di Roberto Ciccarelli

Centomila studenti hanno preso in parola il ministro dell'Istruzione Francesco Profumo che vuole allenare il paese alternando «un po' di più il bastone e un po' meno la carota». Al «re di bastoni», così è stato definito ieri in uno striscione a Torino, hanno dedicato un pacifico ma intenso lancio di carote. «Con queste - hanno urlato sulle scalinate del ministero in viale Trastevere - facce l'insalata». Nei cortei in 90 città promossi dall'Uds, gli studenti hanno lasciato al ministro, e al suo governo, l'uso del bastone.


O delle forbici. Perchè al momento sembrano confermate le voci di nuovi tagli alla scuola contro le quali il governo non è risciuto a fornire un solo dato a sostegno delle disperate smentite giunte nelle ultime ore.

Secondo i calcoli della Flc-Cgil, che ieri ha dichiarato lo sciopero generale dell'intero comparto (l'adesione del 9,04% del personale, secondo una rilevazione), il prospettato aumento di 6 ore dell'orario di lavoro degli insegnanti, senza retribuzione aggiuntiva, produrrà il taglio di 30 mila precari. Ciò comporterà il taglio di 1 miliardo di euro che si aggiunge agli 8,5 sottratti alla scuola dal governo Berlusconi-Tremonti. «È un governo autoritario - ha detto Domanico Pantaleo della Flc-Cgil durante il comizio finale della manifestazione sindacale in piazza SS. Apostoli a Roma - che evita un confronto reale con il sindacato e gli studenti. Profumo eviti termini come bastone e carota e, invece di parlare di pagelle online e tablet, pensi a reperire risorse per le nostre scuole che cadono a pezzi».
La mobilitazione romana è iniziata con un blitz della Rete degli studenti medi alla sede del Parlamento Europeo in via IV Novembre. Sul loro striscione veniva invocata la «scuola di qualità» chiesta dall'Europa, insieme alla riduzione degli abbandoni scolastici, all'aumento di diplomati e laureati. «Fin'ora il governo - ha detto il portavoce Daniele Lanni - ha usato l'Europa solo per giustificare i tagli». Nel corteo erano presenti anche altri punti di vista sul continente insignito del premio Nobel per la pace. Quello degli studenti del Fronte della gioventù comunista che, in via Cavour, hanno strappato le bandiere dell'Ue. Un simbolo che per loro rappresenta la riduzione dell'istruzione pubblica ad un laboratorio aziendale in cui si commercia in debiti e crediti. «La scuola non è in vendita», era scritto sullo striscione d'apertura del corteo che ha raccolto un contingente di insegnanti aderenti alla Flc-Cgil in piazza dell'Esquilino. Per gli studenti deve restare un bene comune, non una semplice voce del bilancio dell'azienda-paese da «razionalizzare». Quello dei centomila di ieri è stato un atto di resistenza contro l'idea che il governo tecnico non ha il coraggio di affermare, ma l'ipocrisia di praticare clandestinamente, secondo la quale lo Stato sottoposto alle cure del rigore non dovrebbe investire risorse per il welfare e l'istruzione. Un concetto ribadito durante l'occupazione lampo dei binari della metro Cavour dove gli studenti hanno esposto uno striscione che stravolgeva l'acronimo Atac, l'azienda municipale dei trasporti della Capitale: «Arrivo tardi a casa». Protestavano per il reddito di formazione agli studenti. La protesta non si ferma. La Rete della conoscenza annuncia tre giorni di mobilitazione nelle scuole e nelle università dal 24 al 26 ottobre. «Vogliamo praticare un nuovo modello di didattica e valutazione - ha spiegato Luca Spadon - portavoce di Link - e costruire un'altra università». Non sarà facile. Visto il cinismo generale.

 

da il manifesto

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