di Alfio Mastropaolo

Nel disastro della politica italiana, il presidente Giorgio Napolitano ha preso slancio. In parte è solo un disastro presunto, perché non tutti i partiti versano nel medesimo stato di decomposizione e corruzione, mentre - per quanto contagioso sia il malaffare - l'immagine di un disastro generale è frutto di un'intenzionale aggressione alle democrazia rappresentativa. Sta di fatto che il presidente non lesina i suoi interventi. Quanto siano legittimi, e quanto non lo siano, non è scritto da nessuna parte.

I presidenti della Repubblica hanno sempre interpretato liberamente la loro parte: alcuni con vantaggio per la democrazia, altri infliggendole danni gravi. Quindi, pure l'interventismo tous azimuts di Napolitano, figlio di una turbolenta stagione politica, va preso senza scandalo.
Ciò tuttavia non impedisce di discutere i singoli interventi nel merito. Come l'ultimo, dedicato alla riforma elettorale. Che la legge elettorale in vigore sia indecente l'ha ammesso per tempo pure il suo inventore. Ma l'indecenza non risiede lì dove si racconta. L'accusa più frequente è che all'elettore è stata sottratta ogni possibilità di scelta. Gli eletti sono pertanto dei nominati dai partiti. A dire il vero, il problema c'era già da tempo. Col «Mattarellum» l'elettore era costretto a sciropparsi il candidato additatogli dalla coalizione che intendeva votare e - se tale candidato non gli era gradito - non gli restava che astenersi. Dire che avrebbe potuto votare il candidato del fronte avverso è una truffa. Al contrario, il punto più indecente del cosiddetto «Porcellum» è il premio di maggioranza.
I paesi democratici in cui vige un simile premio sono l'eccezione. Per il semplice motivo che un siffatto premio nega il principio di uguaglianza tra i cittadini. Il voto di coloro che hanno votato per chi ottiene il premio vale ben di più di quello di chi ha votato per altri. Il Porcellum ha rinnovato i fasti della legge Acerbo, che permise al fascismo d'insediarsi al potere. Per sanare la prima, e falsa, indecenza, c'è chi vuole il ripristino del voto di preferenza e chi si oppone. Vedremo come finirà. Quanto alla seconda, e vera, indecenza, i partiti paiono aver trovato un accordo. La loro ipocrisia ufficiale - in ciò ahimè solidali ha etichettato come indecente non il premio, ma la sua entità. A tale ipocrisia pare accodarsi il presidente della Repubblica, additando i criteri cui la nuova legge dovrebbe attenersi. Lungi dall'escludere il premio, Napolitano perentoriamente invita i partiti a evitare premi che incoraggino la costituzione di coalizioni troppo ampie ed eterogenee, pregiudizievoli della stabilità e efficacia dell'azione di governo. Il presidente predilige coalizioni coerenti e compatte. Ne consegue che, allo stato dei presumibili rapporti di forza elettorali, andrebbe mantenuto un premio di maggioranza consistente. È questo ciò che auspica il presidente?
L'indicazione lascia perplessi anzitutto perché l'esperienza di una coalizione ristretta e coerente, addirittura a due, l'abbiamo appena fatta, con risultati devastanti. Ma lascia soprattutto perplessi l'attenzione unilaterale che il presidente dedica alla stabilità. Come la mettiamo con la rappresentanza? È democraticamente accettabile che opinioni, interessi e gruppi sociali rilevanti siano sacrificati a una stabilità purchessia, sottorappresentandoli, o escludendoli dalla rappresentanza, e quindi dall'azione di governo? Francamente, avremmo preferito che il presidente si prodigasse a invitare i partiti a svolgere in maniera più adeguata la loro azione di rappresentanza, a dare più ascolto al paese, a elaborare programmi più inclusivi e a selezionare con più cura il loro personale politico.
Le leggi elettorali, dovremmo ormai saperlo, non fanno miracoli. Magari - senza premi - possono sollecitare le forze politiche a coagularsi e scongiurare la disseminazione di liste di disturbo e ricatto, che non rappresentano nessuno. Ma se un paese è composito in fatto di interessi e valori, forse conviene darsi pace e adoperarsi per escogitare più raffinate tecniche di mediazione. Monti permettendo, e col permesso dei suoi molti tifosi, la democrazia parlamentare e la concertazione rientrano tra queste ultime.

 

da il manifesto

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