di Carmine Fotia

La scelta di Antonio Ingroia di candidarsi come leader di una lista civica nazionale alternativa al montismo e al berlusconismo ha sollevato, com'era naturale, molte e diverse obiezioni. Alcune sono serie e meritano una risposta forte e convincente, poiché provengono da settori dell'opinione pubblica che fanno parte del potenziale bacino elettorale di questa lista. Altre sono alquanto pelose e sono destinate a cadere per la forza dei fatti.Comincio proprio da queste ultime, in particolare dall'accusa di "giustizialismo manettaro" che viene rivolta in particolare dal Pd. Sull'Unità del 23 dicembre scorso Giuseppe Provenzano

le ha riassunte, mettendo in dubbio «l'opportunità politica e morale della scelta di Antonio Ingroia di passare dal recente protagonismo giudiziario a quello elettorale», e affermando che sarebbe questa l'occasione per «una battaglia aperta contro il cedimento culturale di una sinistra che, come avrebbe detto Sciascia, ha sostituito la bilancia della giustizia con le manette».
Peccato, per Provenzano e per l'Unità, che proprio oggi, in una solenne conferenza stampa, Pierluigi Bersani annuncerà la candidatura nelle sue liste di Piero Grasso, procuratore nazionale antimafia. Se fossero vere le articolate argomentazioni che ho riportato, mi aspetterei una veemente campagna di critica a questa scelta. O si sosterrà che Grasso, che ha guidato la più importante struttura di lotta alla mafia, non è stato un «protagonista giudiziario» e dunque può tranquillamente candidarsi e Ingroia invece no? O che il medesimo paradigma non poteva applicarsi a tutti quei magistrati che nel corso degli anni sono stati candidati da Pd e dalla sinistra proprio perché protagonisti di indagini complesse contro la mafia e la corruzione?
Io non uso due pesi e due misure e considero un'eccellente candidatura quella di Piero Grasso, così come quella di Antonio Ingroia, se serviranno a mettere al centro dell'agenda politica del prossimo governo la volontà di estirpare mafia e corruzione, il male che uccide democrazia e sviluppo economico.
Tolte di mezzo dai fatti simili polemiche strumentali e propagandistiche, resta invece la legittima domanda: riuscirà Ingroia a convincere gli elettori che la sua non è una battaglia giustizialista, che ha buone idee per un governo di alternativa alle politiche neoliberiste di Monti, e al populismo berlusconiano? Riuscirà a interpretare il disagio morale che si esprime nel non voto e nel voto al M5S e quello sociale che investe il mondo del lavoro, del precariato, dei nuovi poveri, dei giovani senza futuro, delle donne ridotte da Monti a nuove "fattrici" di figli, delle carceri divenute una vera e propria discarica sociale prodotta da una «giustizia classista» (parole di Ingroia) e riportate al centro dell'attenzione dalla coraggiosa battaglia di Marco Pannella?
La sua scommessa e quella della coalizione che lo sosterrà in fondo sta tutta qui. Ascoltando il discorso del 21 dicembre a me sembra che Ingroia sia perfettamente cosciente che deve proporre il rovesciamento del paradigma neoliberista chiamando al protagonismo i soggetti esclusi e offesi, che sono la maggioranza della popolazione.
Provo a riassumerle: lotta alla mafia e alla corruzione, a cominciare da quel nord invaso dalle organizzazioni criminali, precondizione per liberare energie civili e risorse economiche, da mettere a disposizione per nuovi investimenti pubblici a sostegno del lavoro; una seria redistribuzione del reddito, togliendo a chi ha di più per dar a chi ha di meno; ripristinare i diritti del lavoro violati dal governo Monti; difendere lo stato sociale: meno soldi per le armi più soldi per scuole e ospedali; inverare la questione morale, così come l'aveva enunciata Enrico Berlinguer, liberando le istituzioni dall'occupazione dei partiti per restituire a questi il ruolo costituzionale di strumenti di organizzazione della partecipazione democratica.
Cosa c'è di "giustizialista" e "manettaro" in queste idee? Non sono forse il cardine di una politica di sinistra in qualsiasi paese del mondo? Solo da noi viene spacciata per «cultura della sinistra di governo» la supina accettazione delle politiche imposte dai conservatori europei, di cui Monti è parte integrante. Una presenza di radicale alternativa è comunque necessaria, per ancorare il centrosinistra a una prospettiva di governo senza compromessi con l'agenda Monti, qualora le residue speranze di accordo dell'ultim'ora si avverassero, oppure per affermare nel paese e nel parlamento una possibilità di cambiamento reale, contro il passato del berlusconismo e l'eterno presente di un governo Monti-Bersani, qualora Pd e Sel confermassero la scelta di discriminazione a sinistra.
Antonio Ingroia non può avere e non avrà piccole ambizioni. Egli può essere l'interprete di una rivoluzione civile, di un'idea forte di governo perché fondata sulla cittadinanza attiva e su una vera idea del bene comune che non può coincidere con la supina accettazione dei diktat delle oligarchie tecniche e finanziarie.

da il manifesto

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