di Gianluigi Pegolo

La vicenda politica italiana rappresenta per molti versi un inedito a livello europeo. Non tanto per gli orientamenti assunti dal governo, in questo del tutto omogenei con il pensiero dominante, quanto per la ristrutturazione del sistema politico in corso e, in particolare, per la presenza di una critica generalizzata al sistema politico che alimenta l’astensionismo e che promuove un nuovo soggetto politico: il Movimento cinque stelle. Questo fatto muta completamente lo scenario politico per come lo abbiamo conosciuto da decenni. Infatti, la tradizionale dialettica “verticale” destra-sinistra viene oggi superata da quella “orizzontale” rottamatori-casta.

I segnali di questa tendenza sono presenti anche in altri paesi, ma la dimensione del fenomeno in Italia è di proporzioni tali da farne un caso a livello europeo.

Occorre ragionare attentamente su questa evoluzione del sistema politico nel nostro paese perché le sue implicazioni sono enormi. La prima è che in questa dialettica la dimensione di classe del conflitto sociale tende a sparire, non perché essa sia assente, ma perché in parte è neutralizzata dall’enfasi posta sulla degenerazione della politica. Le stesse politiche di Monti, le peggiori in assoluto dell’Italia repubblicana, nell’opinione prevalente sono considerati effetti del degrado della classe politica, anziché l’espressione di ben determinati orientamenti di politica economica ispirata al diktat liberista. La seconda implicazione è che la stessa idea di politica muta profondamente. Quello che viene rimesso in discussione è la legittimità dei partiti politici come strumento dell’azione di massa.  Che questo sistema debba cambiare non vi è dubbio e non c’è bisogno di richiamare gli scandali e le ruberie che hanno costellato la storia della politica italiana. Il punto è che dalla crisi dei partiti non emerge un modello positivo. Tutt’altro. Si va, infatti, dallo scontro generazionale con la mitizzazione dei politici dell’ultima ora, tutt’altro che innocenti e spesso più spregiudicati dei precedenti, alla celebrazione dei santoni cui si attribuisce una delega totale.
Per queste ragioni un’alternativa è necessaria. Essa deve muovere dal riconoscimento della crisi della politica e dalla necessità di nuove modalità dell’agire politico, fondate sulla trasparenza decisionale, lo spirito di servizio e la sobrietà nei comportamenti.  Ma questo non è sufficiente. Occorre ripristinare la rappresentanza degli interessi materiali dei soggetti sociali. Se quindi Grillo non è l’alternativa, non lo è neppure Bersani. Infatti, è del tutto perdente pensare di contrastare l’antipolitica se non si avanza una proposta di effettivo cambiamento del paese, a partire dalla critica alle politiche portate avanti da questo governo e agli orientamenti delle elitè europee. Peraltro, è solo riposizionando la dialettica sulla contrapposizione destra-sinistra che si può pensare di ridare senso alla partecipazione politica. Il PD, imprigionato nella rete del pensiero unico, non offre una prospettiva. Né può durare a lungo lo stato di grazia di cui ha beneficiato in questi mesi (in virtù della totale delegittimazione del centro-destra), nel momento in cui si appresta a governare con una piattaforma continuista e con alleanze discutibili.

E’ da qui che deve partire una riflessione sulla sinistra, oggi frammentata e politicamente marginale. Essa ha un compito difficile ma fondamentale: ridare senso alla politica attraverso un progetto di cambiamento radicale. In poche parole, abbiamo bisogno di una Syriza italiana: un soggetto politico plurale, centrato su una scelta antiliberista esplicita e con una capacità d’iniziativa di massa. Dovremmo discutere a lungo perché un simile soggetto non si è affermato e perché non lo è diventata la Federazione della Sinistra. La mia opinione è che quell’esperienza ha scontato un equivoco: l’aver enfatizzato elementi identitari (il simbolo, una storia), in assenza però di un progetto di cambiamento condiviso. Un’esperienza che quindi si è sviluppata solo a livello istituzionale, non ha prodotto un’apprezzabile inziativa sociale, non ha costruito un profilo politico nuovo e autonomo e, non a caso, è entrata in crisi nel momento in cui si è dovuto affrontare il nodo delle alleanze. E’ una strada non più percorribile. In questo senso la lista unitaria della sinistra di alternativa, di cui si parla ormai diffusamente, non può essere concepita come una semplice convergenza elettorale. Deve reggersi su un progetto di cambiamento, darsi una pratica sociale, prefigurare una nuova soggettività politica. Non si tratta di mettere il carro davanti ai buoi, rispetto a processi che richiedono una maturazione, ma di avere la consapevolezza dell’orizzonte che deve guidare la nostra iniziativa.

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