Elena Mazzoni* - 

Se ci fosse stata una discussione pubblica ci sarebbe più chiarezza. Ma non è stato possibile e non dipende da noi che ci opponiamo

Io sono una romantica, chi mi conosce, lo sa. Mi commuovo quando guardo la bellezza del Tevere da Ponte Sisto, mi commuovo mangiando un buon supplì, mi commuovo quando vengono conquistati nuovi diritti, mi commuove la passione, mi commuove la verità. Ecco, forse è per questo, perché sono una romantica, che l’affermazione “…una sana discussione pubblica deve basarsi su argomenti documentati e reali”, parte di un articolo in cui Chicco Testa, non un opinionista qualsiasi ma il più entusiasta tra gli attivisti del comitato promotore del termovalorizzatore di Roma, si cimenta su Huffpost nello smontare le argomentazioni di contrasto alla costruzione dell’inceneritore, ed un pochino a screditare tutto il vasto e trasversale fronte delle opposizioni, mi commuove, perché Chicco Testa deve essere un sognatore vero, uno che ha visto una discussione pubblica che non c’è stata.

Mai.

Eppure ci hanno provato i/le Sindac* del territorio dei Castelli Romani, Ardea, Pomezia, ad averla, anche con la richiesta di dibattito pubblico, approvata nel primo semestre 2023 dai consigli comunali rappresentativi di oltre 250.000 abitanti, ai sensi dell’art. 22 del D.Lgs. n. 50/2016, come previsto dall’art. 3 comma 3 lett. c del D.P.C.M. n. 76/2018. Richiesta rimasta inascoltata. Ci ha provato il più grande sindacato italiano, la Cgil, che ha studiato, insieme a Legambiente, ed ha poi presentato proposte, risposte, alternative prestazionali, spero che il manager Testa apprezzi lo sforzo lessicale, sia sul piano occupazionale che su quello della sostenibilità ambientale e della giusta transizione ecologica.

Ci hanno provato istituit* ed elett*, a vari livelli, creando occasioni di dibattito, quello pubblico davvero, disertate. Ci hanno provato i comitati, le associazioni, le reti di ogni tipo, ultima in ordine di tempo la Rete Tutela Roma Sud, organizzatrice di un convegno in Campidoglio. La sana discussione pubblica, qualora ci fosse stata, avrebbe evitato questi “botta e risposta” e magari avrebbe regalato a Roma la soluzione moderna, efficiente, sostenibile, all’avanguardia per la gestione dei rifiuti, che merita, ed ai romani ed alle romane una città pulita davvero.

Ma andiamo con ordine, sorvolando su Corrado Formigli, la sua trasmissione, un Marino resuscitato dalla competizione elettorale per le europee e le sue affermazioni, e proviamo a fare quello che la discussione pubblica avrebbe dovuto fare, e ringrazio l’Huffipost che ha aperto uno spazio troppo a lungo chiuso.

Cosa c’entra l’indagine della Procura di Velletri sul prezzo di acquisto del terreno su cui sorgerà l’impianto? Lo spiega l’esposto presentato da Rete Tutela Roma Sud il 9 aprile 2024 nel quale si evidenzia che il terreno acquistato a S. Palomba, al momento dell’indagine di mercato avviata nel 2021, non aveva i requisiti richiesti e solo tramite una successiva modifica della mappa delle aree idonee da parte di Città Metropolitana è stato possibile acquistarlo a quel prezzo abnorme. Tuttora non rispetta la distanza dalle case sparse e dal quartiere di 1.000 appartamenti di housing sociale in costruzione dal 2019. Non basta questo per mettere in dubbio la liceità del procedimento o forse non importa che Roma abbia un impianto trasparente, basta che abbia un impianto, a tutti i “costi”?

Un pochino debole anche la ricostruzione sui ricorsi respinti. Testa dovrebbe sapere che i giudici amministrativi si limitano a verificare che la legge sia stata rispettata e in questo caso, la legge con cui sono state trasferite le competenze sui rifiuti al Commissario Straordinario per il Giubileo consente di “derogare”, cioè superare, le leggi nazionali e regionali poste a tutela di ambiente e salute. L’interpretazione, un po’ troppo estesa a parere di chi scrive, è che tale deroga sia accettabile anche per opere non attinenti al Giubileo, perché sì, spiace dirlo, ma da cronoprogramma del progetto messo a bando, il collaudo è previsto quasi tre anni dopo, ovvero a metà 2027

Forse, per una lettura più ampia della questione è opportuno ricordare che gli altri due termovalorizzatori proposti ad Aprilia e Tarquinia, senza poteri speciali, sono stati bocciati dagli stessi giudici amministrativi.

Veniamo poi ad un punto in cui Testa fa un equilibrismo di ragionamento arrivando a collegare le procedure d’infrazione europee alla mancanza di inceneritori, ma cade, perché la procedura di infrazione per la Regione Lazio è stata avviata per l’assenza di un Piano di Gestione rifiuti, lacuna colmata nel 2020 senza prevedere ulteriori inceneritori oltre quello di San Vittore, e per il mancato rispetto della gerarchia europea dei rifiuti. Il Lazio è agli ultimi posti in Italia per riciclo e solo il 30% delle famiglie vive in un comune che ha raggiunto l’obiettivo del 65% di raccolta differenziata dei rifiuti urbani. Testa forse ignora che le procedure di infrazione non vengono mai “originate dalla mancanza di inceneritori”, perché in base al principio europeo della neutralità tecnologica, la scelta prevede anche tecnologie alternative, come gassificatori, pirolizzatori, impianti di recupero materia o che estraggono idrogeno, la sua quindi è una forzatura, oppure è romantico anche lui ed i suoi occhi vedono solo quello che vede il suo cuore: inceneritore ovunque.

Ma veniamo ad uno dei miei passaggi preferiti: “gli impianti di incenerimento non sono stati inseriti nel Pnrr e nemmeno nella tassonomia europea degli investimenti verdi, ma questo non significa che sono inquinanti”. A questo punto credo sia necessario ricordare che nelle linee guida pubblicate dalla Commissione europea sull’interpretazione del principio “non arrecare danno significativo all’ambiente” (Do Not Significant Harm – DNSH), l’incenerimento dei rifiuti è considerato un’attività che arreca un danno significativo ed è in virtù di questo che, gli impianti che bruciano rifiuti per produrre energia, sono esclusi dalla tassonomia della finanza dell’Ue.

Ed è altrettanto necessario specificare che, nella gerarchia europea dei rifiuti, ai sensi della direttiva 2008/98/CE, l’incenerimento, anche se produce energia elettrica, è ricompreso tra i sistemi di smaltimento insieme alle discariche, pertanto, rappresenta l’ultima tra le opzioni possibili. Gli impianti di incenerimento dei rifiuti solidi urbani sono compresi tra i sistemi di recupero solo se la loro efficienza energetica è uguale o superiore a parametri raggiungibili con il teleriscaldamento, eliminando un certo numero di caldaie domestiche, cosa che alle nostre latitudini non è economicamente sostenibile e infatti nessuna città del centro sud con un inceneritore è dotata di tubi per portare il calore nelle case.

A questo punto si connette anche quello che riguarda la parte di ragionamento sul costo dell’impianto, Testa contesta i numeri di un precedente articolo dell’ex senatrice Elena Fattori per poi sbagliarli lui stesso: l’investimento nell’impianto è pari a 946.100.000 euro non ai 700.000.000 di cui parla lui, ma l’errore sui numeri è grossolano quando afferma che dalla TARI dei romani e delle romane verrà detratta la vendita dell’energia, “come avviene in tutti gli inceneritori italiani ed europei” significa dimenticare che nel nord Europa gli inceneritori vendono anche calore, a Santa Palomba, no, quindi mancherebbe una fonte di ricavo.

Altri numeri che non tornano: “Il comune di Roma produce 1,9 milioni di tonnellate di rifiuti l’anno, una volta riciclato il 65% al 2035 (1.235.000) restano 665.000 tonnellate di rifiuti non riciclabili. L’impianto (600.000 tonnellate anno) è quindi sottodimensionato”. Addirittura! Il Piano di Gestione dei Rifiuti di Roma Capitale prevede che la produzione di rifiuti urbani si attesti a 1.520.000 tonnellate/anno, tenendo conto di arrivare ad almeno il 65% di riciclo “vero” nel 2035, cioè di materiali realmente riciclati, senza tenere conto dell’ampliamento che è stato comunque richiesto per San Vittore. Il residuo corrisponde a 532.000 tonnellate, uno dei due è di troppo. Tutto questo, inoltre, non tiene conto dell’evoluzione della normativa, che va dal divieto di alcune tipologie di plastica monouso al recente accordo provvisorio sul regolamento imballaggi, che ne prevede la progressiva riduzione.

Potrei andare avanti per ore, giorni, settimane, ci fosse stata una discussione pubblica lo saprebbe Gualtieri e forse anche Testa. Potrei parlare dell’acqua necessaria per raffreddare l’impianto, delle discariche speciali per polveri ed altro, delle caratteristiche del sito scelto, ma sarebbe troppo, meglio concentrarci su quello che conta davvero, che l’Italia è un Paese povero di materie prime, con un clima mite, reso caldo dalla crisi climatica in corso, che non ha bisogno di bruciarle per scaldarsi, aggiungendo CO2 e altri inquinanti nell’atmosfera, CO2 che verranno tassate, che sia nel 2026 o nel 2028, con buona pace del dottor Testa, perché in un mondo al collasso climatico non possiamo permetterci ancora di bruciare, emettere inquinanti ed altro e lo diciamo perché nell’art. 9 della Costituzione ci crediamo, per noi e per le future generazioni, come crediamo in un modello alternativo, circolare, sostenibile, a misura di ambiente, persone, cultura, lavoro e territori e non perché siamo “gruppi, fortunatamente minoritari, dedichino tanta energia e tanto livore contro un impianto” bensì perché quello che ci muove è quanto detto e non l’interesse di pochi.

Non siamo tanto minoritar* caro Chicco, organizziamo incontri, presentiamo mozioni, ricorsi, esposti, studiamo, raccogliamo firme, ci prendiamo le piazze e le strade, andiamo dal Papa il 18 maggio, all’incontro dei movimenti popolari, illuminiamo la notte con le nostre fiaccolate, voi, invece, dove state che non vi vediamo?

*Resp nazionale ambiente, e Segretaria federazione di Roma, Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea. Candidata nella lista Pace, Terra, Dignità. Da Huff.Post

Al ministro Pichetto rispondiamo che non abbiamo bisogno del nucleare ma di fermare la guerra. La rinuncia antieconomica al gas russo dovrebbe indirizzare verso l'energia pulita. Invece si acquista a costi maggiorati energia fossile peggiore dagli USA o "riciclata" attraverso giri incredibili. Così i profitti crescono a dismisura come le bollette e l'inflazione. E ritorna immancabile la bufala nucleare che dovrebbe essere stata sepolta da ben due referendum. Ora la bufala assume le sembianze delle "piccole centrali". Il ministro Pichetto non diffonda la bufala che allude a impianti che non hanno nessuna praticabilità per ragioni di costi e di sicurezza. Non è che un nucleare piccolo è sicuro. Semplicemente è ancora meno ragionevole economicamente. Per questo ribadiamo che serve quanto prima farla finita con la guerra. Per riprendere la strada di una politica energetica fondata sulle ragioni sociali e ambientali e non sui profitti della speculazione e le follie militari. Nel mondo il nucleare non è il futuro e infatti la Germania ha detto addio. La produzione di energia nucleo-elettrica su scala mondiale è scesa a meno del 10% di quella elettrica complessiva e, conseguentemente, a meno del 2% dei consumi finali d’energia. Ci sono interessi lobbistici molto forti dietro questa ossessione per il nucleare fuori tempo massimo che è davvero inquietante in questi tempi di vertiginoso rilancio della corsa agli armamenti per il legame strategico tra civile e militare.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Elena Mazzoni, responsabile ambiente del Partito della Rifondazione Comunista, candidati della lista Pace Terra Dignità

Alla popolazione dei comuni dell'Emilia Romagna sommersi da acqua e fango e ai familiari delle vittime esprimiamo la solidarietà e il cordoglio del Partito della Rifondazione Comunista.
Crisi climatica, cementificazione e mancata manutenzione del territorio concorrono al sempre più frequente ripetersi di queste tragedie.
Il PNRR, e la stessa attenzione della Regione, avrebbero dovuto essere finalizzati ad obiettivi come la messa in sicurezza del territorio e non alle solite grandi opere che arricchiscono le lobby dei prenditori di stato.
Governi e Regione dovrebbero smetterla con l'incentivazione della cementificazione invece di fare il contrario.
Anche in questo campo il PD che governa l'Emilia Romagna non è stato diverso dalle regioni governate dalla destra. L’Emilia-Romagna è la terza regione più cementificata d’Italia e per incremento del consumo di suolo nel 2021 (ultimo dato disponibile). Con il 9% di suolo impermeabilizzato l'Emilia Romagna è al di sopra della già altissima media nazionale.

Bonaccini ha approvato una legge urbanistica ignobile da questo punto di vista, contestata dai migliori urbanisti italiani.
Il governo dovrebbe smetterla col negazionismo climatico, il Pd di predicare bene e razzolare male.
Il ripetersi di questi eventi segnala che abbiamo bisogno di un piano nazionale per la messa in sicurezza del territorio e per l'adattamento alla crisi climatica. Vanno cancellate le norme nazionali e regionali che incentivano l'impermeabilizzazione e va approvata una legge per lo stop al consumo di suolo. Bisogna procedere con determinazione verso la transizione ecologica.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale, Stefano Lugli, segretario regionale ER, Elena Mazzoni, responsabile ambiente
Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea

E' folle e inaccettabile quanto propongono i rappresentanti dei balneatori spalleggiati dalla destra. L'idea di aggirare la direttiva Bolkestein individuando "nuove aree di coste libere da assegnare con apposito bando lasciando inalterate quelle già in vigore", come dichiara Ragusa della SIB, significa continuare con la cementificazione, la recinzione, la privatizzazione delle nostre spiagge.

In Italia ci sono già troppe concessioni: 12.166 è il dato del 2021 fornito da Legambiente che registrava un aumento del 12,5% in 3 anni. Ci sono comuni con il 90% del litorale in concessione e regioni che superano il 70%. Molto spesso non sono occupati da concessioni solo tratti di costa dove l'acqua non è balneabile.

La si smetta con la demagogia corporativa e si cerchino soluzioni per tutelare il lavoro non la rendita. Le concessioni su beni demaniali come le spiagge vengono vendute da privato a privato per cifre di milioni di euro come se si trattasse di proprietà.

È ridicolo dire che si rischia che grandi società e ricconi acquistino concessioni dalle aziende familiari. È un processo che avviene da anni solo che lo Stato non incassa nulla. Comunque si possono fare norme che impediscano l'accatastamento.

Si fa propaganda sugli investimenti ma si è trattato di iniziative dei privati che così hanno aumentato la redditività delle concessioni.
Quasi sempre si tratta di una proliferazione edilizia che ha deturpato le spiagge, precluso la visibilità e che non è certo stata richiesta dalla collettività.

E' evidente che gli operatori sapendo che la concessione si sarebbe rinnovata in eterno hanno fatto pressione, su capitanerie, legislatori, comuni e regioni per ottenere sanatorie e sempre nuovi metri cubi per realizzare sempre più attività. Ormai sulle spiagge c'è di tutto e di più.

Non tutti i comuni si sono comportati alla stessa maniera ma per gran parte delle coste italiane sarebbe necessario un grande piano per la rinaturalizzazione e la riqualificazione degli arenili, per garantire la riduzione dei manufatti, il recupero della vista mare e l'abbattimento di recinzioni non compatibili con la natura demaniale delle spiagge.

Noi facemmo una campagna contro direttiva Bolkestein e non la votammo perché riteniamo che le logiche di mercato non debbano regolare la vita collettiva.

Facciamo però presente che la normativa europea non obbliga a mettere a gara e che alla scadenza le concessioni possono essere ridotte come superfici o semplicemente revocarle. E si può pensare a forme di gestione che tutelino il lavoro degli operatori locali.

Di sicuro non si può accettare che prosegua all'infinito l'antropizzazione delle spiagge.

Giù le mani dalle spiagge libere!

Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Elena Mazzoni, responsabile ambiente del Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea

E' folle e inaccettabile quanto propongono alcuni rappresentanti dei balneatori spalleggiati dalla destra. L'idea di aggirare Bolkestein individuando "nuove aree di coste libere da assegnare con apposito bando lasciando inalterate quelle già in vigore", come dichiara Ragusa della SIB, significa continuare con la cementificazione, la recinzione, la privatizzazione delle nostre spiagge.
In Italia ci sono già troppe concessioni: 12.166 è il dato del 2021 fornito da Legambiente che registrava un aumento del 12,5% in 3 anni. Ci sono comuni con il 90% del litorale in concessione e regioni che superano il 70%. Molto spesso non sono occupati da concessioni solo tratti di costa dove l'acqua non è balneabile.
La si smetta con la demagogia corporativa e si cerchino soluzioni per tutelare il lavoro non la rendita. Le concessioni su beni demaniali come le spiagge vengono vendute da privato a privato per cifre di milioni di euro come se si trattasse di proprietà.
Si fa retorica sugli investimenti ma quasi sempre si tratta di una proliferazione edilizia che ha deturpato le spiagge, precluso la visibilità e che non è certo stata richiesta dalla collettività.
E' evidente che gli operatori sapendo che la concessione si sarebbe rinnovata in eterno hanno fatto pressione, su capitanerie, legislatori, comuni e regioni per ottenere sanatorie e sempre nuovi metri cubi per realizzare sempre più attività. Ormai sulle spiagge c'è di tutto e di più.
Su gran parte delle coste italiane sarebbe necessario un grande piano per la rinaturalizzazione e la riqualificazione degli arenili, per garantire la riduzione dei manufatti, la riqualificazione, il recupero della vista mare e l'abbattimento di recinzioni non compatibili con la natura demaniale delle spiagge.
Basta con la riduzione delle spiagge libere!

Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Elena Mazzoni, responsabile ambiente del Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea

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