Nel maggio 2016 scade la Convenzione che affida in esclusiva alla Rai il servizio pubblico radiotelevisivo. In un momento in cui la privatizzazione viene individuata da quasi tutti come unica soluzione ai gravi problemi della comunicazione e della informazione nel nostro paese, in totale controtendenza l’associazione Articolo 21 e la Fondazione Di Vittorio hanno il grande merito di promuovere un convegno per iniziare fin da adesso, e liberi dai condizionamenti delle contingenze politiche, a ragionare sulla futura Convenzione e quindi sulla ridefinizione del ruolo del servizio pubblico. Per aprire la discussione le due associazioni propongono alcuni punti di riflessione per “una nuova carta d’identità della Rai”.

Vorrei provare ad iniziare allora a ragionare e ad interloquire intanto e per ora su due punti di analisi presenti nella proposta di “Carta”, anche se “a distanza”. Come contributo ad una discussione, ad un confronto e ad una elaborazione che ritengo debba essere collettiva ed includente tutte le forze sociali, culturali e professionali del settore interne ed esterne all’azienda. Ma non solo, ovviamente.
Riflessione ed elaborazione culturale e politica che dovrebbe comprendere anche una analisi della storia della Rai, delle progressive trasformazioni della struttura aziendale, del suo continuo degrado culturale, della sua “privatizzazione” di fatto e nei fatti, della perdita delle professionalità, del suo “impoverimento” complessivo, del suo ritorno anche formale sotto l’ingerenza governativa e del suo progressivo asservimento ai partiti. Per poter così arrivare alla ridefinizione del ruolo di servizio pubblico investendo la struttura aziendale e produttiva, il modello editoriale ed organizzativo, un nuovo assetto istituzionale.
1. Nel documento si dice: “l’imperversare dei talk show ha inverato l’aforisma nichilista secondo cui non esistono fatti ma solo interpretazioni; l’asserzione l’obiettività non esiste si è imposta come un dogma legittimando come necessarie faziosità e lottizzazioni”.
Senza scomodare Gramsci vorrei ricordare il bellissimo film di Kurosawa “Rashomon” nel quale uno stesso fatto viene narrato e vissuto in modo diverso da quattro testimoni: quattro punti di vista soggettivi per una stessa realtà “oggettiva”.
Voglio dire che personalmente non ho mai creduto nell’ “oggettività”, nella possibilità di raccontare “obiettivamente” un evento e quindi nella possibilità di informare “sui fatti” a prescindere dai punti di vista. E mi ricordo che il movimento organizzato dai giornalisti radiotelevisivi in vista della riforma della Rai del 1975 si chiamava appunto Movimento per un’informazione democratica, non per una informazione obiettiva. E mi ricordo che una delle più importanti innovazioni contenute in quella riforma era la creazione dei “nuclei ideativo-produttivi”  nell’idea che per raccontare le storie di questo paese fosse necessario il lavoro comune tra “professionisti” della comunicazione e chi di quelle storie era protagonista. Su queste basi nacquero trasmissioni come “Cronaca” che raccontava per esempio il punto di vista operaio insieme agli operai o “Processo per stupro” che raccontava le donne insieme alle donne.
Io credo che un servizio pubblico sia realmente tale se – tra le altre cose – garantisce una informazione “completa” come si diceva un tempo, o meglio ancora democratica, cioè un’informazione che rispecchi e rappresenti la società insieme ai “soggetti” presenti e protagonisti nella società e che pluralismo dell’informazione voglia dire dare conto dei diversi punti di vista che quei soggetti esprimono. Penso comunque che questo sia uno dei nodi teorici di rielaborazione collettiva tra i più importanti, se non vogliamo accontentarci di formule accettate da sempre da tutti, ma che sappiamo benissimo essere destinate a restare semplicemente formule.
Non credo inoltre che la lottizzazione abbia mai portato a sua giustificazione e legittimazione l’idea che poiché l’oggettività non esiste devono essere legittimate le faziosità: primo perché nessun partito – né il Pd né il Pdl – ha mai ritenuto di doversi giustificare per le lottizzazioni praticate, secondo perché la lottizzazione cresce a dismisura – come controllo generale di tutta la comunicazione – man mano che si restringono e si accentrano i poteri in poche mani, che si eliminano tutte le “regole” in grado di garantire autonomia culturale e libertà creativa, le professionalità e non le “fedeltà”, man mano che si uccide qualsiasi possibilità di partecipazione alla gestione della Rai e di verifica democratica da parte delle forze sociali, culturali e professionali. Ma anche man mano che cresce il silenzio su questi temi – ma non solo su questi – dei lavoratori e dei giornalisti della Rai. So di toccare un punto delicato e complesso, ma penso che anche sulle cause di questo “silenzio” si debba iniziare a ragionare.
La lottizzazione si combatte ovviamente in tanti modi ed occorre trovare le formule legislative più efficaci. Io credo però che la soluzione non sia nel conferire tutto il potere nella mani di un amministratore unico o nella trasformazione della Rai in fondazione di diritto privato. Così come credo che condizione necessaria – anche se ovviamente non sufficiente – sia una riforma del servizio pubblico radiotelevisivo che abbia alla base regole che rendano trasparenti, pubblici e partecipati i criteri di nomina: dai dirigenti ai dipendenti. Che garantiscano decentramento e partecipazione, trasparenza e autonomia.
2. Sempre nel documento si legge “la legittimazione democratica del futuro servizio pubblico starà nella capacità di farsi promotore di ecosistemi tecnologici aperti e competitivi che garantiscano a tutti i cittadini la visione e l’utilizzo… di tutto il prezioso patrimonio di programmi … e la possibilità di accedere e navigare liberamente e gratuitamente nello spazio globale …”.
Non voglio entrare qui e per ora nella discussione sulla democraticità della Rete o sulla democrazia nella e attraverso la Rete. È un tema enorme e complesso ma è anche questo uno di quei nodi teorici che un progetto di rielaborazione del ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo oggi deve affrontare.
Voglio solo iniziare a discutere su cosa possa “legittimare democraticamente” un servizio pubblico. Sinceramente quella proposta nella “Carta” mi sembra una concezione un po’ restrittiva – anche un po’ autoritaria – dell’idea di democrazia.
L’accesso all’archivio della Rai e la possibilità di collegarsi in Rete e lì di esprimersi “liberamente” non mi sembrano elementi qualificanti di una Rai democratica e partecipata. Mi sembrano piuttosto “concessioni” che in nessun modo incidono sulla struttura chiusa e verticistica di oggi.
Personalmente continuo a credere che “parte” della legittimità democratica della Rai derivi dal suo diventare finalmente un’azienda realmente autonoma e trasparente, decentrata e partecipata, radicata su tutto il territorio, pluralistica nella sua offerta culturale complessiva, nel rispetto dei tanti “pubblici” e sganciata dalle logiche di mercato superando l’aberrante distinzione tra programmi “di servizio” e programmi commerciali.
E ancora che altra “parte” della legittimità democratica debba derivare dal suo diventare quello che un tempo chiamavamo “volano dell’industria culturale del paese”. Che vuol dire non solo essere espressione delle tante realtà e soggettività, non solo garantire il massimo di libertà espressiva e creativa, ma promuovere, sollecitare e sostenere, dare voce e volto alle tante potenzialità e alle tante realtà culturali del nostro paese. Vuol dire ridare vita a tutta la produzione indipendente diffusa su tutto il nostro territorio nazionale.
E ovviamente altro ancora. Per discutere di tutto questo e per elaborare un grande progetto culturale che affronti tutti gli altri temi legati alla ridefinizione del ruolo di un servizio pubblico radiotelevisivo all’altezza delle sfide tecnologiche di oggi e di domani, come Rifondazione comunista continueremo il nostro impegno a fianco delle forze sociali e culturali e dell’associazionismo, ma saremo anche noi stessi a dare vita ad un confronto il più largo possibile con tutti quei soggetti disponibili alla creazione di un nuovo movimento riformatore in difesa e per il rilancio del servizio pubblico radiotelevisivo.

Stefania Brai
Liberazione 01/07/2013

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