di Bruno Steri
Con l'indicazione, per il quarto trimestre 2011, della flessione congiunturale del prodotto interno lordo (il Pil cala dello 0,7% rispetto al trimestre precedente) l'Istat conferma
una tendenza peraltro già nota e sancisce per il nostro Paese una congiuntura di "recessione tecnica". Va indietro il Pil e arretrano i consumi degli italiani: ad esempio i consumi agro-alimentari, che si attestano al di sotto di quelli per benzina e trasporti, precipitando al livello dei primi anni 80. Si spende meno: gli spiccioli nel salvadanaio delle famiglie (meglio: del 90% delle famiglie) vanno drasticamente riducendosi e in molti devono risparmiare anche sulle spese essenziali.
In un simile contesto da allarme rosso, di cosa si occupa prioritariamente il governo? Del mercato del lavoro e dell'articolo 18. E perché? Per dare un taglio a due decenni di precarietà? Per estendere a tutti l'articolo 18? Pare proprio di no. Per farsi un'idea realistica del carattere prevalente che avrà il suddetto intervento, basta ricordare il recente ammonimento di Mario Draghi: fatevene una ragione, il Welfare europeo è obsoleto. Sta di fatto che l'attenzione dei media è oggi concentrata sul suddetto tema e sull'evolvere della relativa trattativa con le parti sociali. C'è chi, come il segretario del Pd, si dice "assolutamente fiducioso" e chi fiducioso non lo è per nulla: come Susanna Camusso, che sulla "riforma" degli ammortizzatori sociali registra passi indietro, individuando nella proposta del governo "una riduzione della copertura e nessun vantaggio sulla prestazione economica".
Tuttavia il punto non è neanche questo. Immaginiamo che Bersani guardi con trepidazione alla trattativa, essendo tra l'altro preoccupato per la tenuta del suo partito; e che il sindacato sia impegnato a contenere gli effetti pericolosamente negativi per il clima sociale del Paese prodotti dalle misure governative. Ma il vero scandalo è che in un contesto di conclamato trend recessivo, ci si occupi di mercato del lavoro: sulla base di un'impostazione neoliberista clamorosamente screditata dai fatti.
Di cosa ci si dovrebbe occupare, allora? Cediamo la parola ad un addetto ai lavori: occorrerebbe "innanzitutto un rapido intervento sul problema dei pagamenti della pubblica amministrazione (...); secondo, interventi per riaprire il flusso del credito bancario; terzo, investimenti concreti da parte dello Stato: ogni volta si parla di miliardi e miliardi fantomatici 'sbloccati' per le megaopere, ma già sarebbe importante che venissero finanziate adeguatamente operazioni 'piccole' ma strategiche e utili, come il recupero delle scuole, e il riassetto idrogeologico (...)"; così come sarebbero importanti "aiuti fiscali, ad esempio per le eco-ristrutturazioni degli immobili". A dire queste cose non è il solito comunista rompiscatole, ma Paolo Buzzetti, presidente dell'Ance (associazione dei costruttori): a conferma della sempre più forte sensazione che le attenzioni del governo e dei partiti di governo vadano in direzione opposta rispetto ai diffusi interessi materiali del Paese.
Roma, 13 Marzo 2012