicurare condizioni monetarie uniformi nell’area euro».
Se le cose stanno così, i principali responsabili dell'instabilità della zona euro sono proprio i custodi dell'ortodossia. Le regole e i meccanismi sui quali oggi è costruita l'Ue creano o accentuano le divergenze tra le singole economie dei singoli paesi. Sfuggirebbe l'essenziale della crisi europea se non se ne cogliesse - come invita a fare l'economista Joseph Halevi - la dimensione «intercapitalistica». I conflitti tra diverse aree capitalistiche sono antecedenti alla nascita dell'Unione Europea. Tuttavia la costituzione dell'euro non solo non ha cancellato, ma ha esasperato le divisioni tra le economie del Nord Europa che continuano ad accumulare surplus commerciale e le economie periferiche dell'Europa meridionale che invece continuano a indebitarsi verso l'estero. Nei Trattati europei non c'è nessun elemento che possa far pensare a una futura evoluzione dell'Europa in uno Stato federale. Come a dire che - all'interno della cornice istituzionale esistente - non è immaginabile una soluzione al conflitto tra aree capitalistiche centrali e aree capitalistiche periferiche. Nell'assetto monetario dell'euro, così come è attualmente strutturato, non s'intravede possibilità per i paesi più deboli di recuperare il divario con le economie più forti. Lo stesso presidente dell'Ifo di Monaco (Institut für Wirtschaftsforschung), il tedesco Werner Sinn, propone l'uscita temporanea dall'euro dei paesi più indebitati, poiché solo fuori dalla moneta unica potrebbero ricominciare a crescere.  La ricetta è quella nota: «uscire,svalutare e tornare di nuovo dentro» (http://vocidallagermania.blogspot.it/). Il ritorno alla moneta nazionale per una fase transitoria consentirebbe ai paesi europei in difficoltà di recuperare tramite la svalutazione un maggiore export e rilanciare la crescita - a rischio, però, di effetti sociali devastanti nel caso la svalutazione fosse scaricata esclusivamente sui redditi medio-bassi. Forse le economie dei paesi periferici dell'Ue tornerebbero a crescere, ma a spese dei lavoratori, cioè per effetto di salari più bassi e quindi più "competitivi" rispetto a quelli dei lavoratori dei paesi più forti. Werner Sinn non nasconde neppure il pericolo di un trasferimento della responsabilità sui debiti bancari a livello europeo. Le passività finanziarie degli istituti di credito sono circa tre volte i debiti pubblici. «Se avverrà, alla fine sarà a carico dei contribuenti».
L'alternativa? C'è, eccome. Ma bisognerebbe far saltare il banco. Il Forum «Un'altra strada per l'Europa» che s'è svolto pochi giorni fa al Parlamento europeo, avanza cinque proposte (che si possono leggere su www.sbilanciamoci.info ). «Per affrontare la drammatica accelerazione della crisi finanziaria europea – segnata dall'interazione tra crisi bancaria e crisi del debito pubblico – la Banca centrale europea deve agire immediatamente in qualità di prestatore di ultima istanza per i titoli di Stato».  Secondo, «è necessario un radicale ridimensionamento della finanza, con l’introduzione della tassa sulle transazioni finanziarie, limiti alla finanza speculativa e ai movimenti di capitali e con un'estensione del controllo sociale, in particolare sulle banche che ricevono salvataggi pubblici». Terzo, occorre «rovesciare le politiche di austerità in tutti i paesi d’Europa e rivedere i termini dei Memorandum imposti ai paesi che hanno richiesto “aiuti d’emergenza” dall’Unione europea, a cominciare dalla Grecia; i pericolosi vincoli del “Patto fiscale” vanno eliminati in modo che i governi possano tutelare la spesa pubblica, il welfare e i salari, mentre l'Europa deve assumere un ruolo maggiore per stimolare la domanda, promuovere la piena occupazione e avviare uno sviluppo equo e sostenibile». Quarto, un «new deal verde» ovvero una transizione ecologica delle capacità produttive. Infine, uno sviluppo della democrazia a tutti i livelli. «L'Unione europea va riformata e la concentrazione di potere nelle mani degli Stati più potenti – così come si è realizzata con la crisi – va rovesciata. L'obiettivo è una maggiore partecipazione dei cittadini, un ruolo più incisivo del Parlamento europeo e un controllo democratico molto più significativo sulle decisioni chiave».

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