di Raffaele K. Salinari

Chi percorre il viale che costeggia il Mare grande di Taranto, deve gettare inevitabilmente un occhio sullo sfondo, dove campeggiano le torrette della portaerei leggera Garibaldi, ormeggiata nella nuova base militare di Chiapparo, a qualche chilometro dal centro della città. Ai pendolari che entrano ed escono dalla Città nuova attraverso il ponte girevole, si affaccia invece alla memoria il ricordo di quante volte, dagli anni cinquanta sino al 2005, questa struttura venisse aperta per consentire il transito delle navi militari, che allora avevano la loro sede nel primo seno del Mare piccolo.


Questa servitù militare, che ha condizionato la vita della città per oltre un secolo, rappresenta ancora un potere fortissimo che, in maniera silenziosa ma costante, detta le sue leggi marziali non meno di quanto faccia l'industrialismo dell'Ilva.
Il piano urbanistico del centro storico, infatti, è costruito sull'asse che lega il Castello aragonese, sede del comando che gestisce il canale navigabile sul quale è sospeso il ponte girevole, all'Arsenale militare, sino agli anni sessanta il centro lavorativo più importante, con i suoi operai, artigiani, e l'indotto che produceva l'attività complessa legata alla riparazione delle navi da guerra.
Il grande orologio dell'Arsenale scandiva il tempo della vita cittadina, interrotto dalle aperture del ponte che, molto spesso, per questioni di sicurezza militare, veniva interdetto alla circolazione senza preavviso alcuno, interrompendo il traffico che così bloccava l'accesso in entrata e in uscita alla Città nuova per almeno un'ora.
Poi, verso gli anni ottanta, il modello di difesa Nato impose la costruzione della nuova base militare, atta ad ospitare unità dell'Alleanza, inclusi i sottomarini a propulsione nucleare e altre navi con la stessa tecnologia.
Come ha fatto rilevare più volte anche il sito peacelink, tutti i sottomarini Usa sono a propulsione nucleare, come pure buona parte di quelli inglesi e francesi. Il punto è che i reattori dei sottomarini sono di fatto delle piccole centrali nucleari; pur essendo meno potenti sono però meno schermati, per questioni di leggerezza, e dunque i rischi di fuga radioattiva sono maggiori. A questo proposito basta ricordare l'incidente della Maddalena, quando il sottomarino Hartford, il 25 ottobre 2003, è finito per incagliarsi nella secca delle Bisce, poco a sud dell'Isoletta di Santo Stefano. In quello stesso luogo l'istituto francese di ricerca Criirad (www.criirad.fr) ha rilevato livelli elevati di radioattività causati dal Torio 134, un elemento che rientra nella catena di degenerazione radioattiva dell'uranio.
Il rischio nucleare, che si aggiunge dunque a quello conclamato degli inquinanti Ilva e della raffineria, è talmente tanto plausibile che esiste un piano di emergenza, redatto dalla prefettura, che prevede, in caso di incidente nucleare, addirittura l'evacuazione della città.
Il dettaglio dell'intervento prevede la somministrazione ai bambini e alle donne in gravidanza di un farmaco protettivo per la tiroide, la ghiandola più colpita dalla eventuale nube tossica. Se pensiamo che per qualche tempo, in questa situazione, è stata seriamente presa in considerazione anche l'apertura di un rigassificatore, l'immaginario di un'apocalisse non tanto localizzata appare in tutta la sua potenziale drammaticità.
Ovviamente il segreto militare di fatto impedisce i monitoraggi necessari al rilevamento dei livelli di radioattività nelle acque, anche se diversi studi indipendenti hanno rilevato tracce di Cesio 137, imputabili solo al transito di unità militari a propulsione nucleare.
E dunque altri poteri osservano in disparte la vertenza Taranto, discretamente oscurati dalla luce mediatica che, giustamente, in queste settimane si addensa sull'Ilva. Ma questi aspetti devono essere tenuti in conto per avere un quadro realmente completo degli interessi in gioco, per capire l'importanza strategica di questa città e, più in specifico, la necessità per molti poteri forti che non si crei un movimento a favore di un altro modello di sviluppo deciso sulla base delle compatibilità ambientali e soprattutto deciso dai cittadini di Taranto, senza servitù di sorta.

 

da il manifesto

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