La protesta di malati Sla (sclerorsi laterale amiotrofica) e loro familiari davanti al ministero dell’economia, per chiedere a gran voce che venisse mantenuta la promessa fatta nel novembre del 2010 dal governo di destinare 100 milioni di euro alla ricerca e all’assistenza per i malati Sla, si è conclusa positivamente. Una delegazione di manifestanti, tra cui due malati Sla, è stata ricevuta ed ha ottenuto un impegno concreto da parte del ministero del Tesoro, che ha predisposto ed inviato alla Presidenza del consiglio dei ministri un DPCM di urgenza che garantisce lo sblocco immediato dello stanziamento dei 100 milioni. La lotta per i diritti e la dignità delle persone ha vinto, ma noi vigileremo perché questa volta la promessa sia mantenuta fino in fondo. Rifondazione Comunista ha sostenuto e partecipato al presidio al fianco del Comitato “16 novembre” promotore della protesta.

Comitato nazionale malati Sla e familiari “16 novembre” e Partito della Rifondazione Comunista

Rifondazione Comunista aderisce e partecipa alla manifestazione nazionale degli operatori sociali “Il Wefare non è un lusso” che si terrà domani 27 aprile a Napoli, Roma e Genova. Saremo in piazza al fianco di operatrici e operatori per protestare contro questo Governo che sta letteralmente smantellando lo stato sociale per sostituirlo con un welfare residuale e caritatevole. I tagli dell’80% ai fondi sul sociale, passati da 2,5 miliardi a 500 milioni, e il federalismo fiscale che produrrà ulteriori diseguaglianze tra nord e sud del Paese sono un segno di inciviltà  senza precedenti, soprattutto in una fase in cui aumentano giorno dopo giorno i bisogni della cittadinanza. Nell’indifferenza totale della maggioranza stanno chiudendo i servizi essenziali territoriali e perdendo il lavoro migliaia di operatori sociali. E la manovra correttiva di decine di miliardi di euro che si appresta a realizzare Tremonti sarà il definito colpo di grazia. È necessario fermare subito questa macelleria sociale attraverso il ripristino integrale dei Fondi sul sociale, la definizione dei livelli essenziali di assistenza sociale, l’istituzione del reddito sociale per tutti i disoccupati. Le risorse per fare questo ci sono, basterebbe introdurre la patrimoniale, combattere efficacemente l’evasione fiscale, ridurre le spese militari. 
Antonio Ferraro, responsabile nazionale Politiche sociali Prc-Fds

di Stefano Galieni (Liberazione del 30 marzo 2011)

Lucio Babolin è portavoce della campagna “I diritti alzano la voce”, nata nel 2009 come cartello di associazioni e organizzazioni del terzo settore, impegnate in una battaglia di resistenza contro i tagli alla spesa sociale imposti dal governo e che vuole però proporre un nuovo e inclusivo welfare nazionale. 

Il voto in commissione bicamerale sul federalismo regionale, approvato con l’accordo delle Regioni rischia di mettere altri elementi problematici rispetto ai già forti squilibri nello stato sociale. Cosa ne pensi? 

Non ho ancora visto il testo approvato. Sapevamo che c’era un tavolo degli assessori regionali alle politiche sociali. Noi abbiamo chiesto di predisporre un documento. Hanno stabilito un testo di cornice, vi sono elencati dei principi ma non individuava assolutamente dei livelli standard di servizi essenziali. Abbiamo saputo che il massimo che hanno potuto fare è stato allegare al testo una tabella elaborata attraverso i dati Istat, in cui erano quantificati, regione per regione, i costi complessivi globali per le spese sociali messe in campo per l’anno precedente, il tutto per elaborare una media ponderata pro capite. Siamo andati ad un incontro con gli assessori ma si è rivelato di fatto un momento di pura cortesia, non c’è stata l’apertura di un vero spazio di confronto. Ha partecipato anche il Forum Nazionale del Terzo Settore. Si parlava di sussidiarietà ma senza avere luogo e sede per esercitarla. Non abbiamo potuto avanzare proposte né provare a giungere ad un accordo. Ora abbiamo chiesto un incontro a Vasco Errani in quanto presidente della “Conferenza Stato Regioni”. Il testo che abbiamo presentato noi non fissa solo principi ma anche standard minimi esigibili. Standard che o possono essere specificati in un tavolo tecnico o che almeno possano avere lo stesso valore economico in tutta Italia. Questo è possibile solo se l’indicatore diventa un vincolo. Non è possibile che in alcune regioni sia di 110 euro pro capite e in altre sia ad un livello non compatibile. 

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di Paolo Ferrero (Liberazione del 24 febbraio 2011)

Il Cantiere che si apre oggi a Napoli organizzato dal Comitato “il welfare non è un lusso” è assai importante. In primo luogo per le associazioni e le realtà che coinvolge. Si tratta di uno spaccato di chi oggi concretamente sta facendo il lavoro sociale nel cosiddetto settore del pubblico non statale con una impostazione che punta all’emancipazione dei soggetti più deboli. Si tratta di un condensato di intelligenze, di intellettualità che opera sul territorio praticando l’assistenza alle persone con la ricostruzione dei legami sociali. Una intellettualità diffusa il cui lavoro è una risorsa decisiva per il paese e per una sua trasformazione. Una intellettualità che conosce il paese e che trasforma in volti e in percorsi di vita quella realtà che sovente siamo abituati a trattare come freddi numeri di statistiche. In secondo luogo perché l’attacco del governo al settore dei servizi sociali è pesantissimo. Il governo sta tagliando le risorse in modo clamoroso. Con il governo Prodi eravamo riusciti a portare il Fondo delle politiche sociali ad un cifra vicina al miliardo di euro. Adesso siamo a poco più di 200 milioni. Con il governo prodi avevamo dato vita al Fondo per la non autosufficienze stavamo costruendo i LIVEAS. Il governo Berlusconi ha sostanzialmente azzerato il fondo. L’operazione del governo non è solo quantitativa, è qualitativa: si tagliano i soldi per i servizi pubblici, si mantengono unicamente i trasferimenti monetari alle persone e si apre così uno spazio per i servizi privati. Al posto dei diritti di cittadinanza abbiamo da un lato la costruzione di un mercato privato destinato alle famiglie più abbienti e dall’altra la costruzione del terreno della marginalità e dell’esclusione che sovente ha nel carcere l’unica superficie di contatto con lo stato. In terzo luogo perché il cantiere di Napoli porrà la centralità politica della questione del welfare. Si tratta di un compito difficilissimo. Tutto il settore pubblico del lavoro sociale, della cura, dell’assistenza, non assume mai la dignità di un problema politico. Rimane sempre confinato nel limbo dell’assistenza, una specie di propaggine della famiglia abitato da persone caritatevoli – di cui molte donne - che si occupano dei “marginali”. Uno spazio che non riguarda le “persone normali” ma i “drop out”, in cui gli stessi operatori sono destinati a divenire “drop out”. Il cantiere di Napoli rifiuta questa ghettizzazione e rivendica fino in fondo che la civiltà di un paese si misura da come vengono trattati coloro che – in un determinato momento della propria vita – non ce la fanno da soli. Il cantiere di Napoli è importante perché dirà che quella sociale non è una spesa ma un investimento. Per tutti questi motivi ringraziamo gli organizzatori di questo appuntamento.

Il mancato rifinanziamento del fondo nazionale per la non autosufficienza, promesso mesi fa da Sacconi alle regioni, e il ripristino della social card, la carta dei poveri, fanno del milleproroghe una porcata senza precedenti. Da quando è in carica questo Governo ha ridotto le risorse sul sociale da 2 miliardi e mezzo ad appena 500 milioni (il fondo nazionale per le politiche sociali da 930 a 275 milioni, quello per le politiche della famiglia da 345 a 52,5, azzerato il Fondo nazionale per la non autosufficienza che nel 2010 ammontava a 400 milioni). Adesso, dopo aver smantellato i servizi sociali territoriali, ripropone l’inutile e costoso strumento della social card, affidandone parte della gestione ad alcuni enti caritativi. Assistiamo al paradosso tutto italiano che mentre aumentano i bisogni sociali di milioni di persone, dagli anziani ai disabili, si riducono servizi e prestazioni lasciando spazio ad un welfare caritatevole e mercantile.Chiediamo che nell’ultimo passaggio del decreto alla Camera si rimedi a tanta irresponsabilità e incompetenza nell’affrontare i problemi sociali dei cittadini, rifinanziando almeno il fondo non autosufficienza e spostando le risorse dalla social card al fondo nazionale per le politiche sociali.

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