È difficile parlare delle politiche per il cinema – di quelle che bisognerebbe mettere in atto, a mio parere – senza parlare prima delle politiche attuate da questo governo nei confronti della cultura e quindi del cinema. Senza avere presente cioè lo stato delle cose che vogliamo cambiare. Ma per fare questo bisogna anche avere bene presenti gli errori compiuti dai governi di centro sinistra e, per essere ancora più chiari, le politiche veltroniane nei confronti della cultura (e non solo, ovviamente).
Mi riferisco alla trasformazione delle istituzioni culturali pubbliche in fondazioni di diritto privato per dare loro “efficienza, efficacia, economicità”, trasformazione che somiglia molto ad una privatizzazione e che consente – per esempio nel consiglio di amministrazione della Scala di Milano - la presenza di imprenditori, banchieri, commercianti e politici e di un solo “addetto ai lavori”: Stéphane Lissner in quanto direttore artistico. Mi riferisco all’eliminazione di qualunque rappresentanza delle forze culturali, sociali e produttive dalla gestione di quelli che un tempo erano “luoghi pubblici” della cultura, riducendo le nomine delle istituzioni ad un fatto "privato", in senso oggettivo e soggettivo, e di esclusiva competenza dei governi, cioè dei ministri di turno. I lavoratori di quei settori, i lavoratori della cultura, non hanno motivo di avere voce in capitolo.
Sono state così nei fatti azzerate le grandi riforme realizzate all’insegna della democratizzazione e della partecipazione nella metà degli anni settanta: Biennale di Venezia, Rai, Enti cinematografici di Stato.