Il Comitato Esposti Amianto Lazio, quale rappresentante di lavoratori e cittadini esposti all’amianto e di familiari vittime dell’amianto, in vista della definizione di misure che il Governo intende adottare in merito al problema amianto in occasione della 2a Conferenza Governativa Amianto (Venezia dal 23-25 novembre) ha redatto un documento contenente proposte e osservazioni.

Pur condividendo altri documenti redatti da altre associazioni degli esposti, si ritiene di aggiungere alcuni elementi che riteniamo importanti al fine di fuoriuscire dall’amianto nei luoghi di vita e di lavoro. In particolare si rende necessario ad oggi porre il divieto di utilizzo dell’amianto. La legge 257 del ’92 infatti vieta l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, la produzione e la commercializzazione, ma non ha stabilito chiaramente che è vietato utilizzare questo materiale pericoloso. Oltre ad una aggiornamento legislativo in tal senso occorre bonificare i territori con adeguati incentivi (ad oggi censiti in numero di 34.148), promuovere un’efficace sorveglianza sanitaria ed epidemiologica e prevederne la gratuità, garantire il risarcimento alle vittime professionali, familiari ed ambientali, definire le responsabilità degli enti coinvolti, prevedere un coordinamento a livello nazionale per garantire parità di trattamento e di standard in materia. Abbiamo richiesto di acquisire il nostro documento agli atti della Conferenza unitamente alla documentazione presentata da altre associazioni e forze sindacali.

 

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Il risarcimento dei danni al lavoratore morto per amianto, non va determinato in misura fissa ma, deve essere rapportato al grado di sofferenza patita.


Di Massima Di Paolo
10/10/2012

Articolo tratto da http://www.lavoroediritti.com

La Cassazione, con sentenza nr. 17092 dello scorso 8 ottobre 2012, torna a decidere sul triste tema delle morti per esposizione all’amianto; affermando che, il risarcimento del danno biologico e morale, da riconoscere ai lavoratori esposti all’amianto non può essere determinato in misura fissa sulla base della durata della malattia ma, deve essere rapportato “all’intensità della sofferenza provata”.
Così, gli Ermellini hanno dato ragione agli eredi di un lavoratore del Porto di Venezia, morto per un mesotelioma pleurico, contratto per inalazione ed esposizione a fibre di amianto. La Corte d’appello, aveva riconosciuto ai famigliari della vittima, una somma a titolo di risarcimento, a dir poco ridicola, pari a 19.800,00 € di cui 13 200 per danno biologico e 6000 per danno morale.
In pratica, il danno biologico veniva quantificato solo sulla base dei giorni di malattia del lavoratore, nella misura di 150,00€ giornalieri.

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Articolo tratto da http://www.giornalettismo.com

L’analisi è ufficiale e i documenti li mettono su Facebook i comitati di Taranto in lotta contro l’Ilva: i Cittadini e lavoratori liberi e pensanti che pubblicano un certificato di analisi scientifica del fornetto 3 dell’Ilva.
AMIANTO - L’impianto siderurgico diffonde nell’aria di Taranto l’amianto.
“Il 04/10/2012 all’Ilva di Taranto”, scrivono i cittadini, “nello specifico nell’area LAB/PTM è stato prelevato un campione dal fornetto n° 3. Nella stessa data sono state eseguite delle prove per verificare la presenza di amianto nel campione prelevato, e sempre nella stessa data è stato emesso il rapporto che vedete in foto. L’esito a queste prove eseguite nei laboratori di Ilva S.p.a. su un campione prelevato in Ilva S.p.a. attesta che l’amianto è: PRESENTE”.
MORTI - L’analisi è dunque recentissima, dell’altroieri, e conferma la presenza di un elemento patogeno negli scarichi dell’Ilva che in Italia dovrebbe essere bandito dal 1992. Lo scorso giugno Emilio Riva, già presidente dell’Ilva, e altre 28 persone tra dirigenti ed ex dirigenti dello stabilimento siderurgico di Taranto sono stati rinviati a giudizio con accuse di disastro colposo e omissione dolosa di cautele sul luogo di lavoro: quindici persone morte fra il 2004 e il 2010 per avvelenamento da amianto pesano sul bilancio dei danni dello stabilimento tarantino. A quanto pare, ce ne potrebbero essere altre.

“Non può essere accolta nemmeno l’eccezione di decadenza” sollevata dall’INPS,  scrive il giudice del lavoro del Tribunale di Civitavecchia Francesco Colella, che ha rigettato il ricorso dell’istituto previdenziale

di Gianni Avvantaggiato, pubblicato su http://www.ambienteambienti.com

“Quando la nuova legge sull’amianto non trova applicazione, gli aventi diritto non sono tenuti a presentare la domanda entro il 15 giugno 2005 e non possono decadere”. Così il Giudice del lavoro del Tribunale di Civitavecchia (Roma) Francesco Colella, che ha rigettato l’eccezione di decadenza dell’INPS per mancato deposito della domanda all’INAIL entro il 15 Giugno 2005 e, invece, ha dato ragione al il signor Gianni Birindelli, assistito dall’avvocato Ezio Bonanni (clicca qui per visionare e scaricare il testo della sentenza). Oggetto del contenzioso il riconoscimento del beneficio previdenziale di cui all’art. 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992, norma relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto.

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La Corte di Cassazione ha affermato che se un lavoratore muore per un tumore ricollegabile all'assorbimento di polveri di amianto, tutti coloro che avrebbero dovuto prevenire l'assorbimento di tali polveri sono penalmente responsabili. La responsabilità penale si ha anche nel caso l’esposizione sia una concausa del tumore e anche quando il decesso avviene  molti anni dopo il periodo di assorbimento dell'amianto.

Un articolo de Il Sole 24 Ore, pubblicato sul sito dell’Inail, commenta la sentenza della Cassazione.

Clicca qui per consultare l’articolo

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