Tutte le rappresentanze dei giornalisti italiani – dall’Usigrai alla Fnsi, dall’Ordine all’Inpgi – hanno inviato un appello al presidente del Consiglio per sollecitare “un’iniziativa che consenta la riforma della governance Rai”. “Qualunque iniziativa deciderà di assumere… - continua l’appello - troverà in noi convinti sostenitori. In particolare per quanto riguarda la fonte di nomina, siamo certi che vorrà individuare una proposta che ponga fine a ogni interferenza dei governi, delle forze politiche e delle lobby sul servizio pubblico radiotelevisivo…”.
Se condividiamo totalmente le preoccupazioni e l’allarme dei giornalisti sullo stato in cui versa il servizio pubblico – ultimo episodio le nomine dei direttori del tg1 e delle testate regionali – restiamo tuttavia perplessi sulle modalità e su parte dei contenuti dell’appello.
Non ci rassegniamo alla “democrazia sospesa”, alle riforme per decreti ma ancora di più non ci affidiamo ad occhi chiusi al “tecnico” salvatore della patria. Crediamo che non sia certo sufficiente una riforma della governance per far tornare la Rai a svolgere quel ruolo di volano dell’industria culturale italiana che spetta al servizio pubblico radiotelevisivo. Così come non crediamo che anche la Rai abbia bisogno di un amministratore unico “padrone assoluto” dell’azienda pubblica, ma di una riforma che veda la partecipazione al governo dell’azienda delle forze sociali, professionali e culturali.
Crediamo che il vero destinatario dell’appello debba essere il Parlamento e che il compito responsabile – e difficilissimo – di chi crede nella politica e nei partiti come strumenti insostituibili per cambiare la società è oggi la ricostruzione di un tessuto di partecipazione reale: per ridiscutere il ruolo di un servizio pubblico radiotelevisivo all’altezza delle sfide tecnologiche di oggi e di domani mettendo intorno a un tavolo insieme ai giornalisti le forze sociali e culturali, l’associazionismo e i movimenti. Per elaborare un grande progetto culturale che riporti la Rai ad essere un’azienda realmente democratica e autonoma, decentrata e partecipata, che possa ridare vita a tutta la produzione indipendente diffusa su tutto il territorio nazionale, pluralistica nella sua offerta culturale complessiva nel rispetto dei tanti “pubblici” e sganciata dalle logiche di mercato. Su un progetto alto e condiviso non sarà difficile trovare forme e competenze per metterlo in atto. I nomi verranno poi.
Stefania Brai
Responsabile nazionale cultura Prc
Roma, 2 febbraio 2012