piobbicoA Pino Ferraris, senza il suo straordinario lavoro tutto questo non sarebbe potuto accadere.
 
Cari compagni e compagne.
 
La valutazione  del nostro operato in questi tre anni di sperimentazione delle pratiche del partito sociale è senz’altro positiva, pur nelle enormi difficoltà siamo riusciti a delineare un modello originale del fare politica che è riuscito a produrre un passo in avanti nelle modalità concrete del nostro funzionamento. Il congresso del nostro partito si è chiuso di fatto  approvando il lavoro verso la costruzione del partito sociale. In questo senso il dipartimento del partito sociale diviene un tutt’uno nell’organizzazione del partito. Il nuovo dipartimento si chiamerà organizzazione e pratiche sociali, cercando di condizionare la svolta verso il modello dell’organizzazione, sviluppando così una nuova fase nel modello di funzionamento del nostro partito. Il convegno di oggi rappresenta per questo il primo passo di questa  sfida che tentiamo di percorrere.
Oggi dopo tre anni di lavoro   dobbiamo  tener conto dei punti di forza, quanto delle criticità incontrate  .  Penso che oggi noi proviamo ad aprire un percorso che segna un salto di qualità nel nostro lavoro politico, dal modello di sperimentazione reticolare, a macchia di leopardo al tentativo di operare in forma complessiva, ed uniforme come organizzazione politica.


 
 Dal terremoto dell’Abruzzo fino all’alluvione di La Spezia, abbiamo visto il nostro partito operare con generosità a volte da solo altre volte con altri soggetti. Le pratiche sociali ci hanno permesso di attraversare la crisi dimostrando la nostra utilità nelle lotte e nelle rivendicazioni.  Cito brevemente le cose fatte:
 
-         Campagna pane 1 euro al kg e costituzione dei GAP
-         Intervento terremoto in Abruzzo  e nelle alluvioni
-         Costituzione della RAP
-         Intervento sistematico nei presidi fabbriche in lotta
-         Casse di Resistenza
-         Arancia Metalmeccanica
-         Dentista sociale
-         Intervento nelle alluvioni (Genova – La Spezia – Messina)
-         Creazione Spacci Popolari
-        Sportelli sociali – casa – welfare – diritti – antoobbing – ambulatori popolari
•         Corsi recupero popolari
•         Mercatini libro usato
 
 Abbiamo sostanzialmente lavorato su queste pratiche in differenti  modalità:
 la prima è quella che costruisce l’intervento sostanzialmente attraverso la socializzazione delle pratiche del partito ; I GAP da questo punto di vista sono l’espressione più concreta di questo.
la seconda è quella del lavoro di rete,  che favorisce la costruzione di istituti di movimento a noi vicini ma autonomi,  che lavorano in forma distinta ma non distante da noi  nelle pratiche che facciamo assieme.
Come La rap ( rete di autorganizzazione popolare) ad esempio.
 
  Penso che questa modalità di lavoro ha permesso di fare iniziativa politica in un quadro difficilissimo  in cui va riconosciuta la nostra insufficienza rispetto alla fase che stiamo attraversando.   Se infatti nelle pratiche riusciamo a coinvolgere soggetti esterni al nostro partito è altrettanto vero che non riusciamo a colmare pienamente la faglia tra rappresentanza politica e agire sociale.   Più il partito si socializza più  alcuni soggetti  si sentono strumentalizzati, reagendo e criticando il nostro intervento.  Al tempo stesso più il partito opera a rete favorendo processi di autonomia  più i compagni riproducono le stesse dinamiche interne al partito. Il problema è quindi duplice e richiede una chiarezza che  non si risolve solo nella dimensione organizzativa quanto semmai nella dimensione politica, nella discussione collettiva che deve coinvolgere la nostra comunità. Anche perché in molti casi la dimensione istituzionale resta scollegata dalla dimensione delle pratiche che mettiamo in atto.   Occorre quindi approfondire questo ragionamento in tutti i gruppi di lavoro che affronteremo oggi.  Ovvero indagare  il rapporto tra il partito che si socializza e la politicizzazione delle pratiche sociali , un rapporto dialettico e non semplice che segna però il terreno sul quale operare per riconquistare legittimità e ricostruire una sinistra che nasce dal basso.  In Italia esiste un vasto mondo di pratiche sociali senza rappresentanza che si sono strutturate in reti di associazionismo e movimenti di base, esse lo hanno fatto nel corso degli ultimi decenni  prima della crisi. Questo modello maturato a Porto Alegre e Genova agli inizi del nuovo secolo mi pare che sia ormai superato dai fatti: se vogliamo portare avanti i punti di novità introdotti da quel movimento, soprattutto quelle relative alla democrazia diretta, alla molteplicità dei soggetti dell’emancipazione che lavorano per obbiettivo, dobbiamo inscriverle in un quadro concettuale del tutto nuovo. L’inefficacia di quel modello è evidente in primo luogo riguardo al populismo. E’ come se le reti per obiettivo abbiano lasciato spazi tra gli snodi, dimenticandosi della quotidianità che vive il popolo della crisi.  La mobilitazione democratica delle associazioni altruistiche non è in grado quindi, almeno per ora, di intercettare i problemi, gli umori e linguaggi della parte più deprivata delle classi subalterne. Questa parte, fatta di lavoratori dipendenti a bassa qualificazione tra cui rientrano i migranti, di precari, e di autonomi che sono in realtà più dipendenti dei primi (si pensi al lavoro dell’autotrasportatore, strettamente legato – a rischio della vita – ai tempi dell’impresa) e di ceto medio fortemente impoverito dalla crisi generale, si  potrebbe configurare come un nuovo blocco sociale che vive una reale condizione d’impoverimento dal punto di vista materiale e delle opportunità. Come abbiamo detto più volte l’intuizione di riprodurre in forma originale le pratiche mutualiste dentro la crisi ci ha permesso di sperimentare nuove forme dell’agire collettivo con il popolo della crisi, ma questo è semplicemente un punto di partenza, non di arrivo. Dobbiamo infatti dirci francamente le cose come stanno, la solidarietà ed il conflitto senza un reale programma comune per l’alternativa  da sole rischiano di ricadere su se stesse generando paradossalmente una fuga impolitica nelle pratiche sociali o nella sfiducia nell’azione collettiva una volta che si viene sconfitti.  Faccio un esempio, nelle decine e decine di presidi operai che abbiamo affrontato costruendo casse di resistenza abbiamo notato come e quanto il sindacato sia sempre e comunque posizionato sul versante rivendicativo senza assumere invece il tema generale dell’organizzazione e della ricomposizione su di un versante avanzato di queste vertenze. Senza un lavoro nel quale non si offre un programma politico  chiaro e praticabile per uscire da sinistra dalla crisi ogni soggetto sociale che incontriamo viene perso nel momento in cui finisce la lotta e si avvia  il percorso della cassa integrazione.  E’ come se la crisi mangiasse le lotte una ad una, rafforzando paradossalmente il sistema che esse contestano per la mancanza di un programma alternativo. 
 Non è compito di questa giornata discutere di quale programma definire, compito nostro però e lavorare perché il partito lo assuma in tempi brevi  fornendo  attraverso l’inchiesta elementi di analisi corretti.   Per questo motivo abbiamo inserito il tema dell’inchiesta nei nostri lavori, il modello del  partito sociale deve essere concepito come una inchiesta continua .  Con lo sviluppo delle pratiche  occorre seriamente porsi l’obbiettivo  di utilizzare questi processi in favore della costruzione di una coscienza ( ancor prima quindi della coscienza di classe)  per il popolo della crisi che nella maggior parte dei casi ritiene che quanto accada sia  come un temporale. In questo quadro un punto di vista fondamentale è dato dalla comunicazione e dalla controinformazione, ovvero dalla capacità dei nostri militanti di favorire   e di sviluppare   un senso critico diffuso rispetto al pensiero dominante.  Il lavoro che abbiamo fatto con controlacrisi.org e con l’applicazione del miogiornale.com in cui si può nel giro di 5 minuti impaginare e stampare una fanzine con  notizie aggiornate sulla crisi va in questa direzione. Pratiche sociali, organizzazione e comunicazione devono essere percepite come un processo circolare.
 Nella scissione tra capitale e democrazia, nel progressivo ritiro del Welfare occorre insomma saper operare sia nello sviluppo di una forma di intervento in grado di coniugare la difesa dei diritti esigibili, con le pratiche di resistenza sociale neo - mutualistiche, coniugare il terreno del conflitto con il tema della democrazia e della sovranità. Questo va fatto nel qui ed ora mettendo al centro le pratiche sociali come luogo di ricomposizione politica elementare, oserei dire come processo costituente della rifondazione comunista. Ma questo processo richiede anche una capacità di direzione politica del tutto originale in questa fase. Non solo dobbiamo essere in grado di difendere i diritti acquisiti ma dobbiamo fare in modo che questa difesa modifichi in senso partecipativo e democratico la gestione del welfare. Ritorna insomma prepotentemente in campo il processo dialettico tra Stato ed autorganizzazione sociale.
 La R@P,  nasce da questa esigenza, essa è il tentativo di federare l’iniziativa sociale e politica, di mettere insieme le varie forme di resistenza sociale nella crisi e contro la crisi, un lavoro lento e progressivo,  che deve oramai essere supportato dal nostro partito senza mai  tentare di romperne il suo carattere autonomo ed indipendente .  Per questo se da un lato  occorre  essere assolutamente pragmatici sul piano delle pratiche sociali lavorando con chi ci sta, riconoscendo la piena autonomia dei soggetti, non dobbiamo mai dimenticare la funzione per la quale ci rapportiamo ad esse che è quella della critica radicale al sistema capitalista ed alla trasformazione di società. Questo è il punto irrinunciabile che muove la nostra azione.
 
Se riusciamo ad uscire da questa giornata assumendo degli impegni concreti in termini collettivi avremo fatto già qualcosa di significativo.
 
Prima di introdurre ulteriori elementi specifici per i gruppi di lavoro occorre analizzare però  i mutamenti che intervengono nel tessuto sociale determinato dalla crisi e fare un breve accenno alle lotte.
 
 A differenza dei primi del 900 dove sono nate le prime forme di mutualismo oggi ci troviamo di fronte ad un processo totalmente inverso , se allora il welfare non esisteva, oggi esiste  e viene eroso dalle politiche neoliberali generando guerra tra poveri e conflitti interni alla classe. L’applicazione del fiscal compact, è un processo costituente che impatterà sia sul versante democratico con lo svuotamento della sovranità in campo economico sia dal punto di vista dei diritti sociali e dei salari. La forma che assume lo stato in questa tendenza progressiva è quella di essere un dispositivo per il disciplinamento dei subalterni senza nessuna forma di mediazione sociale. La Valsusa ne è l’esempio lampante oltre al modello Marchionne.  E’ il ritorno allo stato liberale puro, tollerante per i dominanti e spietato con i subalterni che dovranno con il loro sudore assicurare sempre più margine di profitto al capitalismo in crisi.
 
In questo quadro  è sempre più chiaro che ciò che gli uni acquisiscono gli altri perdono: da ciò lo scatenarsi di numerosi e diversificati conflitti interni alla classe e dal basso verso l’alto. Si tratta di conflitti ben diversi da quelli a cui eravamo abituati: alla lotta “ordinata” dei lavoratori sindacalizzati, delle associazioni civili e delle stesse aggregazioni reticolari   si affiancano lotte di gruppi mai mobilitatisi prima d’ora o costretti a constatare l’inefficacia delle precedenti mobilitazioni: da ciò il carattere quasi sempre spontaneo, informe e spurio di queste lotte. Davanti a noi avremo spesso mobilitazioni sociali che si svilupperanno sempre di più senza il welfare, prive, cioè, degli usuali canali di espressione politica e di trasmissione istituzionale e quindi di mediazione. E’ un grave errore prendere le distanze dalle ultime lotte tacciandole di populismo : nelle attuali condizioni è quasi inevitabile che le nuove mobilitazioni assumano un carattere populista ,  fuggire il terreno nelle quali queste lotte sporche  si sviluppano significherebbe rifiutare di radicarsi nella realtà delle espressioni di massa. Bisogna starci dentro, comprenderle, distanziarsene, se necessario, solo dopo che si è fatto di tutto per trasformarle.   La sfida che abbiamo davanti è dunque enorme, abbiamo un campo d’intervento politico e sociale aperto che si sta determinando dalla fase costituente della crisi dove le contraddizioni che esplodono sono anche interne al capitale, al suo processo di gerarchizzazione globale e continentale che vede una feroce cannibalizzazione della grande impresa sulla piccola, di nuove concentrazione di capitale e di sfarinamento di interi bacini produttivi. Sia chiaro però che non saremo i soli a giocare questa partita, altri attori alla nostra destra si candidano a muoversi sui nostri contenuti. 
 
La sfida che abbiamo davanti è enorme. Vi dico però una cosa, quando siamo andati a Nardò, quando abbiamo pensato Nardò, nessuno di noi, pensava di riuscire a fare quello che abbiamo fatto. Non ci serve la speranza quindi, ma ostinata determinazione.
 
 Oggi noi non solo dobbiamo mettere in comune le pratiche nei gruppi di lavoro, non dobbiamo semplicemente raccontarle,  ma dobbiamo  produrre una proposta politica ed  organizzativa, in grado di determinare una continuità nelle pratiche, con  degli obbiettivi praticabile e con forme di autofinanziamento adeguate.
 
Indico alcuni punti sui quali i gruppi di lavoro dovranno discutere.
 
Continuità organizzativa con la rete, vuol dire che i compagni  impegnati nelle pratiche sociali nei territori, possano confrontarsi con un responsabile regionale dell’organizzazione/pratiche sociali del partito per definire obbiettivi e consolidamento degli interventi e restare connessi sul livello nazionale. Questo vuol dire da subito dire ai segretari regionali e provinciali del partito che chi si occuperà di organizzazione/pratiche sociali dovrà essere capace di lavorare in questo senso nel proprio territorio senza rimandare al nazionale l’organizzazione delle pratiche.  Il partito insomma deve pensare il suo intervento organizzativo non solo nella dimensione classica ma anche in quella delle pratiche sociali che vanno consolidate e saranno oggetto di valutazione.
                                                            
Continuità organizzativa nella rete, vuol dire che i compagni che operano nelle strutture associative e nelle pratiche sociali, si dotino di una struttura che a livello nazionale permetta la costante connessione tra loro e con i compagni di riferimento a livello nazionale.  Per questo i gruppi di lavoro di oggi devono dal mio punto di vista avere una forma stabile, nella quale si fissano obbiettivi comuni e programmi per consolidare le attività esistente e determinarne di nuove.
 
Continuità formativa vuol dire che dobbiamo dotarci di moduli formativi per dare ai compagni impegnati nella “direzione” delle pratiche sociali strumenti politici ed operativi per lavorare nei territori. Per questo chiedo ai compagni impegnati nei gruppi di lavoro di oggi di lavorare anche su proposte formative che vanno in questa direzione e di dare una mano nei prossimi giorni per la costruzione di un manuale delle pratiche sociali.
 
Continuità Comunicativa  vuol dire dotarsi di strumenti adeguati, siti internet, fanzine, giornali, social network in grado di fluidificare il processo di connessione interno tra i soggetti e la comunicazione politica esterna.
 
 Continuità degli obbiettivi vuol dire concepire lo sviluppo delle pratiche sociali come elemento concreto e verificabile dello sviluppo del nostro partito. Penso che dire che tra 6 mesi ogni federazione in Italia debba consolidare una pratica sociale sia un punto centrale del nostro lavoro.
Autofinanziamento  Vuol dire concepire il nostro rapporto con lo stato in termini differenti rispetto a prima. Se lo stato si ritira non possiamo pensare che siano i bandi pubblici delle associazioni ad assicurare il finanziamento della nostra attività. Questa pratica distorsiva non è da rifuggere ma non può essere il punto di dipendenza del nostro processo. Occorre pertanto rimettere in piedi forme di finanziamento popolare in grado di fornire sostegno alle pratiche sociali, dalle feste, alle lotterie a quant’altro.
La sfida più grande che abbiamo davanti inoltre è quella di ridefinire il concetto di militanza di classe, anche dal punto di vista simbolico, chi siamo e come facciamo percepire la nostra diversità è un altro tema che gruppi di lavoro devono affrontare e che poi riaffronteremo nella plenaria di oggi insieme al nostro segretario.  Abbiamo detto che la dimensione della militanza sociale intrecciata a quella della militanza politica doveva essere un punto di sviluppo concreto del nostro agire. L’investimento sui circoli, per renderli competenti è pertanto centrale perché essi sono ancora i luoghi che più concretamente incontrano il nostro blocco sociale e rappresentano il punto di contatto diretto tra partito e popolo della crisi. Ritengo che i tempi di vita del nostro blocco sociale costretto a rincorrere la crisi, entrano in contraddizione con la possibilità d’intendere il modo di fare politica così come lo abbiamo conosciuto. Tempi e modi dell’organizzazione del nostro partito vanno cambiati tenendo conto dei tempi di vita del nostro blocco sociale. Non possiamo ad esempio fare iniziative o riunioni durante le ore lavorative. Se dobbiamo essere un partito di un blocco sociale allargato dobbiamo permettere ad esso di parteciparvi.
Faremmo un grave errore infatti se pensiamo che il partito che verrà partirà da noi che siamo qui oggi, il partito che verrà, deve essere innanzitutto espressione del blocco sociale di quello che prima ho definito popolo della crisi. Il partito che verrà, sempre che riusciremo a farlo dovrà quindi essere  percepito da esso come uno strumento reale per i processi per l’autoemancipazione collettiva. Per questo dobbiamo essere spietati con noi stessi continuamente, per  essere amici dei ragazzi di strada il quartiere generale va costantemente bombardato.
 
Alcune tracce per i gruppi di Lavoro
  
Primo gruppo lavoro
• Come organizzare la resistenza contro il carovita difendendo la sovranita' alimentare: Questo gruppo di lavoro  si pone l'obiettivo di rafforzare su scala nazionale l'intero processo aperto con i GAP.  Come costruire dal punto di vista organizzativo piattaforme dei prodotti, come e con quali forme di finanziamento, che tipo di campagne sviluppare, come coniugare il tema della sovranità alimentare con la crisi agricola, e che tipo di campagne svilippare.
Secondo Gruppo lavoro
• Come organizzare sportelli sociali, dalla casa alle cure mediche.   Casa, welfare, sanità sono i terreni principali che impattano nella dimensione sociale del popolo della crisi. Costruire una riflessione che dia al nostro partito la possibilità attraverso le pratiche sociali,  di prendere in considerazione l’intera fascia dei bisogni sociali degli individui è un punto fondamentale per la costruzione di forme di contrattazione e vertenza territoriale. Riusciamo a intrecciare i vari terreni? Riusciamo a connettere questa esperienza sul piano nazionale?
Terzo Gruppo lavoro
• Come intervenire sulle emergenze ambientali -  Come riusciamo a coniugare la solidariertà attiva nelle situazioni di crisi con la politicizzazione dell’intervento? Come e con chi operare negli interventi di base? Come costruire rivendicazioni politiche a partire dall’intervento praticato? Come organizzare una forma di autofinanziamento su questo terreno? E’ possibile avere un coordinamento nazinoale sempre operativo in grado di mobilitarsi nelle emergenze?
Quarto Gruppo di lavoro
• Come organizzare casse di resistenza e supporto diretto alle lotte sul lavoro. E’ possibile definire  un modello d'intervento sul terreno del sostegno alle lotte replicabile in ogni vertenza.  E’ possibile costruire casse di resistenza che partendo dalla singola lotta possano ricomporre su un terreno più largo nuove forme di mutualismo strutturato tra i lavoratori?
Quinto  gruppo di lavoro
• Come lottare contro il classismo etnico  - Come continuare le lotte intraprese a Nardò su un versante più esteso? Come supportare tali processi ? Che tipo di rete nazionale supportare? Come sciogliere le contraddizioni fino ad ora affrontate su questo terreno?

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