di Giacomo De Luca

A Melfi, alla presenza del presidente del consiglio Mario Monti, Marchionne ha annunciato investimenti per un miliardo di euro e la produzione di due nuovi modelli, un Suv Jeep e la nuova Fiat 500 X. «Questo è il primo di una serie di annunci che coinvolgeranno altri impianti in Italia», ha precisato l'amministratore delegato della Fiat, che ha rappresentato la sua intenzione di «fare dell'Italia una base per la produzione di veicoli per tutto il mondo». L'annuncio è stato dato in mezzo a un reparto, fra operai che hanno applaudito sia il manager che il presidente del consiglio. Fuori dai cancelli rappresentanti della Fiom, memori di troppe promesse non mantenute, hanno manifestato in solitudine il proprio

dissenso. Gli altri rappresentanti delle organizzazioni sindacali si sono invece adoperati per garantire la serietà del piano promesso.
L'eco dell'annuncio di Marchionne ha raggiunto, in parte rassicurandoli, gli operai della Fiat di Piedimonte San Germano, a circa tre km da Cassino, nel frusinate, che da anni guardano al proprio futuro con la massima incertezza. Anche per questo stabilimento sono stati preannunciati nuovi investimenti e produzioni. I sindacati firmatari del contratto hanno così tradotto il pensiero del Lingotto: «Questo significa che nessuna fabbrica chiuderà e che presto saranno fatti altri annunci di produzione sia a Cassino che a Mirafiori e nelle altre fabbriche del gruppo». Una delegazione della Fiom di Cassino guidata dal segretario Donato Gatti si è invece unita alle proteste davanti alla fabbrica di Melfi. Nella convinzione che questa possa essere l'ennesima promessa non mantenuta dal "moderno" manager della Fiat che, nel dare l'annuncio, ha precisato che questa non è una strategia per deboli di cuore. Precisazione che da queste parti suona come una minaccia.
Nello stabilimento di Piedimonte San Germano sono state fabbricate oltre sei milioni di autovetture. Attualmente vi vengono prodotte l'Alfa Romeo Giulietta, la Fiat Bravo e la Lancia Delta. Autovetture datate nel tempo, messe in produzione vari anni fa, ormai non più appetibili, vista anche la concorrenza di aziende che, al contrario della Fiat di Marchionne, hanno costantemente investito in innovazione e qualità. La nuova strategia annunciata da Marchionne prevede investimenti su due filoni; l'alto di gamma con Alfa Romeo e Maserati e una versione "light" della gamma Fiat, basata essenzialmente sui sub-marchi 500 e Panda. È stata dunque ribadita la rinuncia a competere sul terreno delle vetture medie e grandi, divenuto tropo competitivo e meno redditizio. Dal quadro sono dunque destinati a sparire due dei tre modelli prodotti nello stabilimento cassinate: la Fiat Bravo e la Lancia Delta.
Al di là delle promesse effettuate, lo scenario non può quindi che preoccupare i 3.900 operai della Fiat di Piedimonte San Germano. Da un anno, gli operai alternano il lavoro con la cassa integrazione. Lavorano solo quindici giorni al mese. Subiscono tagli di salario e accettano ferie forzate. La crisi dello stabilimento cassinate coinvolge anche 4 mila addetti delle aziende dell'indotto e 2 mila addetti di settori collegati, dell'industria, del commercio e dei servizi. Sono quindi circa 10 mila famiglie a risentire la crisi, a vivere nell'incertezza.
Da queste parti, i lavoratori non si fidano più delle promesse di Marchionne. Hanno l'impressione che il loro destino sia stato già deciso. Visto che da anni la Fiat non produce nuovi modelli e fa continuo ricorso alla cassa integrazione, mentre effettua investimenti negli Stati Uniti, in Brasile e in Serbia, evidentemente con l'intenzione di delocalizzare la produzione dove i costi sono minori. Il timore con cui convivono i lavoratori è che, nonostante gli annunci di Marchionne e le rassicurazioni degli esperti, lo stabilimento possa essere chiuso in un breve periodo. Qui il ricordo di quanto accaduto allo stabilimento siciliano di Termini Imerese, chiuso a novembre 2011 in quanto ritenuto poco produttivo, è visto come un tetro avvertimento.
Il destino delle migliaia di dipendenti della Fiat pare segnato. Nel passato i lavoratori hanno svenduto diritti, accettato ricatti, subito ritorsioni. Chi si è opposto è stato escluso. Intanto il piano Fabbrica Italia è fallito. Per ammissione dello stesso Marchionne, che ha accampato a pretesto la crisi del settore automobilistico. All'epoca venne presentato quasi come uno scambio necessario per la salvaguardia dell'industria automobilistica in Italia: da una parte si promettevano investimenti e nuove produzioni, dall'altra parte si riducevano i diritti dei lavoratori. Venne raccontata la solita favola, cui troppe persone diedero ascolto. Così venne scambiata per modernità, quella che era solo, citando Gallino, uno dei tanti esempi di lotta di classe dopo la lotta di classe. Condotta dall'alto verso il basso. Non per la difesa dei diritti, ma dei profitti; non per l'uguaglianza, ma per i privilegi. A distanza di anni, la promessa di effettuare investimenti per 20 miliardi non potrà essere rispettata, così come quella di effettuare nuove produzioni. Coloro che non credettero al piano della Fiat hanno avuto la loro magra rivincita. Vennero trattati come i soliti disfattisti, ma avevano solo visto quello che altri non volevano vedere. Marchionne è ora tornato a fare promesse cui in troppi, evidentemente dimentichi del passato, sono disposti a credere. Non risulta che siano stati assunti impegni vincolanti. I lavoratori della Fiom, per lo più isolati, continuano a non fidarsi. Anziché disfattisti, ci pare abbiano piuttosto il destino di Cassandra, condannati a prevedere gli eventi e a non essere creduti.

da il manifesto

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