di Giorgio Salvetti
Finito ancora prima di cominciare. Il Forum di Assago è vuoto. Il tanto atteso congresso federale della Lega è iniziato da più di due ore. Sul palco si alternano gli interventi che parlano di «emozioni» : proprietà, casa, famiglia, padania, libertà, indipendenza, Roma ladorna, sempre e comunque. E anche Bruxelles ladrona. Ma in realtà nessuno è emozionato. Sugli spalti ancora deserti campeggia uno striscione: «Grande Bobo» firmato «Lupi eretici, giovani padani della Valtellina». Per Bossi neanche una bandierina. Alle 11,20 il presidente Giancarlo Giorgetti annuncia alle sedie vuote le candidature: «per quanto riguarda la carica di segretario federale è giunta una sola candidatura, quella di Roberto Maroni». Qualche applauso. Per Bobo hanno già firmato 400 delegati su 630. Chiuso. Il congresso è sostanzialmente finito qui. Quello che c'era da decidere è già stato deciso. La svolta, se di svolta si tratta, è avvenuta altrove. Si potrebbe cantare il «Va pensiero» e tornare ognuno a casa propria. E invece no, perché i leghisti devono elaborare un lutto. Bossi è un'ombra, un'eminenza ingrigita che oggi si paleserà ancora una volta sul palco poco prima di Maroni.Ma qualunque cosa dirà il senatur tutti sanno che ha fatto il suo tempo. Il tramonto dell'eroe fondatore per compiersi, però, ha bisogno di un rito di passaggio e di purificazione. Deve assumere il carattere di un evento storico, terminale e iniziatico al tempo stesso. Ogni liturgia ha i suoi tempi. E ieri era il tempo di dare il microfono a tutte le cariche minori del movimento. I Giovani padani che sognano ancora i progetti del vate Miglio, anche se loro al congresso del 1993 non c'erano perché non erano neanche nati. Borghezio, che lancia la sua «mozione independentista». Il responsabile degli enti locali, i capigruppo nei consigli regionali, i segretari nazionali, dove nazione significa regione. Ognuno che parla del proprio giardino di casa. Tutti si sfogano. C'è chi se la prende con la «magistratura etnica », ovvero «terrona» e chi non vuole lasciare i voti ai grillini. Chi fa autocritica e chi sfoggia orgoglio e sogna un futuro radioso. Grazie a Bossi «per quello che ha fatto» e a Maroni «per quello che farà». Pomeriggio. Il palazzetto resta semi vuoto. E va bene, i big ieri non parlavano e non si votava, ma questo non è un congresso. Sembra una messa senza fedeli, un rito di popolo ma il popolo deve ancora arrivare. Si predica il ritorno al territorio ma si continua a pendere dalle labbra dei capi vecchi e nuovi. Dopo nove ore sale sul palco il primo big, Roberto Cota. Saluta e rimanda il discorso al giorno dopo. Ecco Matteo Salvini, neo segretario della Lega Lombarda. A margine avvisa Formigoni : «Ci stiamo arrabbiando ». Ma poi sul palco si arrabbia con quegli amministratori leghisti che sono più attaccati alla poltrona che al movimento, e che magari «non sanno neppure che c'è il congresso». Saluta Bossi e Maroni e lascia la parola al sindaco di Verona Flavio Tosi. Lui, il maroniano di ferro, se la prende con Penati, con Roma, con Monti e chi lo sostiene - «Pdl e Pd sono uguali», ma non parla della Lega. Saluta Maroni e basta. Il congresso si aggiorna. Oggi è un altro giorno e si vedrà.
il Manifesto 01-07-2012