121029montidraghidi Lelio Demichelis
La casta. Intesa come ‘gruppo chiuso’ di persone che pretendono il godimento esclusivo di determinati diritti, ma anche di esercitare determinati poteri sulla base di una presunzione di potere superiore o diverso (senza regole, se non le proprie) rispetto agli altri poteri. C’è la casta degli intoccabili, dei potenti aggrappati alla poltrona, la casta dell’immoralità pubblica e privata e della corruzione, del potere fine a se stesso che viola quotidianamente le regole più elementari della democrazia e dello stato di diritto. Casta, oppure élite auto-referenziale. Oppure oligarchia. Parentopoli e tangentopoli.

Ma esiste anche un’altra casta, definibile come ‘tecno-casta’: è quella del governo Monti, dei professori, dei tecnici, della troika Fmi/Ue/Bce, la casta degli esperti, di coloro che si credono esperti o che vengono definiti come esperti, con i cittadini costretti a delegare loro il ‘potere’ non più in nome della democrazia liberale e rappresentativa ma dello ‘stato di necessità’ neoliberista (la crisi, l’Europa, Angela Merkel e le sue ossessioni) o meglio ancora (e il richiamo è ovviamente a Giorgio Agamben) dello ‘stato di eccezione’ (eccezione rispetto alle regole della democrazia, allo stato di diritto, alla sovranità popolare, alla cittadinanza, alle libertà sociali e politiche). ‘Stato di eccezione’ ormai divenuto la pericolosissima regola, la normalità, la quasi-banalità del male neoliberista, la perversa ‘norma-base’ di una nuova Costituzione materiale che ha sostituito la Costituzione sostanziale, ovvero quella delle libertà e dei diritti (e questa volta in nome di un’economia di mercato ormai unica ‘dimensione di senso’, unica ‘grande narrazione’ o totalitaria ‘biopolitica’ della postmodernità). E se è vero che l’antipolitica tende a portare alla dittatura o al populismo (forma mascherata di dittatura), è altrettanto vero che uno ‘stato d’eccezione’ diventato norma(lità) porta all’assolutismo dello stesso ‘stato d’eccezione’ e alla ‘democrazia sempre sospesa’.

Tecno-casta, allora: ‘gruppo chiuso’ di uomini che pretendono di avere/essere il sapere e la conoscenza e quindi di dover avere/essere il potere, esercitando, in nome di questa presunzione una azione politico-tecnica sull’intero paese. Tecno-casta: Monti, Fornero, Profumo, Passera, un militare come ministro della Difesa – e il presidente Napolitiano che la sostiene, essendone di fatto il ‘padre’ politico e l’ispiratore. Tecno-casta che riforma pensioni e lavoro, ma non il mondo della finanza. Tecno-casta che conferma la spesa (in crescita per di più) per i caccia F35 – spesa assolutamente inutile, incostituzionale e immorale. Tecno-casta che invoca norme anticorruzione senza avere il coraggio di ripristinare il reato di falso in bilancio. Che invoca austerità per tutti e taglia salari e stipendi, ma che permette (e non trova scandaloso che) al figlio del ministro Cancellieri – Piergiorgio Peluso – venga data una liquidazione di 3,6 milioni di euro per appena quattordici mesi di lavoro come direttore generale di Fondiaria Sai (scatenando le giuste rimostranze di Massimo Gramellini, su La Stampa). Una tecno-casta – e di più e peggio – che difende Gianni De Gennaro (non avendogli imposto le dimissioni dal governo), pur se condannato in Cassazione per i fatti di Genova 2001.

Anche il ‘potere’ dei tecnici, degli esperti, dei professori è dunque casta, è oligarchia auto-referenziale, è élite auto-nominatasi tale, è potere allo stato puro. Tecno-casta che è casta non solo in sé ma per sé, auto-riproducendosi, auto-validandosi, auto-legittimandosi (ancora lo ‘stato d’eccezione’, grazie al quale accresce il suo potere e la sua legittimazione). E’ potere quindi a-democratico – come ogni potere tecnico – che però si pone come obiettivo (Mario Monti) di cambiare il modo di vivere degli italiani. Introducendo una forma nuova ed esplicita di ‘biopolitica’ (intesa come ‘governo della vita’ di una popolazione), ma soprattutto di ‘disciplina’ (intesa come imposizione di determinati comportamenti funzionali) – nei sensi dati da Foucault a questi due concetti; e di cambiarlo – il modo di vivere – ovviamente secondo il ‘volere’ pedagogico della stessa casta: ancora neoliberismo, ancora riduzione dei diritti civili e sociali, competizione di tutti contro tutti, flessibilità da accrescere in nome della competitività e avendo di fatto come benchmarck i lavoratori della Foxconn cinese, tutto in nome degli obiettivi di una ‘nuova divisione internazionale del lavoro e della rendita’, ovvero: riduzione dei salari e del costo del lavoro, impoverimento collettivo, ampliamento delle disuguaglianze sociali e reddituali, de-qualificazione della scuola, della cultura e della ricerca e incentivi invece ai lavori a bassa professionalità (per cui: meno iscritti ai licei, meglio le scuole professionali), de-motivazione sociale e produzione di rassegnazione morale, ‘uccisione’ della speranza e della partecipazione, svuotamento della democrazia e della sovranità popolare (l’agenda Monti come le Tavole della Legge, la casta degli esperti che ha sempre ragione mentre gli altri hanno sempre torto, le riforme fatte che “non devono essere toccate” – come dicono all’unisono Napolitano e Monti, indifferenti al fatto che siano state riforme palesemente sbagliate, e comincia ad accorgersene perfino il Fondo monetario, quindi da correggere in fretta).

Dunque, il potere tecnico e dei tecnici come ulteriore casta di potere. Perché appunto non esiste solo la casta dei corrotti e del malaffare, degli inamovibili e dei troppi conflitti di interesse; ma esiste la casta degli esperti e dei tecnici che credono di conoscere e di sapere la verità (come teologi della religione neoliberista), facendoci credere che la loro conoscenza sia ‘la’ conoscenza e ‘la sola’ conoscenza possibile e vera. Tecno-casta, allora, sottoprodotto persino della tecno-crazia.

Perché la scienza – e qui si ripropone la vecchia distinzione tra scienza e tecnica – vive nel principio di falsificabilità, mentre la tecnica (la tecnica come apparato, come potere degli esperti, come sapere auto-referenziale), vive della propria verità, della propria razionalità, tale anche se contraddetta dalla realtà. Sosteneva il filosofo Karl Popper che se nessun numero di ‘prove’, ancorché elevatissimo, può confermare e giustificare la validità di una affermazione o di una proposizione scientifica, un solo esempio contrario basta a dimostrane invece la falsità; e se quindi le asserzioni di base della teoria sono contraddette dall’esperienza, la teoria deve essere abbandonata. Questa ‘logica della scoperta scientifica’, che procede per ‘congetture e confutazioni’, viene invece contraddetta – come qui si sostiene – dalla tecnica e dagli esperti, per i quali la realtà deve assumere sempre una ‘forma tecnica’ e se una teoria (come il neoliberismo) contraddice la realtà e l’esperienza dei fatti dimostra che quella teoria (sempre il neoliberismo) è falsa, non è la teoria ad essere sbagliata ma è la realtà a non voler corrispondere alla teoria (o all’ideologia: il meccanismo di relazione tra verità e falsità è analogo). Il neoliberismo non supera – non ha superato e non supererà mai – il test della falsificabilità (così come, per Popper non lo superavano il marxismo e la psicanalisi che pure, per molti aspetti si consideravano ‘scientifiche’): eppure continua ad essere replicato in tutti i modi, è la ‘coazione a ripetere’ dei tecnici, che pensano di risolvere i problemi creati dalla tecnica o da una ricetta economica con ‘più tecnica’ e non con una tecnica o una ricetta ‘diversa’.

E anche il potere della tecno-casta può dunque essere ‘osceno’. Nel senso che non ha pudore, è amorale se non immorale (spese militari sì, sostegno dei redditi no; riforma delle pensioni sì, riforma della finanza no), perché contrari al senso del pudore politico e morale non sono solo il bunga-bunga, Formigoni e Batman, ma anche l’abolizione dell’articolo 18. E mentre si discute nuovamente e giustamente di ‘questione morale’ sotto il peso dell’ennesima tangentopoli, è anche questo governo che pone, con i suoi comportamenti immorali e socialmente ingiusti (qualcuno ricorda ancora cosa significhi ‘giustizia sociale’?) una nuova ‘questione morale’. Ridefinita da un ‘sapere tecnico ed economico’ presunto ma presuntuoso (voler cambiare il modo di vivere delle persone, con le buone o con le cattive), un sapere fatto in realtà di poca conoscenza e di molta ideologia.

Per correggere l’errore neoliberista (che troppi ancora non vedono, comportandosi come Hoover nel 1929 dopo il Grande Crollo), per uscire dalla ‘coazione a ripetere’ degli esperti, per ritrovare una capacità di progetto politico (e ancora poca cosa sono le crescenti riserve dei partiti a Monti, spesso giocate in una solo diversa ‘logica di casta’), serve allora passare dagli ‘esperti a pensiero unico’, al ‘potere dell’immaginazione’ (e diceva Einstein: “L’immaginazione è più importante della conoscenza. La conoscenza è limitata, mentre l’immaginazione abbraccia il mondo, stimolando il progresso e facendo nascere l’evoluzione”), anche a costo di recuperare il vecchio slogan del Sessantotto, il più difficile, ma certamente il più affascinante – e oggi il più necessario. Quell’immaginazione che ci è stata ‘rubata’ dal post-sessantotto, dalla rete, da Berlusconi e dal suo ‘modello veline’, dalla globalizzazione e ora dalla tecno-casta di Monti (e/o di Barroso, della troika e della Goldman Sachs).

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