di Maria R. Calderoni
"Zero Hunger Challenge", bello spot, tradotto in italiano suona come "Sfida Fame Zero", in sostanza niente più fame nel mondo. Bello spot, appunto, lanciato e firmato dallo stesso segretario generale Onu Ban Ki- moon al "Rio+20", il summit mondiale sullo sviluppo sostenibile della Terra, che si è appena concluso a Rio De Janero tra la (giusta) indifferenza dei Grandi e un peraltro ben collaudato nulla di fatto.
Ha dovuto ammetterlo ufficialmente lo stesso Ban Ki -moon, signori il traguardo che era stato fissato nel 2009, è fallito. Il traguardo era di arrivare a dimezzare la fame nel mondo entro il 2015, passando dagli 800 milioni di denutriti ad (appena...) 400 milioni.
Macché, scordatevelo.
Anzi, oggi come oggi gli affamati della terra non sono diminuiti bensì aumentati. Oggi come oggi, sul pianeta una persona su sette non ha cibo a sufficienza: fa un miliardo di affamati. Duecento milioni più che nel 2009, miracoli del progresso.
Finito dunque "Rio+20" con un documento di 49 pagine e 234 articoli pieni pressoché di niente, resta solo quella, la terribile contabilità dell'Apocalipse Now che ci sforziamo di non vedere. 17mila bambini morti di fame alla fine di ogni giornata: uno ogni cinque secondi, 6 milioni in un anno. E gli affamati che sono così dislocati: continente asiatico, 642 milioni; Africa, 307 milioni; America Latina, 53 milioni. Mentre anche nel cosidetto Primo Mondo si conta oggi una quindicina di milioni cui manca letteralmente il pane.
Una escalation all'in giù, il precipizio che è diventato sempre più profondo, a partire da quel punto di "non ritorno" che può essere identificato nell'anno horribilis 2009: l'anno delle speculazioni e dei catastrofici tracolli finanziari a cui si devono addebitare recessione, crisi economica, enorme spreco di risorse, aumento di povertà e fame. L'accusa esplicita fu dello stesso presidente Fao Jacques Diouf, nel corso della Conferenza mondiale svoltasi a Roma appunto nel 2009.
Denunce, proclami, programmi, dossier, vertici, e ben 20 "Rio" dal 1992 ad oggi: ma appunto sempre quasi nulla di fatto. L'Apocalipse now continua. Il business della fame è infatti molto redditizio (chiedetene a Nestlé, Unilever, Pepsi, ecc...). Non più di venti multinazionali infatti hanno in pugno il mercato agro-alimentare (dai terreni, agli uomini, alle sementi) di tutto il pianeta. E sono loro quindi a decidere chi può mangiare, e quanto e dove e come (secondo la nota legge del mercato e del profitto).
Niente di nuovo. Si intitola "Come muore l'altra metà del mondo" il libro appassionato che Susan George ha pubblicato nel 1976 per denunciare gli alibi, le ipocrisie, le menzogne che stanno dietro la piaga planetaria della denutrizione: <La fame non è un flagello, la fame è uno scandalo>.
Quarant'anni dopo, tutto come prima. E' almeno di 23 mila miliardi di euro il costo che le economie del G20 dal 2007 ad oggi hanno pagato appunto per svalutazione, crac, piani di salvataggio finanziario.
Che volete, noi qui ci prendiamo cura dei banchieri, mica dei morti di fame.