di Daniela Preziosi
Il neo sindaco, in difficoltà con la giunta, non mantiene la promessa e si defila con una email. Lucarelli: sui beni comuni abbiamo l'esperienza più avanzata d'Europa.
Altro che antipolitica, qui c'è l'anticiclone Caronte. Fuori fa trentadue gradi all'ombra, smonterebbero anche un mulo. E invece in quattrocento (330 ai tavoli e 70 sciolti negli appuntamenti in plenaria) restano tutto il giorno dentro il Teatro Due, neanche la pausa pranzo, per il secondo appuntamento nazionale di Alba, alleanza lavoro beni comuni ambiente. Sono parecchi meno di quella prima volta a Firenze, a fine aprile, ma pagano la scelta di un appuntamento estivo. E di una Parma troppo lontana da tutto il sud. Eppure volevano stare qui perché «questa città è la metafora del paese. È come un'automobile che dondola sul burrone. Il suo debito pubblico è sugli 850 milioni», spiegano.
Sul limite della bancarotta, i cittadini si sono consegnati nelle mani di un giovane a cinque stelle, Federico Pizzarotti. Che però da un mese è un sindaco paralizzato e ammutolito. Il «capo» Beppe Grillo non ha gradito le sue prime scelte, e le ha silurate. E ha messo un veto sulle sue apparizioni pubbliche: consapevole che presto sarà proprio il Pizzarotti a svelare a tutto il paese il bluff delle cinque stelle, amministrativamente parlando. Ecco perché il movimento civico aveva voglia di sfidare il movimento 5 stelle a dibattito. Ieri il sindaco era annunciato al Teatro Due, ma non si è fatto vedere, giustificandosi per mail con gli organizzatori, che però se lo aspettavano: «La giunta ancora non è completa, ma il vero problema è che ancora Pizzarotti non ha detto qual è la sua idea per salvare la città. Non parla con i suoi, non comunica con la macchina dell'amministrazione, non sa le scadenze che incombono. E non ha neanche l'umiltà di farsi consigliare», racconta Roberta Roberti, candidata della lista Parma bene comune.
Pizzarotti a parte, anche altri nomi noti non sono arrivati. Non è arrivato Marco Doria, sindaco di Genova, che ha mandato un messaggio affettuoso e interessato «agli esiti del vostro lavoro». Non è arrivato il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, impegnato a Bari in un dibattito con Antonio Di Pietro e con i colleghi Emiliano e Orlando. Anche lui ha mandato un messaggio su quello che ha in mente: «Serve una svolta a 360 gradi che coinvolga la società civile, i comitati, le associazioni, per la rifondazione della politica stessa». Pensa a una rete di sindaci e amministratori per «un nuovo corso del paese». Serve un movimento, insomma, e qui a Parma si ragiona su come organizzarlo. E se dovrà partecipare alle elezioni politiche del 2013.
Se ne parlerà nella plenaria di stamattina. Il sociologo Marco Revelli non è potuto venire, ma sul manifesto ha proposto una «Syriza italiana» sul modello della sinistra unitaria greca. Paolo Ferrero, di Rifondazione, è arrivato a consegnare il suo sì. «Non dobbiamo correre», spiega Alberto Lucarelli, assessore ai beni comuni della giunta partenopea e fra gli estensori del manifesto fondativo del nuovo soggetto politico. «Intanto abbiamo già messo a punto un programma: scuola, beni comuni, no attacco alla costituzione, no al premierato e al fiscal compact, diritto al lavoro. Quanto alla proposta di una Syriza, dobbiamo riconoscere che noi in Italia abbiamo l'esperienza più avanzata in Europa sulla rete dei beni comuni e delle amministrazioni, ben oltre l'esperienza del Front de gauche francese e persino oltre quella della sinistra greca. Possiamo fare meglio e di più. Dobbiamo dialogare non solo con i partiti di sinistra, ma con quella parte dell'elettorato Pd che ci guarda. E ci ha già votato alle amministrative».
I partiti affondano nelle sabbie mobili: il Pd è indeciso fra l'alleanza con i centristi e quella con la sinistra alleabile (Sel e Idv), la sinistra alleabile è in attesa del verdetto del Pd, la sinistra antagonista a sua volta aspetta il verdetto di Sel e Idv, e tutti via procedendo in trenino che s'impantana, vagone dopo vagone.
Alba non si attacca al convoglio, per ora, ma fa i conti con l'organizzazione, parola esotica nell'era di Grillo, e tuttavia imprescindibile: «Ho molti amici che mandano i loro contributi al sito, ma se poi non gli rispondiamo ce li perdiamo per strada» è uno dei temi di discussione dell'ultimo gruppo che si riunisce a sera, mentre nell'altra sala ancora Sandro Plano, dissidente Pd e presidente della Comunità montana della Val Susa discute del libro sul Tav di Livio Pepino e Revelli, Non solo un treno.
Il primo giorno si lavora sodo con metodo party, acronimo di «partecipazione attiva riunendo tavoli interagenti». Diciassette tavoli da 15, divisi in rossi e verdi, i primi discutono di Europa e lavoro, i secondi di ambiente e riconversione ecologica, tutti quanti dello statuto del movimento, punto controverso accettare solo adesioni individuali o anche quelle di gruppo, associazioni, comitati. Quella della democrazia partecipata è quasi un'ossessione. Ogni discussione parte da schede iniziali e si svolge in maniera rigorosamente orizzontale. Ciascun tavolo fa le sue proposte, le scrive, e i report vengono raccolti da un gruppo di facilitatori o «sarti», si chiamano proprio così quelli che cuciono i documenti finali. Oggi il pezzo forte: si discute della partecipazione alle politiche. daniela preziosi
il Manifesto 01-07-2012