di Pietro Spataro
Di nomi se ne sono sprecati anche troppi: da Italia a Gente che lavora, da Italia pulita alla più tradizionale Forza Italia. Quel che resta del Pdl è ormai alle prese con una spaventosa crisi di identità. Berlusconi pensa che, come accade nelle crisi aziendali, basti un nuovo prodotto e la sua faccia ben ritoccata a trattenere un elettorato che si è disperso. Ma i sondaggi gli hanno fatto sapere che un suo nuovo partito personale oggi vale poco più del cinque per cento. Sarà sicuramente il segno dei tempi: l’uomo della provvidenza non tira più, dopo vent’anni la sua spinta propulsiva
si è esaurita e riverniciare gli antichi fasti del ’94 non servirà a riportare in vita un progetto che è miseramente naufragato sugli scogli della crisi. La via d’uscita è complicata e lo stesso Alfano – un tempo il delfino, poi l’“uomo senza quid” e oggi quasi un traditore – non sa che pesci prendere accerchiato da troppi colonnelli interessati solo a salvare le proprie stellette e immobilizzato da Berlusconi che forse si ritira ma forse no. La destra sembra liquefatta. Nel tentativo di salvare il salvabile, si richiamano i vecchi compagni di viaggio (a cominciare da Casini che fu il primo a sbattere la porta) e si favoleggia di una coalizione dei moderati. Insomma, si va avanti a tentoni.
Ai tempi d’oro di Berlusconi si diceva che il suo era un “partito di plastica”, costruito con un’azzeccata operazione di marketing. In parte questo era vero, in parte no. Per lunghi anni quel partito personale e proprietario è riuscito a interpretare (e a formare) un’opinione pubblica che chiedeva libertà di fare, non voleva vincoli e soprattutto era attirata da un egoismo sociale secondo il quale vince il più forte, il più furbo, il più ricco. Quel sentimento individualista ha avuto l’appoggio di una parte consistente della borghesia imprenditoriale allergica alle regole e interessata solo ai suoi grandi patrimoni. Poi il miracolo promesso è svanito e sul fondale il cielo azzurro è diventato grigio. Tramontata la stella del Grande Capo è rimasto il deserto. Nel quale si agita un’Italia che è peggiore (basti pensare alla corruzione) di quanto non fosse vent’anni fa.
Questa storia molto italiana dimostra che, nonostante tutto, un partito non s’inventa a tavolino, che alla mancanza della comunità ideale e del sentimento di appartenenza non si può supplire con la potenza di un uomo solo al comando. In tutti i paesi europei i partiti di destra (così come quelli di sinistra) hanno una storia lunga, hanno radici, legami sociali, si sono costruiti sulla base di un’idea e non di una proprietà. Vincono e perdono, cambiano leader, ma restano lì a inventarsi un futuro nuovo perché c’è un comune sentire che li tiene insieme a prescindere da chi comanda. Difficile dire come andrà a finire la vicenda del Pdl. Ma se la sua drammatica crisi fosse il segno che in Italia sta tramontando la stagione dei partiti personali (e ce ne sono) sarebbe bene per un Paese che ha bisogno di ricostruire, nel segno della normalità, anche il proprio sistema politico.
da Left