di Vincenzo Comito
L'accaieria Ilva, la multiutility Hera, la Cassa Depositi e Prestiti hanno in comune una deriva pericolosa nei rapporti tra grandi imprese e territori in cui operano, tra potere economico e potere politico. Il 2012 è stato un anno che ha visto rilevanti mutamenti nella situazione e nelle strategie di molti gruppi industriali italiani di dimensione grande e medio-grande, mutamenti che non sono stati positivi per le sorti del paese. Vediamo tre casi, che, pur nella diversità - di dimensioni aziendali, di controllo azionario, di settori di attività, di risultati economici - hanno qualcosa in comune: sono rappresentativi di una tendenza verso la deriva del nostro sistema industriale e finanziario
di Guido Iodice e Daniela Palma
Un articolo di Giovanni Perazzoli su MicroMega online [1] indica Keynes blog tra quelle fonti che diffonderebbero false informazioni sulla situazione sociale in Germania. Addirittura, veniamo accusati di essere parte di una “controinformazione italiana” la quale mirerebbe a “smentire che in Germania i salari siano più alti che in Italia”.
In primo luogo è bene chiarire che l'articolo a cui si riferisce implicitamente il nostro critico [2] è stato tratto da Voci dalla Germania [3], che a sua volta riprendeva i contenuti da due siti tedeschi. La “controinformazione” di cui saremmo un pericoloso tentacolo avrebbe perciò radici nella stessa Germania. Ma questo è evidentemente un argomento minore.
di Daniela Palma
Intervenire su una crisi economica quale è quella che sta attraversando l’Europa in generale, e l’Italia in particolare, richiede un’analisi delle sue cause ben più complessa di quella che normalmente viene diffusa dai grandi mezzi d’informazione. Il termine di riferimento di tale crisi è – come ben noto – rappresentato dai valori dello “spread”, o in altre parole del differenziale (positivo) tra tassi di interesse sui titoli dei paesi “a rischio” e tassi dei titoli tedeschi - come “premio” per gli investitori per l’incertezza che grava sulla solidità delle economie più deboli - la cui crescente entità aumenta l’onere dei cosiddetti “debiti sovrani”. Comprendere quali siano le ragioni che inducono gli investitori
di Marco Beschi e Riccardo Sanna
Dal discorso d’insediamento del governo Monti all’annuncio delle dimissioni, il messaggio di presentazione e descrizione delle scelte di politica economica è molto cambiato: da “salveremo l’Italia attraverso rigore, equità e crescita” a “il rigore è necessario per la crescita”, per poi ripiegare in “il rigore è necessario, anche senza crescita” e concludere, pochi giorni fa, con “alla crescita dovevano pensarci i governi precedenti”. In effetti, in Italia si è verificato ciò che l’evidenza empirica e la teoria economica (purtroppo non dominante) avevano già rilevato e rivelato, ovvero che l’austerità nella crisi fosse distruttiva, non espansiva, nonostante gli annunci del governo.
di Domenico Moro
Il debito pubblico sarà al centro del dibattito per tutta la durata della campagna elettorale. Le soluzioni, quasi sempre, si riducono al taglio della spesa pubblica. Per l’agenda Monti questa è l’unica strada per ridurre i tassi d’interesse sul debito e le tasse. Recentemente su La7, Oscar Giannino, uno dei nuovi politici “saliti” in campo, ha riaffermato la solita vulgata che si spende troppo e che la colpa è della “casta” dei politici.
Peccato che la spesa pubblica italiana, al netto dei tassi d’interesse e compresi gli sprechi e le mazzette della casta, è sempre risultata più bassa di quella media dell ’eurozona e di molti paesi che hanno beneficiato di bassi tassi