di Fabrizio Verde
La più grande crisi dopo quella del 29’ tiene sotto scacco le economie occidentali, con l’Europa in testa, dove la percentuale di persone senza lavoro ha sfondato quota 11% a livello continentale. Un indicatore lampante del fallimento delle politiche neoliberiste propugnate da almeno vent’anni a questa parte dalle classi dirigenti europee, senza distinzioni tra conservatori e progressisti. Quelle stesse politiche basate sugli “aggiustamenti strutturali” inaugurate dal regime fascista di Pinochet in Cile nel 73’, sotto l’attenta guida di Milton Friedman, padre dei Chicago Boys. I professori pasdaran della “teologia del libero mercato”, per dirla con Eric Hobsbawn. Politiche imposte, o per meglio dire “consigliate”, dal Fondo Monetario Internazionale a tutti quei paesi emergenti, periferici o in via di sviluppo che ricorrevano a prestiti da parte dell’organismo internazionale. Praticamente tutta l’America Latina nel periodo che va dagli anni 80’ al termine dei 90’ adottò sulla scorta dei consigli imposti dal Fondo Monetario Internazionale tale profilo economico. I pasdaran del liberismo sfrenato, i vari Camdessus, Kholer, Krueger, cani da guardia del capitale e dei creditori, imponevano a tutti i paesi la medesima ricetta: aggiustamenti strutturali, privatizzazione integrale del patrimonio pubblico, azzeramento totale del welfare state, drastico abbattimento della spesa sociale. Misure che risuonano particolarmente sinistre in Europa, dalle parti di Atene in particolare Il risultato fu disastroso, con il tessuto sociale di questi paesi completamente distrutto. Le disuguaglianze sociali aumentate in maniera esponenziale. Tali politiche, in ogni caso, non impedirono l’esplosione di una nuova crisi di debito negli anni 90’ che portarono il Fondo Monetario Internazionale ad adottare una politica deflazionista al punto tale da stroncare ogni speranza di crescita economica e cancellare quel che era rimasto dello stato sociale. Ogni riferimento alla Banca Centrale Europea e la politica teutonica attuale imposta all’intero continente è puramente casuale. Il culmine delle politiche liberiste si raggiunse in Argentina all’alba del nuovo millennio, dopo un decennio di liberismo sfrenato unito ad una mossa mortale: la parità peso-dollaro. Anche in questo caso il riferimento all’Euro e la situazione europea è puramente casuale. Risultato fu un disastroso default. Un collasso economico, politico, sociale, umano. Da quel momento in poi, però, dopo l’ascesa al potere di Chavez in Venezuela che guidò la riscossa dell’intero subcontinente il Fondo fu allontanato dall’America Latina. Hugo Chavez in Venezuela, Lula in Brasile, i coniugi Kirchner in Argentina, Evo Morales in Bolivia e Correa in Ecuador inaugurarono una nuova stagione guidando la riscossa della sinistra “rivoluzionaria” e bolivariana in Sudamerica.Nazionalizzazioni di risorse e aziende strategiche, vere riforme in senso progressivo del mercato del lavoro e della sanità, alfabetizzazione di massa, sensibile miglioramento delle condizioni di vita per gli strati più bassi della società. Politiche di segno nettamente opposto a quelle liberiste che affamarono il continente hanno fatto sì che l’America Latina sia il luogo dove attualmente si assiste ad una sostenuta crescita economica e sociale.Mentre l’Europa langue avviluppata nella spirale debito, austerità, “riforme” che bloccano la crescita e comportano l’aumento del debito. Dunque in risposta al mantra ossessivo più Europa, più Europa, che sottende l’intensificarsi delle misure di austerità e perdita della residua sovranità mi sento di rispondere con forza: meno Europa più America Latina.

Tratto dal Blog di IDA GARBERI

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