di Guido Scorza
Anche i blogger obbligati a rettificare entro 48 ore, a pena di vedersi condannati a pagare fino a 25 mila euro qualora non arrivino in tempo al mouse. E’ questo il contenuto – o, almeno, una facile e verosimile interpretazione – di un emendamento a firma del Sen. Mugnai [Pdl] e di altri, approvato oggi, dall’assemblea di Palazzo Madama, attraverso il quale si è esteso a tutti i “prodotti editoriali diffusi per via telematica, con periodicità regolare e contraddistinti da una testata” l’obbligo di rettifica previsto dalla legge sulla stampa.
Prevedere l’estensione dell’applicabilità della disciplina sulla stampa a tutti i prodotti editoriali online, purché diffusi con periodicità regolare e contraddistinti da una testata è esattamente il contrario di quanto di recente affermato dalla cassazione e, ancor più di recente dallo stesso Parlamento che ha previsto che le disposizioni sulla stampa si applichino solo a quei prodotti editoriali con ricavi superiori ai cento mila euro l’anno.
Davvero troppa confusione per un testo di legge che avrebbe dovuto realizzare un intervento chirurgico sulla vecchia disciplina sulla stampa in modo da evitare che un giornalista rischiasse la galera per via delle proprie idee ed opinioni. Sono un blogger, posto tutti i giorni e, dunque, in modo regolare e lo faccio sotto una testata rappresentata dal nome del mio blog, in bella mostra sopra i miei post: sono tenuto anche io all’obbligo di rettifica? In un Paese civile e che abbia a cuore la libertà di informazione, qualsiasi cittadino dovrebbe essere in grado di rispondere a questa domanda in modo istantaneo e senza bisogno di chiedere all’avvocato.
Da noi non è così già oggi – come insegna la vicenda di Carlo Ruta al quale ci sono voluti tre gradi di giudizio per sentirsi assolvere dal reato di stampa clandestina – e c’è ora il rischio concreto che lo sia ancora meno domani. Ordini, contrordini, disordini ed incertezza del diritto regnano sovrani e proliferano nella disciplina dell’editoria e dell’informazione online con un risultato ormai evidente e sotto gli occhi di chiunque non voglia fingere di non vedere: stiamo disincentivando una delle forme di informazione più libere della società moderna e stiamo spingendo centinaia di migliaia di “Citizen journalist” a desistere dal perseguire la propria passione e dal fare informazione.
E’ un crimine contro uno dei diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino: quello alla libera comunicazione delle idee e delle opinioni con ogni mezzo. I responsabili sono, sfortunatamente, i nostri parlamentari che anziché battersi per garantirci l’esercizio di tale diritto continuano ad azzuffarsi in aula – senza peraltro capire un gran che del contesto che pretendono di disciplinare – rendendo ogni giorno più confusa la disciplina della materia.
Lunedì si torna in aula al Senato per il voto finale. Se la norma passasse nella sua attuale formulazione, sarebbe il paradosso dei paradossi: una vicenda – come il caso Sallusti – che non ha niente a che vedere con la libertà di informazione che innesca un meccanismo perverso per effetto del quale con l’alibi – perché di questo si è trattato – di difendere la libertà di stampa si finisce con il restringere e limitare la libertà di informazione online.
E’ un lusso che un Paese democratico non può permettersi. State fermi e rinunciate a legiferare! E’ l’unico invito che si può rivolgere ai nostri senatori in vista del voto finale. Penserà il Capo dello Stato, se vuole, a salvare Sallusti e, in caso contrario, avremo visto applicare una legge, forse ingiusta, in modo giusto perché è fuor di dubbio che Sallusti non ha fatto libera informazione nell’episodio all’origine di questa tragicomica vicenda italiana.
Il Fatto quotidiano - 26.10.12