di Federico Guerrini
Povero tecnofringuello, ma che diamine gli avrà fatto ai giornalisti italiani? Mai come in questi giorni, sulla carta stampata e online è un susseguirsi di accuse nei confronti di Twitter – e talvolta dei social network in generale – accusati di fomentare superficialità e narcisismo, di generare rumore più che suono, insomma, di essere l'equivalente telematico del bar sport.
A dare il via al fuoco incrociato, è cosa nota, è stato nientemeno che Michele Serra su Repubblica, con un corsivo assai polemico. In sintesi: su Twitter l'eccessiva concisione fa sì che prevalga l'emotività sul ragionamento, va bene per sfogarsi, ma la cultura è altro. Il che, a pensarci bene, fatto salvo il fatto che è evidente che il medium non serve solo a sfogarsi ma anche a informarsi, creare consapevolezza, mobilitare l'opinione pubblica (si pensi al caso degli ultimi referendum o delle amministrative a Milano) e molto altro, sarebbe anche ovvio.