di Dino Greco
La giostra dei tagli – sotto le mentite spoglie della spending review – ha ricominciato a girare vorticosamente. La mannaia viene di nuovo calata sulla sanità (per 1,5 miliardi che amputano una spesa già ridotta ai minimi termini), sull'assistenza ai disabili, sul pubblico impiego (con un ulteriore blocco triennnale dei contratti!), sull'università. Poi, dal 2013, l'aumento di un punto dell'Iva, mentre sta per arrivare l'impatto durissimo della seconda rata dell'Imu (che invece il Vaticano dovrà pagare – limitatamente ai propri edifici a destinazione commerciale – soltanto dall'anno prossimo).
In questo raggelante contesto, la riduzione di un punto delle aliquote più basse dell'Irpef appare come un impacco tiepido, un atto meramente simbolico, del tutto privo di concreta efficacia, di fronte agli aumenti paurosi di prezzi e tariffe che alimentano una dinamica dei consumi in continua regressione.
L'inesorabile logica del pareggio di bilancio – il primo dei tre pilastri che sorreggono il monetarismo montiano – sta producendo i suoi effetti micidiali. La legge di stabilità manda definitivamente in soffitta la Costituzione, perché non c'è diritto di cittadinanza protetto dalla Carta che possa prevalere sul dogma dell'equilibrio contabile.
Naturalmente vi sarebbero, pur nei vincoli di bilancio, altri modi per fare quadrare i conti senza devastare la vita della parte più debole del paese, ma questi sono inibiti al governo dalla rappresentanza sociale che esso incarna. Sicché ogni riferimento all'equità appare una irridente manifestazione di pubblicità ingannevole. Gli alti redditi, le pensioni d'oro, i profitti, i grandi patrimoni mobiliari e immobiliari, le grandi rendite finanziarie, gli stessi proventi dell'evasione fuggiti nei forzieri dei paradisi fiscali devono potere correre liberamente perché più forte è la diseguaglianza e più il motore dell'economia viene stimolato: ecco il secondo pilastro del castello ideologico montiano.
Quanto all'economia “reale”, i tecnocrati asserviti all'alta finanza sono totalmente guadagnati all'idea che lo stato, la “mano visibile”, non deve fare assolutamente nulla, come i vati del liberismo più radicale, da von Hayek a Milton Friedman, hanno loro insegnato. I Marchionne e i Riva di tutta Italia possono stare tranquilli: a loro non verrà chiesto mai nulla. I lavoratori della Carbonsulcis, dell'Alcoa, della Italcementi e quanti oggi in ogni parte del paese si arrampicano su una gru in disperata ricerca d'ascolto, al pari degli studenti che lottano per difendere la scuola pubblica, devono sapere che dal governo non avranno alcuna attenzione (se non quella che riserva loro la polizia) e, men che meno, risposte.
Per Monti e compagnia spetta al mercato e solo ad esso, attraverso un'ancor più spinta privatizzazione – ecco il terzo pilastro - selezionare le imprese destinate a sopravvivere. I concetti stessi di politica economica, di politica industriale sono per gli spin doctors bocconiani pure astruserie retoriche: contano solo gli spiriti animali, il resto – bisognerà rendersene conto – è per loro pura chicchiera, retaggio socialisteggiante di un'epoca tramontata e sepolta.
Questi ineffabili condottieri, però, portano il paese al disastro, economico e sociale. E all'eutanasia della democrazia.
E' infatti evidente che in fondo a quella strada non c'è nessuna salvezza e che la recessione si avviterà, lungo il crinale scosceso che sta distruggendo la Grecia. Allora verranno altri guai e si renderanno necessari altri tagli, finché ci sarà polpa, e poi si raschierà sull'osso.
Dovrebbe essere evidente che costoro devono essere fermati: loro e chi per convinzione o subalternità culturale ne sta assecondando le gesta. Prima di tutto impegnando ogni energia nella promozione della mobilitazione sociale: guai se perdura ancora questa bonaccia nella quale tutti i giochi sono affidati ai balletti della politica politicante, dove nulla di serio – tranne le manovre di ceti politici fra loro intercambiabili – succede davvero.
Ci sono, in questo scorcio d'autunno, tre appuntamenti importanti: lo sciopero degli studenti del 12 ottobre, la manifestazione indetta dalla Cgil contro la manovra economica e sociale del governo fissata per il 20 e, a seguire, quella del 27 che riunisce le forze, le soggettività, i movimenti che propongono un'alternativa radicale non soltanto a Monti, ma anche al “montismo”, penetrato come un'infezione in quel centrosinistra che ora si candida a governare nella traiettoria tracciata dall'uomo della Goldman Sachs.
E poi c'è la campagna referendaria per ripristinare l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori; per ridare efficacia al contratto nazionale di lavoro che con l'articolo 8 Berlusconi e Monti hanno voluto minare nelle fondamenta; per ripristinare le pensioni di anzianità liquidate con un colpo di spugna dalla riforma Fornero; per mettere un argine alla dilagante precarietà che, di manomissione in manomissione, ha negato ad intere generazioni diritti, dignità e futuro; per ridurre al giusto gli spettacolari emolumenti di parlamentari e consiglieri regionali e per ridare dignità ad una politica altrimenti degenerata a strumento di arricchimento personale.
Questo dobbiamo fare. Subito. Mobilitando ogni nostra energia in ogni angolo del paese. E facendo di questa campagna l'ordito di una tessitura politica capace di proporre una strada nuova.