Voglio raccontarvi una storia che, nel panorama della crisi economica in corso, riguarda un gruppo di persone distribuito su tutta la penisola che costituisce una professionalità storicamente consolidata, ma che qualcuno ha deciso non debba esistere più.

Questa è la storia dei proiezionisti cinematografici, persone che in questo paese hanno rappresentato l’ultimo anello di una catena di distribuzione e fruizione del prodotto film cinematografico.

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È difficile parlare delle politiche per il cinema – di quelle che bisognerebbe mettere in atto, a mio parere – senza parlare prima delle politiche attuate da questo governo nei confronti della cultura e quindi del cinema. Senza avere presente cioè lo stato delle cose che vogliamo cambiare. Ma per fare questo bisogna anche avere bene presenti gli errori compiuti dai governi di centro sinistra e, per essere ancora più chiari, le politiche veltroniane nei confronti della cultura (e non solo, ovviamente).

Mi riferisco alla trasformazione delle istituzioni culturali pubbliche in fondazioni di diritto privato per dare loro “efficienza, efficacia, economicità”, trasformazione che somiglia molto ad una privatizzazione e che consente – per esempio nel consiglio di amministrazione della Scala di Milano - la presenza di imprenditori, banchieri, commercianti e politici e di un solo “addetto ai lavori”: Stéphane Lissner in quanto direttore artistico. Mi riferisco all’eliminazione di qualunque rappresentanza delle forze culturali, sociali e produttive dalla gestione di quelli che un tempo erano “luoghi pubblici” della cultura, riducendo le nomine delle istituzioni ad un fatto "privato", in senso oggettivo e soggettivo, e di esclusiva competenza dei governi, cioè dei ministri di turno. I lavoratori di quei settori, i lavoratori della cultura, non hanno motivo di avere voce in capitolo.
Sono state così nei fatti azzerate le grandi riforme realizzate all’insegna della democratizzazione e della partecipazione nella metà degli anni settanta: Biennale di Venezia, Rai, Enti cinematografici di Stato.

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“Ho 60 anni, senza lavoro e vado in pensione a 65 anni con 560 euro mensili. Dalla fine degli anni 90 ad oggi ho registrato continuamente perdite nel mio lavoro di direttore di orchestra ed organizzatore di spettacoli musicali … Ogni anno ho continuato a lavorare sperando in una ripresa, invece ho registrato continue perdite… ora sono giunto alla situazione che non ho più nulla per vivere, neanche per andare al mercato per i viveri quotidiani.

…La mia casa è andata all'asta il 12.10.2008 ed è risultata deserta. Ci riandrà a breve. Il danaro che ricaverò da tale asta serve per la banca e per i pagamenti Iva che ho evaso da 4 anni utilizzandoli esclusivamente per vivere nel quotidiano…

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È difficile parlare della gravità delle politiche del governo Berlusconi nei confronti della cultura, della conoscenza e dell’informazione in un momento in cui l’attacco ai lavoratori, ai loro diritti, allo stato sociale e alle istituzioni democratiche del paese è di una pesantezza senza precedenti.

Ma credo che dobbiamo tentare nell’analisi di cogliere il legame profondo che unisce tutte le azioni messe in atto da questo governo e che l’attacco di inedita gravità alla cultura e ai suoi lavoratori non è fatto accessorio e ininfluente, né determinato e motivato dalla crisi economica e dalla “necessità” di tagli, ma rientra esattamente nell’idea tutta strategica di demolizione della democrazia e delle conquiste dei lavoratori.

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Nelle tante riflessioni intorno alle cause della sconfitta elettorale alle elezioni politiche del 2008 abbiamo individuato alcuni errori di fondo compiuti dal nostro partito. Errori di analisi ed errori politici quando abbiamo pensato che l’alternanza potesse aprire la strada all’alternativa; quando abbiamo sottovalutato i rapporti di forza esistenti e ritenuto che i partiti di centro sinistra al governo potessero essere permeabili ai movimenti e alle istanze sociali; quando invece abbiamo sottovalutato la nostra stessa “permeabilità” al potere e alla separatezza istituzionale e non ci siamo accorti che l’attacco alla politica e alla sua casta stava diventando senso comune e stava coinvolgendo anche il nostro elettorato.

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