di Roberto Musacchio
Se il neoliberalismo, come pare, sta riuscendo a sopravvivere anche a quella che è stata detta la sua grande crisi, veramente la lotta contro il pensiero unico cui ci richiama l'appello pubblicato dal manifesto, chiama in causa direttamente la politica, come ha scritto Alfonso Gianni. Se impressiona la subalterna uniformità del mondo dell'informazione alla narrazione neoliberale, cosa dire allora dei voti plebiscitari a provvedimenti cardine della costituente neoliberale europea in atto, come nel caso del Fiscal Compact?
Tale è la portata di questo provvedimento che se si vuole prendere sul serio la lotta al pensiero unico non si può che trarre la conseguenza che chi lo ha votato non può esserne parte, almeno fino a che resterà nell'attuale forma politica.
La mia affermazione riguarda il Pd e la coalizione politica ispirata da questo partito negli anni della cosiddetta seconda repubblica, e cioè il centrosinistra. Il centrosinistra, italiano ma anche europeo, è stato ed è una delle soggettività politiche che ha veicolato gli elementi portanti del neoliberalismo. Naturalmente non senza contraddizioni e resistenze, di e da sinistra. Resistenze e contraddizioni che sono state però sistematicamente sconfitte. Volutamente.
La compartecipazione del centrosinistra europeo, nella sua forma maggioritaria e cioè quella legata al socialismo europeo, alla affermazione del neoliberalismo in Europa è assai più ampia di quella attribuibile alla terza via blairiana. Furono addirittura Mitterand e Delors ad aprire la strada, prima in Francia e poi in Europa, a quella liberalizzazione dei mercati finanziari che anticipò nei tempi la stessa riforma clintoniana. Ed è la socialdemocrazia tedesca a dare il via a quel patto corporativo che fonda l'uso costituente del debito come elemento fondativo dell'attuale nuovo ordine europeo.
Mentre il furore delle destre si indirizzava contro il «peso dello stato», altri elementi, forse più strutturali, creavano le condizioni di quella rottura del compromesso sociale che spiana la strada, specie in Europa, al neoliberalismo. Penso alla svalorizzazione sistematica del lavoro come soggettività contraente, che si realizza con le pratiche di esternalizzazione produttiva e di precarizzazione sistemica. Un processo di svalorizzazione ampiamente veicolato da quella teoria della flessibilità di cui il centrosinistra italiano ed europeo è stato alfiere. E penso al parallelo farsi alfiere di quelle liberalizzazioni che sono state traino non solo di uno storico ciclo di privatizzazioni ma anche di un gigantesco processo di fusioni di imprese sostenuti e guidati dal capitale finanziario. Che entrambe queste due mega operazioni abbiano determinato una condizione strutturale del debito non è considerato una contraddizione per un sistema che si sta ormai avviando a privatizzare la moneta e gli Stati, resi meri veicoli per una massimizzazione dei profitti finanziari stessi.
Se lo spiraglio di nuovo keynesismo di cui parla Alfonso Gianni si è subito richiuso probabilmente è perché tutto questo è ormai andato troppo oltre. Al punto che l'Europa che si sta costruendo è precisamente una entità ademocratica, una tecnocrazia espressione di un potere cleptocratico. Appunto, come spiega Gallino, è la nuova fase finanziaria del capitalismo che non prevede, e non tollera, contraddizioni strutturali e dunque le estirpa. Vale per il lavoro ma anche per la concorrenza. Un sistema che non vive più la dialettica materialistica del denaro che si moltiplica passando per la merce ma che pretende la partenogenesi del denaro stesso. E' la fine di una idea stessa della modernità, quella fondata sulla dialettica. Addirittura di una antropologia, quella umanistica poi concretizzatasi in democrazia.
A fronte di una tragedia così epocale prendersela col centrosinistra può apparire veramente poca e misera cosa. Infatti il problema non è il centrosinistra, ma il pensiero unico. Che vive anche della trasformazione dei corpi intermedi da elementi di democrazia a strumenti di comando. Sempre Gallino ci dice delle sliding doors, delle porte girevoli, che hanno visto molti uomini del progressismo europeo passare dalla politica alle istituzioni finanziarie a quelle di governo in quel mélange che è tanta parte della costruzione della egemonia del neoliberalismo. Ma oltre un certo punto questa egemonia ha coinvolto gli interi corpi intermedi così come ha stravolto le strutture democratiche di rappresentanza e di governo. Negando il ruolo della rappresentanza e ristrutturando la funzione di governo sulla regola robotica della non esistenza di alternative.
Quando si nega rappresentanza e alternatività la funzione dei corpi intermedi si stravolge. Così come accadde nel socialismo reale ora è nel capitalismo reale che essi si stravolgono in elementi burocratici, parte di quella casta tecnocratica cui il capitalismo finanziario affida quote di gestione. L'assunzione di tutti gli elementi cardine di questa narrazione, ora quello del debito, ha reso il centrosinistra parte di questa mega macchina. Insomma, parte del problema e non certo della sua soluzione.
La storia di questi ultimi due decenni è fatta di «generosi» tentativi di far essere il centrosinistra quello che non è provando a correggerlo da dentro o da fuori. Veramente ora è il momento di uscire dal pensiero unico nell'unico modo possibile e cioè rompendone il guscio e dando vita a una nuova costituente democratica che nasca dai movimenti sociali.
da il manifesto