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di Eleonora Forenza

È stata una discussione teoricamente, politicamente densa e appassionata, quella che si è tenuta il 21 febbraio, presso i locali della Fondazione Basso, a partire dal libro rigoroso e stimolante dello storico Paolo Favilli, In direzione ostinata e contraria...

Per una storia di Rifondazione comunista. A prendervi parte alcuni dei protagonisti delle vicende del comunismo italiano (non solo degli ultimi venti anni): Fausto Bertinotti, Luciana Castellina, Paolo Ferrero e Mario Tronti.

Sin dall'introduzione i partecipanti alla discussione vengono sollecitati a prendere parla su alcuni dei nodi teorici, storici e politici che hanno attraversato la storia del PRC e che, in gran parte, sono ancora aperti: l'intreccio tra il progetto della rifondazione comunista e la costruzione del Partito della Rifondazione comunista; l'attualità della Idea di comunismo (come recita il titolo del volume, curato da Douzinas e Zizek, che raccoglie gli atti del Convegno svoltosi a Londra nel 2009); la necessità di una rifondazione comunista come opposizione alle nuove forme del dominio, alla continua crisi-ristrutturazione del capitalismo; la dicotomia innovazione-conservazione; la costruzione di una soggettività politica efficace nella crisi della democrazia e nello svuotamento della rappresentanza che connotano l'attuale fase del capitalismo, il neoautoritarismo monetario.

Tronti, nel rilevare la qualità di «saggio politico scritto da uno storico» del volume di Favilli, rimarca quello che a suo avviso è un «vizio di fondazione» del PRC, la presenza, tra le altre, di quella che egli definisce "una componente filo-brezneviana"; presenza che avrebbe determinato la non adesione al MRC di molti compagni. Su questo punto non ha più dubbi Fausto Bertinotti che risolve l'alternativa posta da Luciana Castellina «Tutti dentro o tutti fuori» dichiarando, anche autocriticamente, che è stato, a suo avviso, un errore collettivo il non cimentarsi da subito con il «tutti fuori». Tronti rileva anche che il PRC ha mantenuto sempre chiara la «prospettiva strategica dell'antogonismo», ma ha compiuto «passaggi tattici incerti». Ha insomma oscillato- dice Tronti riprendendo l'introduzione di Paolo Ferrero al libro- fra autonomia del sociale e autonomia del politico.

Bertinotti risponde a Tronti sostenendo la discontinuità di Rifondazione comunista dalle storie precedenti. Se è vero che ci sono stati passaggi tattici incerti, in gran parte sono stati necessitati. Bertinotti , a proposito della oscillazione sottolineata da Tronti, sostiene che in realtà la storia del PRC è segnata dal «primato del conflitto», nucleo politico di quello che da molti è stato chiamato il movimentismo di Rifondazione. Una scelta, insomma, del primato dell'alternativa di società, riaffermata con la coraggiosa scelta del 1998 e con la internità al movimento altermondialista. Due le autocritiche di Bertinotti: una, come detto sopra, relativa alla scelta del 1991; l'altra rispetto al 2001: bisognava avere il coraggio di mettere il PRC a disposizione del movimento.

Paolo Ferrero concorda con Bertinotti a proposito della discontinuità dell'esperienza di Rifondazione, del "coraggio del 98", dell'errore commesso con la previsione di poter rendere le istituzioni permeabili ai movimenti fatta col Governo Prodi. Ferrero sottolinea come il PRC abbia subito tutte le sue scissioni proprio sul tema del governo. Se il PRC fin dalla nascita è nato in opposizione alla Seconda repubblica, il bipolarismo ha costantemente posto il partito di fronte a un bivio falsante e dannoso: fare o non fare l'accordo col centro sinistra, correndo rispettivamente il rischio di partecipare a esperienze politiche marcatamente interne al neoliberismo o essere accusati di far vincere Berlusconi e le destre. Ferrero diverge invece da Bertinotti sulle ipotesi apertesi nel 2001: era quella l'occasione per costruire una Federazione, perché la complessità dei movimenti non può essere assorbita da un soggetto politico volto alla rappresentanza.

Infine Luciana Castellina torna sul bivio del 1991: la divaricazione fra Ingrao e Cossutta ad Arco compromise la possibilità che si restasse tutti insieme. Diverse le osservazioni critiche di Castellina: Rifondazione «più che promuovere il conflitto ha sopravvalutato i movimenti»; sulla scelta del 1998 e anche sulla scelta relativa al Governo Dini, che determinò la scissione agita dai comunisti unitari e in contraddizione con quella che allora era la linea congressuale.

Insomma una discussione appassionata tra storia e presente, e futuro: una discussione da proseguire insieme, per ragionare sulle domande rimaste aperte, per adempiere alla responsabilità collettiva di costruire una soggettività del conflitto all'altezza di questo devastante capitalismo.

Roma, 22 Febbraio 2012

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