1) Definire i livelli essenziali delle prestazioni sociali per rendere esigibili diritti e servizi uniformemente su tutto il territorio nazionale.

 

2) Definire un piano nazionale sulla non autosufficienza, favorendo maggiore integrazione socio-sanitaria, assistenza domiciliare e deospedalizzazione. A tal proposito va ripristinato il fondo nazionale con almeno 1 miliardo di euro.

 

3) Rifinanziare il fondo nazionale per le politiche sociali con almeno 1,5 miliardi al fine di rafforzare la rete dei servizi sociali pubblici, dagli asili nido all’assistenza per le persone con disabilità.

 

4) Fissare un percorso graduale per raggiungere su tutto il territorio nazionale i tassi di copertura dei servizi per l'infanzia previsti dal QSN 2007-2013 (12%) e dagli obiettivi di Lisbona (33%).

 

5) Svincolare dal patto di stabilità interno dei comuni gli investimenti sul sociale.

 

6) Riorganizzare i sistemi di welfare locale attraverso una maggiore integrazione tra politiche sociali, sanitarie, dell’istruzione e del lavoro in ambiti territoriali omogenei, incentivando la partecipazione attiva dei cittadini e delle organizzazioni che li rappresentano nell’individuazione dei bisogni e nella valutazione della qualità dei servizi.

 

7) Stabilire a livello nazionale criteri equi di partecipazione alla spesa sociale, vincolati al principio costituzionale di progressività, tutelando redditi bassi e famiglie con persone con disabilità, considerando il lavoro di cura (diretto e indiretto) dei famigliari ed escludendo dal calcolo reddituale trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari esenti da Irpef.

 

8) Modificare il sistema degli appalti pubblici vietando, sanzionandoli, i ricorsi al massimo ribasso e prevedendo clausole di tutela dei diritti dei lavoratori sociali, a partire dal rispetto dei CC.NN.LL.

 

9) Definire le figure professionali di rilievo nazionale per il comparto sociale (socioeducativo, sociosanitario, socioassistenziale e per l'inclusione sociolavorativa dei soggetti svantaggiati) al fine di garantire sia l’efficacia delle prestazioni che le tutele dei lavoratori.

 

Nella crisi aumentano disoccupazione, povertà, disuguaglianze. Contemporaneamente lo stato sociale viene smantellato, riducendo così la capacità di risposta ai bisogni, vecchi e nuovi, da parte delle istituzioni pubbliche. L’azzeramento del fondo nazionale sulla non autosufficienza, il quasi azzeramento di quello per le politiche sociali (passato da 1 miliardo nel 2008 a pochi milioni di euro nel 2012), i tagli agli enti locali stanno determinando un forte ridimensionamento, quando non la chiusura, di servizi e prestazioni sociali. I diritti sociali costituzionalmente garantiti vengono così negati. Anziani, persone con disabilità, minori e lavoratori del settore vengono abbandonati a loro stessi in nome del rigore e del bilancio, facendo emergere una concezione folle che considera le risorse per il sociale costi improduttivi da tagliare.

 

“Non si può pensare che lo Stato sia in grado di fornire tutto in termini di trasferimenti e servizi. Sia il privato che lavora per il profitto sia il volontariato no profit sono necessari per superare i vincoli di risorse. Il privato, in più del pubblico, possiede anche la creatività per innovare e per creare prodotti che aiutino i disabili. La sinergia tra pubblico e privato va quindi rafforzata” (Ministro del Lavoro, Elsa Fornero – maggio 2012). Le parole hanno un peso, ma diventano macigni quando si trasformano in realtà. Questo governo, come il precedente, sta favorendo un processo di progressivo arretramento del pubblico per lasciare spazio al mercato, libero di fare profitto anche sul sociale, a partire dalle polizze assicurative per poter accedere a determinati servizi e prestazioni.

 

Lo stato, grazie a Berlusconi, ieri, e a Monti, oggi, non rimuove più gli ostacoli all’uguaglianza sociale. La Costituzione diventa così lettera morta.

 

Finora il peggio si è riuscito ad evitare grazie all’intervento degli enti locali, che sono riusciti in parte ad ammortizzare l’impatto dei tagli con risorse proprie, e al welfare familiare, con un ulteriore appesantimento del carico del lavoro di cura da parte dei familiari, soprattutto donne, costrette a sostituirsi al pubblico per garantire assistenza. Basti ricordare che solo un anziano non autosufficiente su cinque usufruisce dell’assistenza domiciliare.

 

Invertire la tendenza. Si tratta di sostenere una cultura politica che rimetta al centro il tema delle risorse per il sociale come investimenti per il futuro e non come costi da tagliare, che tenga insieme libertà e uguaglianza, sviluppo economico, sviluppo sociale, giustizia redistributiva. Ma non vogliamo rivendicare maggiore risorse e basta. Vogliamo promuovere un nuovo modello di organizzazione di welfare pubblico e universalistico, in grado di rispondere ai bisogni nella crisi, ma anche di creare quelle condizioni di redistribuzione di reddito e benessere, di prevenzione delle disuguaglianze, facilitanti uno sviluppo sociale, economico e occupazionale sostenibile. Un sistema integrato di servizi, sociali e sociosanitari, ben organizzato, con le giuste professionalità può favorire inclusione sociale e lavorativa delle persone. Un modello di welfare pubblico contro derive caritatevoli e privatistiche. Il pubblico deve riprendere il ruolo chiave di programmazione, attuazione e controllo dei piani di intervento sociale, incentivando la partecipazione dei soggetti del terzo settore e della cittadinanza. Il privato sociale deve allargare la sfera dei servizi pubblici senza sostituirli. I cittadini devono poter partecipare alle scelte che li riguardano e poter valutare l’efficacia degli interventi. I lavoratori sociali, che rappresentano la colonna portante dei sistemi di welfare locale, devono vedersi garantiti i diritti ad un salario dignitoso e ad una maggiore stabilità. 

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