L’accordo sulla rappresentanza sindacale firmato da sindacati e imprese è stato salutato come una svolta epocale e in un certo senso lo è, ma bisogna anche avere altrettanto chiari i suoi limiti: come vedremo, essi portano a concludere che c’è ancora bisogno di una legge. Innanzitutto c’è da dire che questo accordo non riguarda tutta la contrattazione, perché la territoriale e la aziendale restano regolate dagli articoli 3, 4 e 5 dell’accordo del 28 giugno 2011.

E, come si ricorda, questi articoli hanno previsto un’efficacia generale del contratto aziendale qualora esso sia stipulato da un Rsa, ovvero confermato, in alcuni casi, dal referendum tra i lavoratori.

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Maurizio Landini promuove l’intesa raggiunta sulla rappresentanza. «Ma non risolve tutte le vertenze, ci vuole una legge»

«L’accordo sulla rappresentanza è positivo. Perché finalmente in un’intesa firmata sia dai sindacati che dalle imprese, si arriva a definire chi può fare i contratti e come debbano essere validati. E, fondamentale, si mette in mano ai lavoratori il mezzo di validazione». Il segretario Fiom Maurizio Landini accoglie con soddisfazione il nuovo patto siglato da Cgil, Cisl e Confindustria, ma non si nasconde che molti problemi rimangono aperti. «E resta comunque – aggiunge – la necessità di avere una legge».

Partiamo dagli elementi positivi, poi affronteremo i problemi.

Innanzitutto c’è un fattore di fondo: è importante che sia stato riconosciuto, in qualche modo, il valore delle nostre lotte per la democrazia. È un bene che non solo la Fiom e gli altri sindacati vogliano mettere fine all’epoca dei contratti separati, ma che lo pensi e lo voglia anche la Confindustria. Mi pare si sia rispettato il principio che più volte abbiamo detto di sostenere, ovvero che per la validazione di un contratto ci vuole la firma del 50% più 1 dei sindacati rappresentativi e una consultazione certificata dei lavoratori. Questo spinge finalmente verso la ricerca di una vera unità sindacale, fatta sui contenuti. Bene anche che si preveda l’elezione delle Rsu su base proporzionale, senza il terzo garantito.

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Cgil, Cisl e Uil e Confindustria hanno raggiunto l'accordo sulla rappresentanza e la democrazia sindacale (il testo). I leader dei sindacati Susanna Camusso, Raffaele Bonanni, Luigi Angeletti ed il presidente degli industriali, Giorgio Squinzi, hanno siglato l'intesa dopo 4 ore di confronto. Il raggiungimento dell'accordo ha subito un'accelerazione grazie al precedente accordo siglato con un documento unitario dai sindacati il 30 aprile scorso. Camusso e Squinzi d'accordo, quasi in coro hanno detto: "E' un accordo storico". "Un accordo che mette fine ad una lunga stagione di divisioni", aggiunge la Camusso. "Dopo 60 anni definiamo le regole per la rappresentanza, che ci permette di avere contratti nazionali pienamente esigibili" dice il presidente di Confindustria. "E' una svolta davvero importante nelle relazioni industriali" dice il leader della Cisl, Raffaele Bonanni. "La Cisl è molto contenta. Abbiamo perseguito con molta forza questo obiettivo". Angeletti della Uil: "E' un accordo importante che regolerà i rapporti, le relazioni industriali in modo più chiaro e trasparente. La dimostrazione che le parti sociali sono capaci di autoregolarsi''. Arriva anche il plauso del premier Letta: "Una bella notizia l'accordo appena firmato Confindustria-sindacati: E' il momento di unire, non di dividere per combattere la disoccupazione". Tra le regole c'è la soglia del 5% della rappresentanza per sedere al tavolo della contrattazione nazionale. Nel privato, come già accade nel pubblico, la rappresentatività sarà misurata attraverso l'incrocio tra numero degli iscritti e voto proporzionale delle Rsu (rappresentanze sindacali unitarie). Inoltre, per validare gli accordi serve la maggioranza semplice (50% più uno) della rappresentanza sindacale e dei lavoratori tramite consultazione. Ci tiene a chiarire Squinzi che se un contratto nazionale è sottoscritto dal 50% più uno della rappresentanza sindacale ''tutti sono tenuti a rispettare quanto stabilito da quel contratto".

La manifestazione promossa dalla Fiom per il 18 maggio è importante per molti motivi. Perché rompe il vuoto di mobilitazioni tanto più grave mentre la crisi si dispiega con tutta la sua violenza e chi ne è colpito rischia di rimanere con il carico di una sofferenza solitaria. Perché parte dalle metalmeccaniche e dai metalmeccanici ma ha l’obiettivo di ricomporre il mondo del lavoro, frammentato e precarizzato, a partire dalle parole d’ordine del blocco dei licenziamenti e della riduzione d’orario, della riconquista del contratto senza deroghe, del salario orario minimo e del reddito di cittadinanza. Perché mette in campo una piattaforma che parla della necessità di un cambio generale e radicale di rotta, che rimetta in connessione i soggetti colpiti dalla crisi e le diverse realtà di movimento.

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“Sarà soprattutto una manifestazione di proposta per chiedere un cambiamento e per indicare soluzioni possibili”. Così Maurizio Landini, segretario generale della Fiom spiega il significato della manifestazione del 18 maggio, che lui stesso ha definito “non un giorno di protesta ma un inizio”. “Noi pensiamo che bisogna uscire dalle politiche del governo Berlusconi e del governo Monti – prosegue Landini – e che mettere al centro il lavoro vuol dire in primo luogo cambiare le politiche economiche e sociali”.

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