120707torturadi Moni Ovadia
Il mio amico Luciano Rapotez, 93 anni, ex comandante partigiano nella zona di Muggia - oggi segretario dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, sezione di Udine – non cessa di ripetere questa frase: «I dolori della tortura non vanno in prescrizione». In breve, la vicenda che lo portò a subire la crudele esperienza della tortura: dieci anni dopo la fine della guerra di Liberazione, Rapotez fu arrestato sotto casa sua a Trieste con l’accusa di triplice omicidio. La città giuliana viveva in quegli anni una lacerazione da guerra civile perdurante ed era pervasa da un forte revanscismo fascista. L’accusa era stata costruita ad arte per incastrare degli ex partigiani. Per farlo confessare gli agenti di polizia e di custodia, ex fascisti, lo sottoposero a 306 ore di tortura, nella forma di ogni sorta di tormento che il sadismo del torturatore alambicca contro la sua vittima inerme: ripetute percosse, privazione continua del sonno, negazione dell’acqua, del cibo e della soddisfazione dei bisogni corporali per giorni e giorni. Rapotez fu rimesso in libertà dopo l’assoluzione in assise per interessamento dell’onorevole Aldo Moro che era rimasto sconvolto dal suo caso e in seguito assolto in ogni grado di giudizio. Nel frattempo però la sua famiglia si era distrutta, non trovò più lavoro e dovette emigrare in Germania dove si rifece una vita.

Dal momento della sua liberazione, Luciano Rapotez ha cominciato la battaglia per ottenere giustizia per le torture brutalmente subite. Ha inoltrato petizioni a ogni nuovo presidente della Repubblica, alle autorità giudiziarie, ai Presidenti delle Camere ma senza risultato. In Italia tutt’oggi il reato di tortura non è previsto dal nostro codice penale malgrado il nostro Paese abbia ratificato la convenzione ONU contro l’odiosa pratica. Rapotez, dopo 45 anni stava per abbandonare la battaglia, quando vide ciò che accadde a Genova in occasione del G8 e decise di riprendere la lotta che lo vede impegnato ancora e senza posa. La verità sull’orrore di stampo fascista dei fatti di Genova oggi è finalmente emersa nell’ultimo grado di giudizio del lungo processo. Giustizia è stata fatta ma solo parzialmente. La criminale pratica medievale della tortura, ad opera di esponenti degli apparati dello Stato, è – a tutti gli effetti – lecita. E questo sarebbe un Paese civile, un grande Paese democratico? Questo è un Paese barbaro con gran parte della classe politica vile e opportunista che, con l’eccezione dei radicali e di pochi generosi esponenti della sinistra, tollera la più infame delle violenze e il fatto che nel corpo sano delle forze dell’ordine impegnate, spesso a rischio della vita, nella tutela dei cittadini e nella lotta alle mafie, si annidino sadici e fascisti nutriti di odio contro chi manifesta per i diritti.

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