di Tonino Bucci

Mai fuori onda fu più devastante. I sondaggi lo accreditano ormai come il secondo partito italiano, eppure il Movimento 5 Stelle è in subbuglio. E non solo perché da qui alle prossime elezioni il movimento di Beppe Grillo dovrà superare la prova del fuoco, scegliere i candidati del futuro gruppo parlamentare che si preannuncia corposo. Lo sfogo di Giovanni Favia, militante della prima ora e consigliere regionale in Emilia del M5S, ha seminato lo scompiglio. L'audio trasmesso la scorsa settimana su La 7 da “Piazza pulita" ha attirato lo sguardo del pubblico su quello che succede in casa del movimento.


Favia - come noto - ha lamentato la mancanza di democrazia interna e il ruolo informale ma ingombrante di Gianroberto Casaleggio, il guru che affianca Grillo, da molti additato come la vera mente. «Casaleggio prende per il culo tutti perché da noi la democrazia non esiste». Favia parla di un movimento che sta scoppiando tra le mani di Grillo e Casaleggio e che non per caso i due avrebbero messo un tappo ai bollori interni vietando agli iscritti del 5 Stelle di andare in televisione. «Grillo espellendo Tavolazzi ha soffocato nella culla un dibattito che stava nascendo in rete in contrapposizione alla gestione Casaleggio». Se Casaleggio «non facesse il padre padrone io il simbolo glielo lascerei anche: adesso in rete non si può più parlare, neanche organizzare incontri tipo quello di Rimini che non usavano il logo del movimento. Lui quando qualcosa non va telefona o fa telefonare Grillo». Insomma, un «sistema padronale». La reazione di Grillo è stata furibonda. «Favia ha organizzato un finto scoop perché per lui si avvicina il termine della seconda legislatura» e nel movimento c'è la regola che non se ne possono fare più di due. Tutta una montatura. La discussione si arroventa.
Finora, il movimento di Grillo ha guadagnato consensi perché denuncia le degenerazioni dei partiti, critica le forme organizzate della politica, vuole la democrazia diretta. Il paradosso è che questa democrazia non c'è tra le sue fila. Il primo ad aver messo il dito sulla piaga è stato Valentino Tavolazzi, ingegnere e consigliere comunale a Ferrara, espulso dal 5 Stelle. «Non si può predicare la democrazia diretta se poi al nostro interno non ce n'è». La colpa di Tavolazzi è aver partecipato a un incontro sulla democrazia interna organizzato a Rimini. Il giorno dopo sul blog di Grillo arriva l'espulsione: «Tavolazzi è fuori». Quel che succede all'interno del M5S non riguarda solo i suoi militanti. La crisi delle forme organizzate della politica è reale. I meccanismi della rappresentanza non funzionano, le possibilità dei cittadini di decidere davvero sulla linea economica dei governi è sempre più rarefatta.
Qualsiasi posizione critica sulle misure di austerità dell'Ue è etichettata come populistica e demagogica. Non a caso in diversi paesi europei si sono formati partiti di nuovo tipo, come i pirati in Germania e in Svezia, che asseriscono di praticare forme di democrazia diretta sul web. Ma se un movimento come quello di Grillo cresce perché promette che restituirà il potere ai cittadini e poi si dimostra incapace di tollerare il dissenso in casa propria, il cortocircuito è devastante. Può produrre un'ondata di disillusione, di cinismo, di apatia nella società italiana. Il populismi ricorrono quasi sempre all'appello al popolo, diretto e senza mediazioni.
Non vogliono deleghe, il potere deve rimanere nelle mani dei cittadini e non va frammentato. Il problema per i populisti è che difficilmente riescono a costruire un sistema di procedure e di regole per mediare tra bisogni e interessi diversi. Il popolo che evocano deve rimanere coeso e compatto. Il dissenso e il pluralismo minacciano di far saltare lo spazio comunitario che il populismo assembla. L'unanimità può diventare un'ossessione. Il movimento di Beppe Grillo ha intercettato un corpo sociale indefinito, fatto di pezzi diversi, accomunato però da un vago sentimento di protesta, che tuttavia chiede di essere rappresentato. Ma nella sua separatezza. La domanda di esistere e manifestarsi di questo “popolo" insofferente ormai è una domanda contro e fuori le istituzioni.
L'accusa di antipolitica. I partiti che ritengono di essere le uniche forze legittimate a governare l'Italia - quelle che oggi sostengono Monti e che domani ne porteranno avanti la linea - accusano Grillo di antipolitica, di demagogia, di incapacità a governare. Ma l'accusa è spuntata. Anzi di più, amplifica la propaganda del M5S. Perché chi vota Grillo è per non voler dichiaratamente avere a che fare con i giochi istituzionali, con gli accordi di partito, con il governo. Potrebbe essere proprio questo lo scontro principale dell'imminente campagna per le elezioni politiche. Da una parte il fronte del “realismo di governo", di quelli che la realtà è così e va accettata, che non ci sono alternative alla linea Monti, dei partiti che comunque vada governeranno nella camicia di forza imposta dall'Ue e dalla Bce, dentro il fiscal compact e il pareggio di bilancio. Dall'altra il fronte della demagogia e del populismo, di quelli che la politica è degenerata, che i partiti sono una casta in putrefazione e meglio non averci più nulla a che fare, che i parlamenti sono finiti, che il popolo è sovrano e deve riprendere il potere nelle proprie mani, senza deleghe e corpi intermedi. Due fronti, in lotta tra loro, ma utili e necessari, ciascuno per l'altro. Realisti e populisti hanno una scena da occupare. Anche perché la sinistra, ancora oggi ai margini, balbuziente, frammentata, ha lasciato ai due contendenti uno spazio sterminato. C'è poco da meravigliarsi se oggi i populismi tornano sulla scena politica.
La democrazia è bloccata. Paralizzata. L'asse Napolitano-Monti è l'espressione politica di un progetto delle classi dirigenti, della frazione di borghesia più integrata nei processi sovranazionali. Pur di rimanere nella moneta unica sono disposte a tutto: ad applicare il fiscal compact, a tagliare tutto il possibile, a scatenare la recessione, anche a rinunciare alla democrazia e ai diritti, anche a sbarrare l'accesso in parlamento alle forze ritenute troppo anti-sistema. Grillo è lo spettro della tecnocrazia. Rappresenta l'ingovernabilità, l'anomia, il disordine. Un sistema che non ammette alternative genera automaticamente il desiderio di far saltare il tavolo. I populismi tornano. Per ora raccontano il disagio dei ceti medi colpiti in pieno viso dalla crisi. Il Movimento 5 Stelle porta sulla scena l'individuo comune, solo e disorientato di fronte all'incombere di poteri grandi e terribili che possono vuotargli le tasche o deprivarlo dei diritti: le banche, lo Stato, i partiti, la finanza, l'Europa. Evocare lo spettro del caos, la paura di un salto nel buio, è come versare lacrime di coccodrillo. Inutile come un soldo falso. I populisti alla Grillo sono una valvola di sfogo all'iperrealismo dei Napolitano, dei Bersani, dei Casini. Perché stupirsi?

 

redazionale

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