121129soggettopoliticonuovodi Roberto Musacchio
C’è un filo rosso, mi si consenta di usare questa espressione, che lega l’assemblea di  “cambiare si può “, che affollò il Teatro Vittoria al Testaccio il primo dicembre, con la sala gremita di un altro teatro romano, questa volta l’Eliseo, per il debutto del movimento degli arancioni del sindaco De Magistris.
E il filo rosso non è dato solo dall’evidente sovrapporsi di una parte dei partecipanti alle due assemblee, nel pubblico e negli interventi, ma in un fortissimo bisogno di alternativa allo stato di cose presenti che si esprime all’Eliseo come si era manifestato al Vittoria.

Stato delle cose che nel frattempo è addirittura peggiorato. Infatti con il tornare ad aleggiare dello spettro della nuova discesa in campo di Berlusconi immediatamente tutto il quadro è precipitato ancora più a destra, proponendo addirittura il defenestrato Presidente Monti come vittima dell’antieuropeismo del Cavaliere e tutte le forze delle tecnocrazie europee protese a difenderlo come proprio campione.
Che però ci sia questa volta la voglia di non arrendersi  a uno scenario che alla fin fine annichilirebbe solo chi ha veramente voglia di cambiare lo si respira anche in questo nuovo appuntamento che a differenza di quello precedente avviene dopo l’annuncio del ritorno del signore di Arcore. Lo si respira nella platea che ascolta gli interventi che, come già accadde al Vittoria, si susseguono con ritmi e tempi serrati, dando voce a quella società civile, fortemente caratterizzata per le proprie domande sociali che non trovano risposta nel quadro dato che anzi le mortifica.
E sono domande di giustizia, di verità, di libertà, di alternatività nella rappresentanza decisiva se si vuole la rinascita di questo nostro Paese e di questa Europa. Ingroia, questa volta in collegamento dal Guatemala, Revelli e De Magistris, che chiude l’appuntamento, riprendono il filo dei loro interventi svolti dieci giorni prima. Il sindaco arancione chiama al coraggio ed alla responsabilità di un impegno che deve essere collettivo. Parla di una proposta di governo che è tale se è in grado di dare potere ai senza potere di oggi, che sono la stragrande maggioranza. Il suo è un programma senza sconti che declina il bisogno di giustizia come bisogno di verità e di giustizia sociale e di rottura con ciò che lo nega.
In platea si discute e c’è grande aspettativa sulla possibilità che si realizzi già per le prossime scadenze elettorali, ormai ravvicinatissime, una lista che raccolga questa spinta. L’assemblea del Vittoria ha lanciato la sfida e chiesto una verifica sulla domanda se ci potrà essere tale lista e se potrà collocarsi in modo autonomo rispetto all’alleanza bersaniana così come proposto dalle righe conclusive di quell’appuntamento. L’appuntamento arancione ha ripreso con forza quello stesso assunto programmatico. Non c’è già l’indicazione definitiva che una tale prospettiva di identità e programma non può che vivere in autonomia ma lo spessore dell’impianto è tale che spinge in questa direzione.
Per altro, se ce ne era bisogno, l’intervista di Bersani al Wall Street Journal ha confermato l’impianto con cui il candidato leader espresso dalle primarie della sua coalizione va al voto. E il quadro è quello delle compatibilità europee, del rifiuto a riaprire questioni come quelle dell’articolo 18, di una decisione ferrea di gestire le differenze della coalizione con il ricorso alla disciplina di maggioranza nella rappresentanza eletta. E, ancor più delle interviste, contano i voti che si continuano a dare in Parlamento, ancora sulla questione del pareggio di bilancio o delle spese militari.
La scesa in campo dell’Europa dell’austerità contro il populismo di Berlusconi e a favore di Monti ha poi mostrato subito la sostanziale inesistenza di margini di manovra per la linea del cosiddetto aggiustamento delle politiche europee nell’ambito del rispetto degli impegni presi, e cioè del contenuto della carta d’intenti. In realtà la linea del rigore si sta approfondendo come dimostra il corso delle decisioni che continuano ad essere prospettate per il Consiglio Europeo che si apre oggi. Né appare credibile l’affidare la linea “evolutiva“ alla alleanza privilegiata con i socialisti di Germania e Francia. La SPD continua la sua subalternità al la Merkel nelle politiche nazionali come in quelle Europee e come nell’appoggio a Monti. E Hollande è alle prese con le difficoltà aperte dall’accettazione del Fiscal Compact alla tenuta del suo consenso. Sulla continuità delle politiche in atto fa leva infatti Monti, non solo per ottenere consenso a se stesso contro Berlusconi, ma per disegnare il cammino futuro a partire dalla definizione di una sorta di auto memorandum, cioè di impegno a stare nel solco delle scelte fatte e da fare sulla base delle indicazioni europee, come vincolante da qui al futuro. Il quadro su cui Bersani ha vinto le primarie è quello per cui il suo governo, se ci sarà, è tenuto a vivere in termini funzionali a questo contesto e in alleanza con le forze moderate europee.
Niente a che vedere dunque con il bisogno che c’è di un cambio di rotta radicale come quello che la condizione materiale del Paese, di cui ancora una volta dice in termini drammatici il rapporto del Censis e che conosciamo dal nostro quotidiano, richiede. Di questa alternativa di fondo deve parlare un’impresa come quella proposta da “cambiare si può”. Che non è rimasta ferma ad aspettare di passare da una assemblea generale all’altra e in attesa di una composizione “dall’alto”. Dopo il Vittoria è infatti partita una straordinaria chiamata a raccolta che ha viaggiato per la rete e per i luoghi di aggregazione. Si era detto verifica sul campo e la verifica si sta facendo. Questo fine settimana ci saranno un centinaio di assemblee di massa che discuteranno della possibilità di e del come realizzare l’impresa. A vedere quello che è successo ad esempio a Roma, dove alla riunione preparatoria erano già presenti decine e decine di compagn@ e sabato si aspetta una assemblea partecipatissima al cinema Palazzo, e sapendo che cose analoghe stanno succedendo in centri grandi e piccoli, si può ragionevolmente presupporre che tra sabato e domenica prossime saranno decine di migliaia le persone coinvolte nel percorso.
Percorso che dovrà confrontarsi con i tempi brevissimi imposti dalle scadenze ma non per questo dovrà rinunciare a  ciò che è indispensabile e cioè la qualità della proposta programmatica e le forme di democrazia partecipativa messe in atto per realizzare la sfida. Sfida che è difficile ma che se saprà essere vissuta con lo spirito giusto, quello che ad esempio c’è stato per  i referendum, potrà essere vinta ed anzi sarà già stata in buona parte vinta perché affrontata al meglio.

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