di Tommso Di Francesco

Ieri la proposta dal basso di tagli alla nuova spesa militare del governo "tecnico" italiano, per l'occasione impersonato addirittura dal ministro-ammiraglio Di Paola, è arrivata in Parlamento e nelle stanze del governo.
Sono state consegnate infatti 75mila firme di cittadini contrari all'acquisto di 90 F-35 (Joint Strike Fighter) che costeranno ben 12 miliardi, previsti dalla finanziaria di Monti e confermati dal Ddl del ministro della difesa Di Paola dopo tanto strombazzare di risparmi e spending review che invece tagliano inesorabilmente welfare e spese sociali. 
La petizione contro i cacciabombardieri è stata presentata da Rete italiana per il disarmo, Sbilanciamoci e Tavola della Pace dopo un seminario che ha smentito la posizione del governo sui presunti risparmi alla Difesa.


Una giornata importante per chi, come il manifesto, ha iniziato da dieci anni una campagna contro gli F35, uno strumento principe della guerra d'attacco che è, insieme, contraddizione materiale e disprezzo dell'articolo 11 della nostra Costituzione che «bandisce la guerra come mezzo per risolvere le crisi internazionali». Una battaglia di controinformazione che dura fin da quando ad attivare contratti e trattati si sono spesi in modo alternato, quasi in gara fra loro, il governo di centrosinistra e quello di Berlusconi.
Varrebbe la pena chiedersi se si è mai riflettuto abbastanza sul limite rappresentato da una politica estera che si avvantaggia, più che della diplomazia e di una strategia politica, dei cacciabombardieri che dall'alto dei cieli scaricano sulle crisi internazionali tonnellate di esplosivo criminale, indistintamente colpendo in genere più obiettivi civili, con tante vittime per le quali non pagherà mai nessuno. Il diritto internazionale si sa è per i vinti e mai per i vincitori, come dimostrano l'Iraq e l'Afghanistan.
Ma c'è di peggio. C'è il pensiero perverso che quelle bombe e quegli strumenti di morte alla fine siano stati soldi spesi bene. Salvo poi scusarsi e corrucciarsi in volto magari a quaranta anni di distanza, come ha fatto in questi giorni Hillary Clinton in visita in Laos, ammutolita di fronte agli effetti nefasti dei bombardamenti americani che hanno seminato di mine anti-uomo quel territorio provocando, solo dalla fine della guerra, 20mila vittime tra i civili delle campagne. Chissà, forse tra venti anni un sottosegretario alla difesa Usa piangerà visitando i cimiteri dei morti provocati con i raid aerei della guerra umanitaria del 1999 sull'ex Jugoslavia; e non è escluso che tra trenta anni si farà capolino tra le fila di qualche ministro degli esteri europeo l'idea che i bombardamenti sulla Libia non siano stati alla fine un buon sistema per allontanare Gheddafi. Perché la democrazia - e quella che si celebra a Tripoli in questi giorni è, per ora, solo un simulacro che serve a rassicurarci che il nuovo potere, qualunque esso sia, garantisca per noi il petrolio e la detenzione degli immigrati - non si esporta con le cluster bomb e i missili Cruise e perché il tiranno libico poteva, dopo 42 anni di potere, essere allontanato in altro modo.
Del resto quel "modo" dei raid aerei, usato «per salvare i civili» è irriproducibile perfino di fronte al baratro sanguinoso della crisi in Siria dove ormai il conflitto, alimentato da improbabili «Amici» segna due novità sostanziali: da una parte la ripresa di un clima da guerra fredda con la Russia e la Cina schierate, anche militarmente con Assad, e impegnate a coinvolgere nel cambio di regime anche l'Iran; e dall'altra l'Occidente (Ue e Usa) legato a filo doppio agli insorti anche islamismi e a paesi come il Qatar che fomentano apertamente quanto pericolosamente la guerra tra sunniti e sciiti nell'area.
Delle due, l'una: o la "diplomazia" degli F35 o l'articolo 11 della Costituzione italiana. A meno che questo governo "tecnico" sostenuto da uno schieramento bipartisan o quello nuovo che si annuncia non abbiano in mente di inserire nella Costituzione il «vincolo all'acquisto di cacciabombardieri», per salvare lo spread e gli affari di guerra, nazionali ed europei.

 

da il manifesto

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