di Manuele Bonaccorsi
«Governo tecnico e forconi? Due facce della stessa medaglia. Da un lato ci sono interessi parziali che non riescono a diventare generali. Dall'altro istituzioni che non hanno rappresentanza. In ambedue i casi manca la politica. Nella battaglia dei forconi non c'è nulla di specificatamente siciliano. Questa è l'Italia di oggi. La Sicilia, semplicemente, esprime i problemi del Paese in maniera estrema». Salvatore Lupo è uno dei più noti intellettuali dell'isola.
Storico, ordinario all'università di Palermo, dopo aver studiato le vicende siciliane, si è occupato delle grandi questioni della storia politica nazionale: il fascismo e il sistema dei partiti.
Professore Lupo, in uno dei siti del movimento dei forconi c'è questo slogan: «Apolitici e apartitici: siamo siciliani!».
Si spaccia l'essere siciliani come appartenenza politica. Nulla di nuovo, fa parte di ogni piccolo nazionalismo, anche Bossi e compagni diranno che basta essere del Nord per essere leghisti. In realtà siamo davanti a un fenomeno più piccolo, basato su micro interessi di gruppo. Tra l'altro, dalla lettura delle varie dichiarazioni di questo movimento, non sono ancora riuscito a capire cosa vogliano esattamente. Ed è cosa ben strana: un movimento che non palesa i propri obiettivi.
Gli organizzatori ribattono: siamo un movimento democratico e popolare.
Cos'è la democrazia? Occupare le strade? Scendere in piazza e dire "noi siamo bravi, loro cattivi", "noi onesti e loro corrotti"? I forconi sono solo la dimostrazione che si può bloccare l'economia siciliana senza alcun problema, accreditando l'idea che qui nessuno vive di lavoro. Quando i blocchi sono arrivati "in Italia", dopo mezza giornata li hanno sciolti. Qui sono durati una settimana, senza che nessuno intervenisse.
Si dice che ci siano pezzi di politica siciliana dentro.
Certo, c'è un lato politico. Il movimento nasce su piccole rivendicazioni di gruppo, tutte basate sull'idea di una Sicilia oppressa. Ed è proprio questa idea che collega il movimento all'Mpa del governatore Raffaele Lombardo. È la solita lagna buona per tutte le stagioni. Anche se la rivendicazione dei propri interessi, come accaduto in questo caso, mette in dubbio gli interessi degli altri siciliani. Questo sicilianismo si incontra diverse volte nella storia. Specialmente quando manca un punto intermedio tra gli interessi particolari e quelli generali. E succede che a gridare slogan contro la politica siano spesso gli stessi esponenti politici.
Il Pd in Sicilia è diviso tra chi sostiene Lombardo e chi no. E a Palermo, le primarie sono finite in una bagarre. Cosa accade all'interno di questa forza politica?
La definizione è sbagliata, il Pd non è una forza, è una debolezza. In Sicilia si basa su una serie di piccoli potentati autoreferenziali. Che difatti vanno alla coda di chi, come Lombardo, su questa materia ha un certo know how. Lo inseguono nel suo campo, e poi si dividono tra chi vuole appoggiarlo e chi no. Come dibattito politico è poca cosa.
Il Pd come l'Mpa? Un partito di notabili? Sì, anche il Pd è formato da notabili. Sfrutta la ricaduta della politica nazionale e ripropone il vecchio sicilianismo. Lo faceva anche il Pci, d'altronde. Si fa un discorso regionale per trovare di spazio, proprio come fa Gianfranco Miccichè.
Per il presidente di Confindustria Sicilia, Lo Bello, il movimento è infiltrato dalla mafia. C'entra poco o nulla la mafia. E criminalizzare il movimento equivale a mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi. Il problema è diverso: da un lato ci sono soggetti sociali che rivendicano interessi particolari, che non riescono mai a diventare generali; dall'altro ci sono riforme, che non hanno referenti sociali. C'è un baratro tra istituzioni e società: è il vuoto della politica.
Il governo è in grado di colmarlo?
Non credo. Non voglio mettere in croce la soluzione tecnocratica. Che forse è l'unica disponibile ed è la diretta conseguenza dell'annichilimento dei partiti. Oggi non c'è un Parlamento capace di rappresentanza, non abbiamo forti associazioni di categoria. Ma siccome il gioco degli interessi deve comunque esprimesi, assume la forma delle rivendicazioni locali. Serve una rifondazione della democrazia per colmare questo gap di rappresentanza.
Si unisce a chi vede rischi per la democrazia?
Quale democrazia? Intendiamoci, qui ha governato Berlusconi, ora governa la Bocconi, in ambedue i casi senza un vero Parlamento. E poi non siamo più nella guerra fredda, non rischiamo certo un golpe. Casomai dobbiamo temere la situazione della finanza pubblica. Non è molto diverso da quel che accade in Europa, tutto il continente vive la crisi della politica. Solo che in Italia questa crisi si esprime nella sua forma peggiore. E dentro l'Italia assume la sua forma peggiore in Sicilia.
Proprio per questo, per evitare il tracollo economico, è nato il governo Monti.
Non nascondo che esista un problema economico grave, destinato a peggiorare in assenza di credibili progetti di sviluppo. Ma non mi si venga a dire che lo sviluppo è liberalizzare i taxi. Certo, qualche cliente potrà risparmiare un po', ma non si produce così un aumento del 10 per cento del Pil. Né si può dire che le liberalizzazioni perseguono un fantomatico interesse generale.
Come uscire da questo empasse?
Serve un Parlamento che non violenti la rappresentanza dei cittadini, una legge elettorale che non annulli la dialettica politica. Basta ai premi di maggioranza. L'Italia deve ricostruire un tessuto democratico, al di fuori di soluzione emergenziali.
Propone un ritorno alla Prima Repubblica?
L'uscita dalla Prima Repubblica si basò su reazioni scomposte e dicotomiche: no ai partiti sì all'impresa, viva i magistrati abbasso i magistrati, viva la società civile abbasso la politica. Siamo ancora allo stesso punto, siamo rimasti fermi al '93. Anche i problemi sono gli stessi: legge elettorale, federalismo, conti pubblici, crisi dei partiti. Il nuovismo degli ultimi vent'anni non ci ha portato da nessuna parte. Anzi, ci ha reso la vita impossibile. Io lavoro all'università, negli ultimi anni ci hanno inflitto 5 riforme. Mettiamo anche fossero state buone. Beh, sono troppe. Non si può vivere in questo modo.
Roma, 31 Gennaio 2012