Intervista a Antonio Ingroia di Eleonora Martini
Da procuratore aggiunto della procura distrettuale antimafia di Palermo, Antonio Ingroia ha sempre difeso il 41 bis, il regime carcerario duro riservato ai detenuti per reati di mafia, attenzionato perfino dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura. Ora, nella sua lista «Rivoluzione civile» - a fianco ad Antonio Di Pietro, contrario a qualunque forma di amnistia e anche al codice identificativo per gli agenti - ha voluto anche un "simbolo" come Ilaria Cucchi, sorella del giovane Stefano morto nel 2009 dopo i maltrattamenti subiti da detenuto. Ma se gli si fa notare che al centro della loro agenda politica sembra esserci più il giustizialismo che il problema dell'illegalità del sistema penale italiano, risponde: «Non è vero. Quando leggerete il nostro programma vedrete che non è così».
La Corte europea dei diritti umani condanna l'Italia per la reiterata e strutturale violazione dei diritti dei detenuti. Se l'aspettava?
Non mi sorprende: conosciamo bene la drammaticità della situazione delle carceri, frutto di una politica scellerata di gestione della giustizia che ha riempito le celle di poveracci spesso in attesa di giudizio. Bisogna intervenire sui tempi lunghissimi dei processi, sulle misure alternative e così via. Cose che la magistratura, soprattutto quella progressista e democratica, predica inutilmente da tanto tempo.
L'Europa ci dà un anno di tempo, davvero poco per risolvere una tale mole di problemi. Se lei fosse presidente del consiglio cosa farebbe subito?
Con un provvedimento urgente per introdurre misure alternative alla detenzione per i reati non gravissimi, avremmo intanto una forte limitazione al sovraffollamento carcerario.
Introdurre? Ma ci sono già le misure alternative, ne occorrono altre?
No, io dico che bisogna favorire un'applicazione urgente ed immediata delle misure alternative ampliando la platea a cui si applicano oggi. Dopodiché, ovviamente, occorre studiare con calma un articolato, ma certamente di fronte a questa sentenza l'unica cosa da fare è provvedere immediatamente a sfollare le carceri. Davanti a un tale sovraffollamento, la soluzione non è certo l'edilizia carceraria, indicata in genere dalla destra. Non occorrono più carceri, ma meno detenuti.
L'amnistia, come propongono i Radicali?
Beh, l'amnistia è una soluzione drastica. Purché non se ne approfittino i soliti impuniti e sia mirata solo ad un certo tipo di reati. Purtroppo spesso è accaduto che si sia utilizzato il carcere come pretesto per ottenere l'amnistia per i colletti bianchi che rispondevano di reati di pubblica amministrazione o affini.
Quindi per lei rimane più importante tenere dentro questo tipo di criminali...
Noi abbiamo un sistema penale e penitenziario classista, dove in carcere finiscono i poveracci e in libertà ci sono i potenti. Va ristabilito il principio di uguaglianza: i potenti che hanno commesso gravi reati devono stare in carcere e i poveracci che hanno commesso reati bagatellari, che spesso non si possono neanche permettere un difensore che gli consenta di accedere alle misure alternative, vadano fuori.
Però il carcere in realtà non è pieno di poveracci che hanno commesso reati bagatellari, piuttosto è intasato da persone finite nelle maglie di tre leggi: quella sulle droghe, sulla recidiva e sull'immigrazione clandestina. Cosa pensa, per esempio, della Fini- Giovanardi?
Penso che l'uso delle droghe non dovrebbe mai essere criminalizzato. La legge Fini ha determinato l'incarcerazione anche per il solo consumo di fatto, con l'equiparazione delle droghe leggere a quelle pesanti, inammissibile e inaccettato in qualsiasi parte del mondo. Si figuri che in un Paese che non ha certamente una storia libertaria come il Guatemala, da cui vengo, il presidente della Repubblica, un ex militare, un uomo di destra, recentemente ha proposto la liberalizzazione delle droghe leggere.
E lei la proporrebbe?
Assolutamente sì, l'ho sempre pensato da magistrato, figuriamoci se non lo penso da politico.
Leggi Bossi-Fini e ex Cirielli: che ne farebbe?
La criminalizzazione dei migranti è inammissibile. Anche qui vengono puniti i poveracci piuttosto che i trafficanti di esseri umani. Anche l'ex Cirielli va cambiata. Per questo parlo di riforme che consentano di avere una robusta depenalizzazione e un accesso più semplice, diciamo così, alle misure alternative.
Ma il decreto Severino, per esempio, sarebbe stato applicato a pochissime centinaia di persone, qui invece parliamo del 42% dei 66 mila detenuti che sono ancora in attesa di giudizio. Forse c'è anche un problema culturale della magistratura, non crede?
No. Credo invece che sia un problema di politica criminale: se è tutta sbilanciata sulla carcerazione nella fase delle indagini invece che nella fase del dibattimento, di conseguenza la magistratura utilizza poi gli strumenti che ha a disposizione. Tocca alla politica riorientare verso la centralità del dibattimento e respingere al massimo il ricorso alla detenzione prima del giudizio.
Il Manifesto - 10.01.13