costituzionedi Massimo Villone
Come se la Costituzione non ci fosse. La proposta del senatore Marcello Pera sull'elezione di un'assemblea costituente è pericolosa perché illegittima e grottesca. Dettata da un ceto politico in disarmo
L'assemblea costituente è l'ultimo sasso lanciato nello stagno della politica. È stata proposta il 7 giugno scorso - a firma di Pera, già Presidente del Senato, e di altri senatori del centrodestra - con l'As (atto senato) 3348. Ha ricevuto attenzioni, alcune ovvie, altre meno.
Cade un velo. Non più aggiornare, modernizzare: formule che negli anni hanno accompagnato il dibattito, leggendo la riforma come modifica anche sostanziale, ma alla fine rispettosa delle architetture fondamentali della Carta. Invece, la proposta vuole «la riscrittura del testo costituzionale», come dice la relazione. Mentre gli artt. 5 e 6 richiamano esplicitamente una «nuova Costituzione» e il «passaggio a un diverso ordinamento costituzionale».

«Diverso», non semplicemente rivisto o modificato; «ordinamento», e non innovazione mirata e parziale.
Sono concetti volti a una riformulazione integrale, o comunque a una modifica radicale dei fondamenti. Il messaggio è chiaro. I proponenti intendono cambiare l'intera Carta; o almeno riscrivere - in tutto o in parte - i principi che più la caratterizzano: eguaglianza, diritti, limiti al mercato, partecipazione democratica, rappresentanza politica. Possiamo pensare, in specie, a quelle norme che la stessa Corte costituzionale ha indicato come sottratte alla revisione (sent. 1146/1988). La proposta non avanza alcuna indicazione, pur sommaria, sui contenuti della riforma. E dunque non pone alcun limite ai poteri dell'Assemblea. In astratto, si potrebbe superare anche l'art. 139, e ripristinare la monarchia.
In realtà, si configura un potere costituente in senso stretto, e non un potere di revisione, costituito. Qui vediamo il problema. Può un potere costituito, e dunque derivato e geneticamente limitato, attribuire ad altri un potere costituente, geneticamente illimitato? Ovviamente no. Può un parlamento - cui non è consentito di stravolgere la Costituzione - attribuire ad un'altra assemblea il potere di stravolgerla? Ovviamente no. Si potrebbe forse dar vita a una «assemblea per la revisione costituzionale» come procedimento speciale modificativo dell'art. 138, ma non a una costituente assimilabile a quella che ha scritto la Costituzione vigente.
Istituire una assemblea denominata «costituente» non apre di per sé una vera fase costituente, che è concetto sostanziale prima che formale: un tempo in cui si stabiliscono le regole fondamentali in modo originario, senza la soggezione a norme preesistenti ed eteroimposte, e con il solo limite della effettività. È per questo che le Costituzioni nascono nei grandi rivolgimenti storici, in specie nelle guerre e nel sangue, e non nei meschini contorcimenti di un ceto politico in disarmo. Una finzione di assemblea costituente non cambia quel che si può, o non si può, fare.
L'As 3348 configura una legge di revisione costituzionalmente illegittima (che la Corte costituzionale ritiene assoggettabile al suo sindacato: sent. 1146/1988 cit.). Vuole infatti attribuire all'assemblea c.d. costituente un potere illimitato che la Costituzione oggi non consente. E sarebbe anche incostituzionale la nuova carta eventualmente approvata laddove toccasse parti immodificabili di quella attualmente in vigore. Questo perché la qualifica di «nuova Costituzione» che l'As 3348 conferisce al nuovo testo non potrebbe cambiare la natura giuridica del testo medesimo, pur sempre fondato nell'art. 138 Cost. Norma dalla quale vengono limiti sia al legislatore che approva l'As 3348, sia al legislatore istituito in attuazione dell'As 3348, sia ancora alla riforma scritta da quest'ultimo legislatore. Né il referendum necessario - ma senza previsione di soglia minima di votanti - sulla «nuova costituzione» (art. 5) cambia alcunché. Già oggi il voto popolare non sanerebbe il vizio di una revisione che fosse incostituzionale.
Quali rimedi? Anzitutto, la manifesta incostituzionalità della legge istitutiva dell'assemblea ci dice che il Presidente della Repubblica potrebbe rifiutare la promulgazione. Come potrebbe rifiutarla per la nuova carta eventualmente approvata (art. 5, comma 2), se sovvertisse i fondamenti di quella vigente. Inoltre, avanzando eccezione di incostituzionalità avverso una legge conforme al nuovo testo costituzionale, ma in contrasto con la Costituzione attuale illegittimamente riscritta, si potrebbe arrivare in via incidentale alla Corte e far valere la incostituzionalità del testo nuovo, laddove ciò fosse ancora nei poteri della Corte. Naturalmente, se gli scenari ipotizzati dovessero mai realizzarsi, ci troveremmo comunque in una gravissima crisi politica e istituzionale, dall'esito rischioso e incerto. Un prezzo altissimo, imposto da un ceto politico senza qualità che da più di vent'anni contrabbanda come debolezza della Costituzione l'incapacità di governare con efficacia il cambiamento, e persino di svolgere il proprio ruolo con dignità e onore.
I proponenti dell'As 3348 giustificano l'iniziativa anche con «la lunga e fallimentare storia dei tentativi parlamentari» di riforma. Dimenticano che proprio la loro riforma non fallì in Parlamento, ma nel referendum del 2006. Fallimento o vittoria? La politica colpevolmente non volle e non vuole tener conto di quel voto. Si vorrebbe invece che il Parlamento in assoluto meno rappresentativo della storia repubblicana riscrivesse la Carta da cima a fondo. Confidiamo che il popolo sovrano - migliore e più saggio dei suoi governanti - sia ancora pronto a difendere la sua Costituzione.

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