di Fabio Marcelli
Ebbi modo di incontrare al Cairo, a settembre, all’epoca consigliere del presidente Morsi, Samir Morcos, intellettuale copto, laico e di sinistra. La sua era una posizione di tutto rispetto, tanto è vero che veniva considerato alla stregua di vicepresidente dell’Egitto. La sua funzione era quella di garantire l’unità nazionale, contribuendo alla creazione, dopo decenni di dittatura, di un senso comune, di un’identità condivisa di tutti gli Egiziani.
Il discorso che fece durante il nostro incontro fu moderatamente ottimista e teso a sottolineare gli elementi di convergenza fra le varie componenti in seno al Parlamento per dar vita a una Costituzione che fosse effettivamente sentita come propria da tutta la popolazione. Nessun accento settario da parte sua, ma anzi la sottolineatura degli aspetti positivi presenti in formazioni come i Fratelli musulmani o i salafiti, dediti a un lavoro sociale di indubbio valore per un popolo ancora privo dei diritti più elementari. Un quadro evidentemente diverso da quello cui siamo propensi noialtri, che identifichiamo determinate forze tout-court con il fondamentalismo più retrivo. Tuttavia non nascondeva di aver dato già le sue dimissioni di fronte all’impossibilità, apparentemente e provvisoriamente all’epoca superata, di raggiungere un accordo soddisfacente sui contenuti della nuova Costituzione.
A seguito del tentativo di forzatura istituzionale operato da Morsi, Morcos è tornato a dimettersi. Quello che è più importante, masse di popolo, soprattutto giovani sono tornati a scendere in piazza, in Egitto, scontrandosi violentemente con pezzi di apparato statale e con le milizie degli islamisti.
E’ in corso attualmente un tentativo di ricomposizione e una profferta di dialogo da parte del presidente Morsi nei confronti dell’opposizione che però non convince il movimento popolare e democratico che è tornato a scatenarsi, consapevole delle troppe affinità tra l’attuale presidente egiziano e il suo predecessore.
Il movimento chiede che non si tenga il referendum voluto da Morsi per avallare la sua svolta autoritaria, approvando la nuova Costituzione, ma che si svolgano elezioni per un’assemblea costituente. La situazione è in corso di evoluzione ed è difficile formulare previsioni, ma si possono tuttavia sottolineare alcuni elementi di fondo.
1. Il movimento rivoluzionario volto ad ottenere una vera democrazia basata sulla garanzia dei diritti umani fondamentali di ogni genere continua. Esso si basa sull’esistenza di una massa enorme di popolazione che continua a vivere in miseria e vede in modo crescente come le proprie controparti siano le cricche locali, che si sono arricchite mediante la corruzione ai tempi di Mubarak ma anche le nuove élites che tentano di sostituirvisi. Il soddisfacimento delle relative esigenze potrà avvenire solo attraverso trasformazioni sociali radicali che apparentemente le forze islamiche non hanno interesse a promuovere.
2. Alla base delle rivendicazioni democratiche in Egitto come altrove c’è anche il riconoscimento del ruolo indipendente della magistratura, la cui sottomissione ha costituito uno degli obiettivi perseguiti da Morsi.
3. Un’altra tematica importante è quella della laicità dello Stato, che implica la negazione dell’esistenza di una religione sovraordinata che miri, mediante l’obbligatorietà della sharia, a controllare la società. In Egitto come altrove, ivi compreso da noi, dove la Chiesa cattolica gode ancora di benefici inammissibili di ordine anche fiscale e mira ad imporre i suoi modelli etici all’insieme della popolazione, bisogna giungere ad una completa ed effettiva separazione tra sfera statale e sfera religiosa. Le religioni vanno rispettate in quanto tali ma non possono pretendere di determinare le coordinate etiche e sociali al cui interno si svolgono i comportamenti individuali e collettivi.
4. Anche sul piano della collocazione internazionale, gli Stati che stanno emergendo dalla primavera araba devono trovare un proprio autonomo locus standi nell’ambito della comunità internazionale, promuovendo nuove forme di cooperazione fra di essi in modo da attuare un dialogo costruttivo con il resto del mondo.
L’Egitto non è uno Stato qualsiasi, ma il principale Stato dell’area nordafricana e medio-orientale. Quindi, la portata del conflitto interno in corso va ben al di là delle sue frontiere. Inoltre talune delle questioni evocate: democrazia effettiva, diritti sociali, laicità, Stato di diritto ed indipendenza della magistratura, sono questioni che si pongono oggi in tutto il mondo e soprattutto da noi.
Bisogna in conclusione ritenere che la conclusione del braccio di forza attualmente in corso in Egitto fra governo e opposizione avrà conseguenze importanti sull’insieme dell’area e di conseguenza su tutto il pianeta, senza escludere le aree di crisi più acuta, come la Siria, dove si richiede una soluzione democratica interna senza interventi stranieri, e la stessa questione palestinese.
L’attuale egemonia esercitata su quasi tutto il mondo arabo da Arabia Saudita e Qatar va sostituita con un modello di integrazione regionale più sensibile ai fondamentali parametri democratici. Si tratta infatti di egemonia legata più che altro a due fattori, la disponibilità di ingenti capitali e la penetrazione ideologica di una particolare variante islamica, che nulla hanno a che vedere con la democrazia sostanziale cui invece aspirano i popoli, nel mondo arabo come nel resto del pianeta.
da Il Fatto quotidiano