120316rosarinaldiCare compagne e cari compagni,
questa è la prima riunione del Dipartimento Ambiente-Territorio-Beni Comuni dopo il congresso di Napoli. La prima riunione dopo la stagione dei referendum, che ha prodotto una trasformazione nella cultura collettiva sul privatismo e sulla demercificazione di beni come l’acqua e che ha rimesso a tema la questione della democrazia partecipata, ed oggi , nonostante la vittoria dei referendum, è squadernata la questione della ripubblicizzazione dell’acqua sia da un punto di vista delle norme sulle liberalizzazioni sia per il blocco che molte realtà amministrative frappongono. Un’esperienza, questa, che parla anche al nostro modo di essere e di funzionare. Il nostro congresso aveva come slogan : “ Connettiamoci” e di questa connessione se ne avverte tutta l’urgenza. Perciò ritengo che questo dipartimento, sia per la vastità delle materie di competenza sia per le aderenze che queste hanno con le pratiche e le scelte che si compiono nei territori, debba prevedere una partecipazione alla direzione e alla responsabilità delle compagne e dei compagni impegnati nei territori.
Il senso di questa prima riunione è provare a costruire un profilo programmatico per la nostra azione, che torni a definire coerenze e orientamenti sull’ampio spettro delle materie di cui ci occupiamo, un orientamento che si costruisce attraverso le esperienze locali e gli atti che si assumono, capace di ridefinire coerenze e impostazioni condivise e utili per il partito.

A questo scopo proponiamo di ridotarci di coordinamenti e gruppi di lavoro tematici ai quali chiediamo di dare la vostra disponibilità e la vostra adesione.
Abbiamo chiesto ad alcune compagne e compagni di assumersi la responsabilità di coordinare alcune delle attività del dipartimento.
Quel che succede in Val di Susa ci restituisce, così come ha fatto il referendum del giugno 2011 per l’acqua, il significato di Bene Comune.
La popolazione della Val di Susa, come il Forum Italiano dei Movimenti dell’Acqua hanno compiuto un percorso simile per il riscatto dei Beni Comuni dalla privazione che negli anni si è compiuta.
Un’acquisizione culturale e sociale comune ai due movimenti, che è diventata pratica politica per governare direttamente il territorio in cui si vive e ”l’acqua senza la quale non si vive”.
Principi e valori incompatibili con la misura della moneta e la sovranità del mercato di cui, viceversa, si inebria la cultura del governo che ricorre all’uso della forza per imporre le sue scelte.
Giacché i drammi del nostro tempo (crescente povertà e segregazione urbana, crisi della democrazia e crisi dell'ambiente naturale, spaccatura del mondo e repressione della diversità, solo per ricordarne alcuni) sono indissolubilmente legati alla nuova fase del capitalismo, prenderemo a prestito la frase di una compagna del comitato dell’acqua di Torino dico che dobbiamo: “Disarmare i mercati in difesa dei Beni Comuni”.
Se guardiamo alla Grecia osserviamo che mentre tutti affermano che farà default, tuttavia, non si discute se ci si arriverà dopo che ai lavoratori e ai cittadini verrà tolto quanto avevano conquistato nel corso del secolo scorso e dopo aver svenduto alla finanza internazionale tutto il vendibile (porti, utility, servizi pubblici, acqua, edifici, isole, spiagge,magari anche il Partenone) o se la dichiarazione di insolvibilità arriverà prima delle svendite, in ragione della mobilitazione popolare e della sua diffusione in altri paesi, compreso il nostro. La difesa dei beni comuni e del patrimonio collettivo diventano oggi la frontiera su cui ergere un’alternativa di progetto sociale ed economico.
Al congresso abbiamo deciso di dare vita alla Costituente dei Beni Comuni e del Lavoro. Una scelta che abbiamo messo a disposizione del movimento e che individua i beni comuni costituenti di un'alternativa di società, una chiave per la trasformazione. Cogliere fino in fondo la critica al privatismo che ci ha consegnato il risultato referendario, per una nuova stagione di partecipazione diretta alla cosa pubblica, per la ripubblicizzazione e perché il pubblico torni ad occuparsi del governo e non della mera amministrazione. Insomma beni comuni per riaprire una visione sul futuro, per un altro modo di produzione fondato sulla ricerca e l'innovazione, per una conversione ecologica dell'economia, utile ad elaborare una prospettiva in cui riconoscersi, perché, per dirla con una compagna del comitato dell'acqua pugliese: “I beni comuni appartengono alla categoria dell'essere e non dell'avere”.
Abbiamo partecipato all'assemblea di Napoli, indetta da De Magistris, condividendone gli obbiettivi che interrogano anche la nostra responsabilità e che in sintesi riassumo: dobbiamo impegnarci perché nei comuni l'acqua sia gestita attraverso un modello pubblico e partecipato come a Napoli con ABC; dobbiamo uscire dalla logica del profitto e far eliminare il 7% dalle bollette ed operare perché i comuni si dotino di aziende speciali per la gestione dell'acqua; dare luogo ad un piano d'azione per le energie rinnovabili, così come uscire dal circuito di inceneritori e discariche, fondando la politica e la gestione dei rifiuti sulle tre “R”; arrestare il consumo di suolo e prevedere limiti all'espansione sui suoli agricoli. Ci interessa l'ipotesi di costruzione di una “Carta Europea dei Beni Comuni” come valore fondante dell'Unione utile a fronteggiare “la dimensione mercantile del diritto comunitario”. Dovremo dotarci di un gruppo di lavoro che metta a tema il percorso di costruzione della costituente.
“Gli eccezionali accadimenti che hanno scosso il Paese nei mesi scorsi: le frane e le alluvioni al nord come al sud rendono evidente che alla radice di ognuno di essi sta, sia il cattivo uso del suolo, il continuativo ed insensato disfacimento di equilibrati ecosistemi naturali, sia il violento e pervicace sfruttamento intensivo del suolo a scopi edificatori. Condizione, questa dovuta all’abbandono di qualunque strumento della pianificazione territoriale.”
Se pensate che queste parole descrivano la cronaca degli scorsi mesi o delle passate settimane, ebbene, sbagliate. E' l'editoriale del dicembre 1966 di Giovanni Astengo sulla rivista “Urbanistica” organo ufficiale dell'INU. Come vediamo a distanza di decenni la situazione è tutt'altro che cambiata e la verità è che senza piani territoriali ed urbanistici efficaci, per la stretta connessione fra le carenze di pianificazione e dissesti territoriali pretendere un'efficace sistema di controllo equivale spesso alla fatica di Sisifo.
A seguito di quei fatti e della frana di Agrigento del 1966 persino un parlamento a maggioranza democristiana e di centro destra dovette indursi ad imparare la lezione dalla tragedia dando un seguito operativo, sia pure parziale, alla prima e fondativa legge urbanistica del 1942 che era stata insabbiata prima dalla guerra e poi dalle pressioni dell'urgenza ricostruttiva. Oggi le tragedie e i dissesti idrogeologici vengono archiviati non appena l'occhio della telecamera si allontana. Forse che si debba spettare un evento ancor più catastrofico (magari, questa volta, non di carattere edilizio, ma ecologico-ambientale) per rendersi conto della strada su cui ci si è tornati a mettere ?
Il ritorno ad efficienti strutture di pianificazione urbanistica, che sono state progressivamente smantellate dalla stagione di deregulation apertasi negli anni 90 e dilagata sino ai giorni nostri , costerà alla collettività una piccola frazione dell'insieme dei danni provocati dall'assenza di tale scelta. Occorre che lo Stato anziché stanziare quanto ha previsto per riparare i danni delle catastrofi avvenute ponga fine alla ormai troppo lunga stagione dell’urbanistica contrattata che ha trasformato in “economistica” l'urbanistica e la pianificazione territoriale, offrendo ai comuni la “manna” della possibilità di far fronte alle ristrettezze contingenti dei bilanci consegnando al libero arbitrio dei costruttori l’uso del suolo. Insomma, quella “città occasionale” di cui Francesco Indovina indicava i guasti in un suo libro di qualche anno fa. Occorre uscire dal neoliberismo economico, oggi prevalente che ritiene un lusso insostenibile mantenere le regole di un progetto pubblico di territorio e città socialmente individuato e condiviso per dare seguito coerente alle parole d’ordine di “città e territorio come beni comuni”, risorsa strategica da sottrarre alla dominanza univoca del folle processo di urbanizzazione senza regole se non quelle della rendita e del profitto.
E di questo ci parla l’art.7 della legge del 12 novembre 2011che prevede la vendita, in tempi rapidi dei terreni agricoli demaniali, e peggiorato sensibilmente dagli emendamenti apportati da Monti laddove ne estende l'applicazione ai terreni “a vocazione agricola” seppure menzionati al comma 2: “… al fine di favorire lo sviluppo dell’imprenditorialità agricola giovanile è riconosciuto il diritto di prelazione ai giovani imprenditori agricoli”. I destinatari non sono certo i giovani imprenditori agricoli giacché si prevede la possibilità dopo solo 5 anni di un cambio di destinazione d'uso.
Infatti: “Nell’eventualità di incremento di valore dei terreni alienati derivante da cambi di destinazione urbanistica intervenuti nel corso del quinquennio successivo alla vendita, è riconosciuta allo Stato una quota pari al 75% del maggior valore acquisito dal terreno rispetto al prezzo di vendita”. Lo stato opera un’apparente disincentivo al cambiamento d’uso dei terreni per soli 5 anni senza altra garanzia di salvaguardia ambientale; come se non ci fossero soggetti disponibili ad investire su una possibile rendita fondiaria che si rivaluta nel giro di 5 anni! “i terreni agricoli dello Stato, dismessi per ridurre il debito pubblico, diventano, così, facile preda della speculazione edilizia e della cementificazione selvaggia”.
Insomma, con la scusa di aggredire il debito pubblico, si dà un colpo mortale a un settore già in crisi come quello agricolo, rendendo i terreni dismessi appetibili più per la speculazione del cemento che non per la coltivazione.
L’agroalimentare è il primo settore produttivo per prodotto lordo vendibile in Europa ed il secondo in Italia dopo il settore metalmeccanico e sono quasi ventitré milioni gli italiani che vivono in comuni definiti rurali.
Il settore agro-alimentare e zootecnico, tra crisi cicliche e ristrutturazioni varie, pare essere investito da fenomeni come:
a. concentrazione della “risorsa terra”, dei processi produttivi, degli allevamenti e dei redditi complessivi,
b. scomparsa o riduzione drastica di piccole e medie aziende agricole
c. resistenza dell’azienda diretto coltivatrice che affronta la competitività “ineguale” attraverso un maggiore impegno di lavoro familiare e, dove possibile, attraverso l’aumento dell’autonomia dal mercato d’intermediazione (trasformazione, vendita diretta, mercato di prossimità)
d. mancanza di politiche appropriate che supportino fenomeni di ristrutturazione e consolidamento di attività effettive di diversificazione produttiva capaci di arrestare la mortalità aziendale e mantenere una capacità produttiva efficiente in grado di gestire il territorio agricolo regionale
e. penetrazioni della criminalità organizzata nei processi produttivi (caporalato, lavoro nero) e di commercializzazione.
Per questo i Piani di sviluppo rurale regionali e tutti gli strumenti che attingono ai fondi comunitari dovrebbero essere incentrati a sostenere soprattutto le piccole e medie aziende in difficoltà nel campo dell’agroalimentare e della zootecnia
In agricoltura è drammatica la situazione riguardo il lavoro nero, pericoloso, mal pagato e che vede coinvolti soprattutto (ma non solo) migranti, con lavori sempre più pesanti e sempre meno redditizi. Occorre fare buone leggi regionali sugli indici di congruità che insieme alla legge nazionale di lotta la lavoro nero tramite la richiesta del DURC (documento unico di regolarità Contributiva) permetterebbero di limitare e contrastare un fenomeno drammatico. Rispettare i diritti dei lavoratori in agricoltura non è solo una questione etica e di diritto ma anche un investimento per il futuro in quanto oggi è impossibile competere nei mercati internazionali risparmiando sul costo del lavoro, ci saranno sempre lavoratori pagati meno dei nostri nel mondo, bisogna investire sulla qualità e la qualità passa anche per la qualità del lavoro ed il rispetto dei diritti dei lavoratori. Il decreto sicurezza del governo, con l’introduzione del reato di clandestinità rischia di far diventare parecchie aziende agricole di fatto fiancheggiatrici dell’immigrazione clandestina. Premesso che il decreto sicurezza è anticostituzionale ed incivile si dovrebbe almeno nell’immediato fare in modo che alla pari di colf e badanti anche per i lavoratori agricoli dovrebbe valere la sanatoria.
Un modello agricolo può dare un grande contributo alla riduzione di emissioni e favorire energie alternative, a partire dal risparmio energetico del metodo biologico che va incentivato e tutelato.
Tuttavia vi sono crescenti perplessità sull’uso intensivo e centralizzato che si è cominciato a farne su molti terreni agricoli d’Italia e d’Europa e se il fotovoltaico rimane centrale e importante nella rivoluzione energetica, bisogna fare in modo che non comprometta i terreni agricoli e sfrutti invece la miriade di altri spazi che ci sono in Italia e che sarebbero più adatti.
Come si vede sono molte le cose su questo settore che dovremo affrontare. In cartellina trovate alcune schede e contributi inviateci dai territori ed anche qui, come sui beni comuni, c’è un lavoro da fare insieme sia al Dipartimento Lavoro e Mezzogiorno per l’inchiesta avviata su lavoro ed economia in agricoltura.
E’ del tutto evidente la nostra presenza nelle vertenze territoriali, si pensi alla vicenda di Rosarno o a quella di Nardò dove lo sfruttamento dei migranti è paragonabile alla riduzione in schiavitù. Dobbiamo quindi essere capaci di opporci alle speculazioni e capaci di costruire legami sociali e proposta politica che, appunto, nasca dalle esperienze che nei territori si stanno facendo. I compagni e le compagne della Sicilia ci hanno mandato uno studio molto importante che vi faremo avere, non lo abbiamo messo in cartellina perché sono molte slide, ma vi faremo avere per e-mail, materiali e documentazione su questo settore che metteremo a disposizione delle compagne e dei compagni e per i lavori del coordinamento agricoltura.
Altro settore rilevante è quello dei parchi e delle aree protette. Abbiamo chiesto ad alcuni compagni che vi operano di aiutarci a costruire un profilo politico del Partito per questo settore relativo alla conservazione della biodiversità che è questione importante per il futuro del pianeta; la difesa e la conservazione del bene comune del paesaggio, il rapporto con la filiera corta in particolare dei prodotti agroforestali, l’agricoltura biologica, i prodotti di qualità certificati, il turismo sostenibile. I parchi e le aree protette rappresentano una percentuale di territorio nazionale assolutamente non trascurabile.
Possono rappresentare davvero un laboratorio per progettare e praticare un modello di sviluppo diverso da quello attuale e con ricadute di miglioramento dell’ambiente e di sua messa a valore sul piano della fruibilità. In questo senso, quindi, abbiamo chiesto a due compagni come Franco Zunino e Mino Calò che con le loro conoscenze, competenze e saperi ci aiutino a sviluppare e progettare un’iniziativa politica su queste materie che riguardano molta parte del nostro territorio da Nord a Sud.

Il referendum contro il nucleare ha riaffermato che l’Italia non vuole il nucleare ed è quindi necessario dare vita alla stagione delle rinnovabili.
Sulle questioni energetiche c’è tanta vertenzialità nei territori. Si pensi soltanto alle vicende della trasformazione a carbone che attraversa tutto il paese dalla Calabria, al Veneto, alla Liguria, vertenze sulle quali dovremmo dotarci di un gruppo di lavoro che sulla questione carbone unifichi la nostra iniziativa sul territorio, così come sulla questione delle trivellazioni nel Mare Adriatico (su questo il compagno Maurizio Acerbo ha presentato a suo tempo una proposta di legge). Si è tenuta in Puglia, a Monopoli, una manifestazione alla quale abbiamo partecipato; prevediamo di costituire un gruppo di lavoro che metta insieme tutte le realtà della costa adriatica giacché gli interventi normativi stanno peggiorando la situazione e non la migliorano.
Siamo presenti nelle vertenze, dobbiamo tendere ad unificare le iniziative e contemporaneamente essere portatori di proposte come sulle trivellazioni, così come a suo tempo aveva fatto Maurizio Acerbo con la presentazione della legge. Sappiamo che su questi terreni si aprono conflitti e contraddizioni “economiche” tra lavoro e ambiente. Quella contraddizione che negli anni si è attraversata, soprattutto per il lavoro fatto, allora, dalle organizzazioni sindacali che erano riuscite ad attraversare la contraddizione tra lavoro, salute e salubrità dell’ambiente e che oggi torna ad essere ancora questione che crea conflitto anche al nostro interno. Di questo ci parla la vicenda della riconversione a carbone della centrale di Civitavecchia, che vedeva il Partito impegnato contro il carbone, si fece anche un referendum popolare, ma che, tuttavia, il circolo di Rifondazione dell’Enel era su un'altra posizione. Non è questa una questione che riguardi solo Civitavecchia, ma riguarda oggi tante altre realtà da Porto Tolle alla Calabria e così via. Abbiamo quindi la necessità, nel contrastare il ritorno al carbone, e essere portatori di capacità di confronto e di proposte alternative sia all’interno del partito sia verso le lavoratrici e i lavoratori che vi operano.
Come la affrontiamo? Facendoci portatori di ipotesi alternative che rompano la contraddizione tra lavoro e ambiente.
Sulle rinnovabili siamo presenti in tanti movimenti e associazioni, per esempio nell’associazione sulle rinnovabili cui ha dato vita Alfiero Grandi e che ha recentemente tenuto l’assemblea nazionale, alla sottoscritta è stato chiesto di far parte della presidenza. Questa associazione come il Forum Ambientalista, sono ambiti di lavoro e di relazione importanti. Dobbiamo dare vita ad un coordinamento energia interdisciplinare che lavori sulla questione del carbone, del petrolio e del gas, sulle biomasse, per le rinnovabili, contro il nucleare.
Anche sui rifiuti c’è la necessità di recuperare pienamente il percorso della raccolta differenziata, con l’obiettivo dei “rifiuti zero” di Paul Connet e che metta insieme esperienze significative, come quella di Napoli e di Capannori, solo per citare quelle a noi più note.
Esperienze positive da tradurre in una vera e propria iniziativa nazionale capace di costruire orientamento in questa direzione e anche di quale visione abbiamo del sistema di produzione, quale occupazione, quale gestione dei territori (es. caso Malagarotta). Insomma farci portatori di un progetto e di una iniziativa che sia comprensibile, che sia netta per la fuoriuscita dal ciclo discariche e inceneritori. Se chiediamo alle persone di fare la differenziata e poi quel che si produce è cdr (combustibile da rifiuti) che va a finire negli inceneritori, è evidente che la politica perde di credibilità.
Ci sono affari malavitosi attorno alla questione rifiuti, come le ecomafie. Ed è per noi un ambito di intervento importantissimo.
In molte discariche, non destinate a rifiuti speciali, vengono scaricati amianto e rifiuti pericolosi. Se abbiamo gioito dopo la sentenza di Casale Monferrato, tuttavia la questione rimane aperta per molti altri territori e per molte persone. Per questo ho chiesto ad Anna Maria Virgili di aiutarci in questo lavoro in ragione dell’esperienza che ha.
Sono molte le questioni che ho tralasciato, tuttavia vorrei dare spazio ai vostri interventi e suggerimenti.
Concludo dicendo che un dipartimento come questo non può che avere una relazione stretta e contingente con i territori. Il punto adesso è se saremo capaci, partendo dalle esperienze territoriali, di definire un profilo politico ed orientamenti utili per tutto il partito e di operare sui temi multipli dell’ambiente. E’ necessaria la partecipazione di tutti ed è necessario ricostruire un modo di lavorare insieme, pur nelle difficoltà economiche che stiamo attraversando. Per questo utilizzeremo molto di più gli strumenti della comunicazione on-line e cercheremo di essere maggiormente presenti nei territori.
Le compagne e i compagni dei territori sono presenti nei movimenti e nelle associazioni, quel che è venuto a mancare è stato il protagonismo dei partiti e della politica e in parte anche il nostro. Un protagonismo che si esprima attraverso la capacità di proposta e di soluzioni utile ad un’ipotesi di trasformazione.
Perciò dovremo dotarci di un piano di lavoro, non solo oppositivo, ma anche e soprattutto propositivo, che provi a contribuire, per il partito tutto, ad un’ipotesi di trasformazione della società, ad una alternativa alle politiche in atto.
Ho chiesto a Monica Sgherri, consigliere regionale in Toscana, di far parte del coordinamento nazionale e di lavorare in particolare sul tema dell’acqua, così come ho chiesto a Maurizio Acerbo, consigliere regionale in Abruzzo, di aiutarci sulla politica di pianificazione territoriale. Chiedo ad altre compagne e ad altri compagni di dare una disponibilità a lavorare nei vari settori.
Abbiamo pensato di dotarci di un osservatorio nazionale strutturato sulle varie materie in modo da essere capaci di ricevere dai territori i provvedimenti, le azioni messe in campo, le proposte e dall’altro di restituire le informazioni a tutte le strutture. Ho chiesto di fare questo lavoro al compagno Gianluca Schiavon.
Il compagno Davide Pappalardo si occuperà del coordinamento organizzativo, organizzazione delle iniziative, rapporti con i territori, comunicazione ambientale, articoli e piccole inchieste in collaborazione con i territori, gestione forum tematici e, insieme alla compagna Alessandra De Luca che garantirà il lavoro di segreteria del dipartimento e i contatti con le strutture, del sito, dei social network e delle newsletter settimanali.
Ringrazio, davvero, tutte le compagne e tutti i compagni che nei giorni scorsi ho sentito e che mi hanno fornito spunti preziosi per la relazione, ed ho potuto verificare che c’è molta più ricchezza in quello che viene fatto sui territori di quella che noi riusciamo ad immaginare ed è proprio per questo che sarebbe un peccato sciupare progettualità, esperienze e conflitto che si esprimono sui territori. Anche per questo dobbiamo dotarci di un messaggio e di una capacità nostra di costruire una proposta ed una politica nazionale.

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