di Romina Velchi
Nella Carta d’intenti dei progressisti (che suggella l’alleanza tra Pd, Sel e Psi) il riferimento al «centro liberale» è quanto mai esplicito. Si dice, nel capitolo dedicato all’Europa, che «i progressisti devono promuovere un patto costituzionale con le principali famiglie politiche europee» e in particolare «cercare un terreno di collaborazione con le forze del centro liberale» con le quali «promuovere un accordo di legislatura». Ma la marcia verso il «centro liberale» non riguarda solo i rapporti politici in Europa, bensì anche (soprattutto?) quelli di casa nostra.
Non a caso, nel capitolo dedicato al lavoro si legge che «fulcro del conflitto sociale non è più solo l’antagonismo classico tra impresa e operai, ma il mondo complesso dei produttori, cioè delle persone che pensano, lavorano e fanno impresa». Da ciò consegue che «bisogna costruire alleanze più vaste».
Che il Pd di Bersani guardi al centro non è una novità. C’è infatti mancato un pelo che l’alleanza progressisti-moderati diventasse una realtà concreta, quando, nel giugno scorso, il leader dell’Udc Casini lanciò la sua idea dalle colonne del Corriere della sera, definendo Bersani un «interlocutore serio» (contrapposto a Berlusconi). Il leader Pd l’aveva presa bene (e sul serio): il «patto tra le forze riformiste e democratico-costituzionali» «è nella logica delle cose», arrivando al punto di scaricare Di Pietro e stracciare la foto di Vasto.
Peccato che poi Casini abbia rovinato tutto, quando, a Cernobbio, scandì che «per noi dopo Monti c’è solo Monti». Naturale il gelo di Bersani, che si accingeva a promuovere le primarie per il ruolo di premier. Un altro ostacolo sulla via del «patto moderati-progressisti» è la legge elettorale, la cui riforma non riesce a vedere la luce. L’ultimo “strappo” è stata la decisione dell’Udc di votare in commissione Affari costituzionali del Senato la bozza del Pdl che prevede le preferenze e un premio di maggioranza sufficientemente basso da non pregiudicare la possibilità di “strane alleanze“ e dunque di un Monti-bis. E’ chiaro che per il partito di Casini spianare la strada ad un secondo governo del Professore è più importante dell’alleanza con il Pd.
Non che le bozze di proposta Pd e Pdl fossero così diverse. Ma è chiaro che è praticamente impossibile per Bersani, impelagato nelle primarie, accettare di votare una legge elettorale che, a urne chiuse, non indichi in modo chiaro chi è il vincitore. E questo è un punto che il leader Pd non sembra avere intenzione di sacrificare sull’altare del «patto con i moderati».
E’ tornato a ribadirlo qualche giorno fa parlando al consiglio generale di Confcommercio: non si può fare una legge elettorale che produce un «parlamento frantumato» e «senza maggioranza»; «Se si pensa di arrivare in questo modo ad un Monti-bis, invece, arriva Grillo». Insomma, la sera delle elezioni «si deve sapere chi governerà, altrimenti arriverà lo tsunami» e se il vincitore non c’è «si torna a votare dopo 8 mesi». Dunque, ci vuole una «ragionevole premialità» (cioè un premio di maggioranza che dia davvero la maggioranza), collegi uninominali al posto delle preferenze.
Con il che, la riforma del sistema di voto torna in alto mare. Stabilito il testo base su cui iniziare la discussione, sono oltre 220 gli emendamenti proposti, tra i quali quelli del Pd che vanno nella direzione indicata da Bersani. Si vedrà.
Il non sapere ancora, ad un pugno di mesi dalle elezioni, con quale legge si andrà a votare rende il quadro politico ancora più incerto tanto che per tutti i partiti è difficile definire strategie e alleanze. La carta d’intenti e il relativo accordo con Sel sembrerebbero dimostrare quanto diceva l’altro giorno l’ex Dc Gianfranco Rotondi: «Bersani prepara le elezioni in base alla legge che c’è e rischia di vincerle». Senza per questo precludersi la strada dell’accordo con i moderati, mettendo nero su bianco di voler cercare la collaborazione con il «centro liberale», ribadendo la «lealtà istituzionale agli impegni internazionali e ai trattati sottoscritti dal nostro Paese» e, in generale, non addentrandosi troppo nelle questioni più controverse.
Alla fine, comunque, molto (se non tutto) dipenderà dalla legge elettorale: se sarà ancora il Porcellum (molti ci scommettono), se cambierà e come. E così anche su questo fronte - dopo quello del lavoro e delle pensioni - si orienta adesso la battaglia politica del Prc. Sono in programma almeno due iniziative: la prossima settimana un presidio-volantinaggio davanti al Senato; un’assemblea-dibattito intorno al 7-8 novembre, quando è previsto l’arrivo in Aula della proposta di legge in discussione.
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