di Ezio Locatelli*
Non c’è dubbio, Chiara Appendino, diversamente dalla sua collega Virginia Raggi, in questo primo scorcio di amministrazione comunale ha saputo suscitare una certa simpatia. Sarà per via del pedigree, l’appartenenza a una famiglia di industriali, di sicuro la nuova sindaca “non spaventa i poteri e gli imprenditori della città”, come ha avuto modo di osservare un giornale cittadino. Anzi, in queste settimane sono piovuti elogi a non finire da parte del presidente Fca, della Confindustria, della Curia. Il loro non è il classico buon viso a cattivo gioco. Semplicemente hanno capito che la nuova sindaca di Torino si atterrà al buon governo della città, senza pericolose finalità di cambiamento, senza contrapposizioni nette al modello di sviluppo perseguito in questi anni dal suo predecessore Piero Fassino.
Aspettiamo i fatti, dicono gli elettori speranzosi. Ma intanto il programma di governo locale parla chiaro. Al di là di qualche sprazzo in tema di urbanistica (il proposito di privilegiare la manutenzione dell’esistente, di realizzare piccole e non grandi opere, di riqualificare le periferie) il resto sono per lo più parole e proposte da economia aziendale, indistinguibili da qualsiasi programma di centrodestra o centrosinistra. Lo ha sottolineato il più autorevole quotidiano di riferimento della borghesia italiana, il Corriere della Sera, in un articolo di quest’estate dove si parla della “tattica del doppio binario” adottata dalla sindaca di Torino. Su un binario le sortite simboliche volte a sostenere la dieta vegana, gli incentivi in busta paga per chi andrà al lavoro in bici, i tagli dello staff e dei relativi stipendi. Sull’altro binario le scelte di peso che hanno l’impresa come riferimento. Spiega Lidia Mattioli, presidente dell’Unione Industriale: “mi pare che le esagerazioni della campagna elettorale siano state messe da parte e prevalga un atteggiamento pragmatico. Nulla è stato bloccato”. Il riferimento è alla linea di Alta Velocità Torino-Lione, agli impegni per la Città della Salute, alla priorità per le misure volte ad attrarre investimenti d’impresa.
Sta di fatto, per tornare al programma di governo locale, che non c’è alcuna proposta a garanzia di alcuni diritti fondamentali come il diritto al lavoro, alla casa, ai mezzi di sussistenza, nessun piano per la sicurezza sociale. Una mancanza che inficia tutto il resto. Torino ha vissuto in questi anni una gigantesca spoliazione industriale e sociale che si è tradotta in un aumento della disoccupazione (la disoccupazione giovanile è al 49,9%), della precarietà (i posti fissi tra il 2008 e il 2014 sono dimezzati), in una riduzione del reddito medio e dei consumi negli ultimi quattro anni rispettivamente del 15,7% e del 17,9%. Un aumento della disoccupazione, povertà, precarietà che ha ridotto drasticamente l’accesso ai diritti di cittadinanza. Si può pensare che questo accesso sia garantito semplicemente tramite il web – la nuova fenomenologia della partecipazione fatta di opinionismo disseminato, pulviscolare, indeterminato sul piano dei valori – come vorrebbe far credere il M5S? No di certo. Il lavoro e la condizione sociale sono i punti di leva fondamentali per una società realmente libera e democratica.
Per questo una compagine amministrativa, con l’ambizione di incidere sugli equilibri sociali, dovrebbe assumere come priorità l’adozione di un piano per il lavoro e la sicurezza sociale, l’adozione di misure di equità sociale. Dovrebbe stimolare una domanda di “beni comuni” legati alla riqualificazione degli spazi urbani, ai bisogni sociali, alla conoscenza, all’ambiente, alle energie rinnovabili come altrettanti campi di nuova occupazione qualitativa per una diversa idea di sviluppo. Dovrebbe muovere da una idea di giustizia redistributiva tramite la leva fiscale, l’accessibilità ai servizi pubblici, l’esigibilità dei diritti sociali e tutti quegli interventi che funzionano da “salario indiretto”. Di tutto questo non c’è nulla. Prevale un approccio general generico, l’idea di interventi residuali, l’idea vecchia degli incentivi alle aziende come volano di una ripresa sociale. Non uno straccio di proposta che metta in discussione la crescita delle disuguaglianze sociali.
Ed ancora in questi anni si è attaccato e ridimensionato il lavoro pubblico, l’assistenza, i servizi educativi, il trasporto pubblico locale con una logica che pervicacemente è andata nel senso di ridurre il perimetro dell’intervento pubblico e dello Stato Sociale. Sarebbe necessario invertire questa tendenza., riconquistare i beni e gli spazi occupati dal mercato. E’ troppo chiedere che sia spesa qualche parola chiara, di contrarietà, rispetto ai tagli sociali e ai processi di privatizzazione? Forse è davvero troppo vista l’eterogeneità di una compagnie amministrativa che vede uomini e donne di svariata provenienza (centrodestra, Lega, Pd, sinistra) e cultura politica, di una compagine che si presta volutamente a letture e interpretazioni ambivalenti almeno fin tanto che sarà messa di fronte alle proprie responsabilità.
Se è bene che Fassino, con le ultime amministrative, abbia perso e con lui una fetta del Pd renziano, è altrettanto vero che bisogna evitare di scambiare lucciole per lanterne. La sindaca Appendino, per restare ancora a quanto autorevolmente scritto dal Corriere della Sera, più che un’alternativa è “un’alternanza tra due segmenti di classe dirigente” chiamati a definire un nuovo baricentro di potere. Di sicuro, com’é stato in tutti questi anni, continua a non esserci la rappresentanza del mondo del lavoro, così come delle classi sociali meno abbienti, delle fasce sociali più deboli. La sinistra deve tornare a fare questa parte nelle battaglie per il diritto e la dignità del lavoro, il diritto alla casa, alla salute, nelle lotte alle disuguaglianze, per il diritto alla cittadinanza sociale di tutte e tutti. L’alternativa post liberista è tutta quanta da costruire.
*segretario provinciale di Rifondazione Comunista Torino