di Elena Marisol Brandolini

Convocate da Comisiones Obreras (CC OO) e Unión General de Trabajadores (UGT), associazioni di cittadini e altri sindacati, tutti riuniti nella Cumbre Social, centinaia di migliaia di persone sono sfilate per le strade di Madrid sabato 15 di settembre, provenienti da tutta la Spagna, contro il governo conservatore di Mariano Rajoy, per chiedere la celebrazione di un referendum popolare sulle politiche economiche dell’Esecutivo spagnolo, che ledono diritti sociali e di cittadinanza.


La giornata è tipica del clima madrilegno: squillante, col cielo azzurro e il sole caldissimo, mitigato da un venticello di fine estate. Tutto attorno alla Plaça del Colón, dove confluiscono i diversi cortei che percorrono la capitale, è gremito di lavoratrici e lavoratori, disoccupati, anziani, donne e uomini che resistono nella crisi economica. Sullo striscione, dietro il palco, la scritta “Quieren arruinar el país. Hay que impedirlo” (Vogliono rovinare il paese. Bisogna impedirlo).



Sono venuti da tutte le zone della Spagna, spesso facendo un lungo viaggio su mezzi di trasporto non troppo comodi, come è nelle migliori tradizioni sindacali. Dalla Catalogna sono arrivati circa 10 mila persone, prevalentemente in pullman – 70 solo da parte di CC OO de Catalunya -, altri in treno, o in macchina.

Il viaggio da Barcellona è lungo, la partenza è per la mezzanotte del venerdì; viaggiamo come Paneacqua assieme alla collega del Manifesto e al collega della rivista della CGT francese, ospiti del pullman della CONC, la Comissió Obrera Nacional de Catalunya. E’ una buona occasione per discutere col segretario generale Joan Carles Gallego e gli altri dirigenti sindacali di temi che s’intrecciano necesariamente, quello del modello nazionale catalano e quello del modello di sviluppo economico e sociale. Sono tutti reduci dalla manifestazione di Barcellona dello scorso 11 settembre sull’indipendenza, nessuno ha certezze definitive, s’interrogano sul futuro, soppesando i problemi. Però hanno una convinzione: che così il sistema istituzionale non regge; e una preoccupazione: che il governo spagnolo non sia all’altezza di dare alcuna risposta credibile.

Sono in movimento i catalani e questo è evidente fin nella manifestazione del sabato, sfilando con i loro slogan e colori, “Sí, sí, sí: Catalunya ya està aquí”, scandiscono con orgoglio.



Alle 12, l’appuntamento al Colón prevede i comizi dei segretari generali di UGT, Cándido Méndez e Ignacio Fernández Toxo di CC OO. Denuncia Méndez che in Spagna si sta passando “dallo stato di diritto sociale allo stato di beneficienza” e allerta sul “principio di austerità autoritaria” che si va imponendo, con una deriva anti-sociale e il detreioramento della democrazia. “E’ il tempo di più politica e di restituire la parola ai cittadini”, afferma Toxo, a sostegno della richiesta di referendum sulle politiche economiche del governo; poi consegna all’Esecutivo Rajoy la chiave della messa in moto o meno dello strumento democratico rappresentato dallo sciopero generale.

Prima del comizio conclusivo, intervistiamo Fernandez Lezcano López, segretario nazionale e portavoce di CC OO, sul significato della manifestazione e sul futuro del movimento.

E’ un successo questa manifestazione. Perché tutte queste persone hanno risposto al vostro appello alla mobilitazione?

Credo che sia il risultato di un processo di malessere, indignazione, ribellione che la gente è andata accumulando in questi mesi, anni già, nel soffrire una politica di tagli che danneggia non solo i lavoratori e le lavoratrici – anche se incominciarono da loro con la riforma del mercato del lavoro – ma la gran parte degli spagnoli. Salvo le élite politiche e economiche, il resto dei cittadini, a qualunque gruppo sociale appartengano, è pregiudicato dalle misure del governo e in questo senso si può capire che il clamore sia unanime  e trasversale, attraversando i generi a generi, le età, i settori e le regioni di appartenenza.

Come pensate di convincere il governo spagnolo a cambiare politica economica se opera per decreto e non è interessato al dialogo sociale?

Consideriamo che il governo possa provare  a resistere a modificare le proprie politiche, facendosi scudo, come ha fatto finora, del risultato delle elezioni de 20 di novembre dello scorso anno. Però è vero che l’insieme delle azioni di protesta ne stanno indebolendo la resistenza e pensiamo prima o poi accuserà il colpo che sta venendo da questa mobilitazione di massa. Altra cosa è riuscire a cambiare radicalmente le loro politiche; però, anche in questo caso è necessario un accumulo di forze: non cambieranno al primo invito, né al secondo, sicuramente neppure al terzo, ma prima o poi sarà chiaro che la realtà con cui si è imbattuto il presidente del governo non è solo la realtà della gravità della situazione economica, ma la realtà di scontento sociale, che non può passare sotto silenzio.

Se la Spagna chiede all’Europa un piano di salvataggio totale, che effetto avrà questo sulle condizioni di vita delle persone che lavorano e sulle famiglie? Pensate possibile, per esempio, un nuovo intervento sulle pensioni?

Il timore che abbiamo, d’altra parte confermato da ciò che si è visto in Grecia, Irlanda e Portogallo, è che quel poco che ancora resta, come la  protezione per disoccupazione, anche se è stata già ritoccata, e le pensioni siano oggetto di tagli. E dal momento che si sono già oltrepassate tutte le linee rosse, quelle che ancora mancano sono riferite a questi due capitoli e questo sarebbe intollerabile.

Perché mettete tanta enfasi sull’elemento della trasparenza delle politiche del governo e sul diritto a decidere della popolazione?

Perché tutti si rendono conto che una situazione così grave come quella che stiamo soffrendo è oggettivamente un brodo di cultura per espressioni di carattere populista e, d’altra parte, vediamo come il governo per tacitare la contestazione stia assumendo caratteristiche autoritarie, fino al limite di considerare che i cittadini già si sono pronunciati nelle elezioni del 20 di novembre e che quindi fino alle prossime elezioni, non c’è bisogno che tornino a esprimersi. Ma non solo per questo, anche per come stanno governando, per l’assillo con cui il governo sta perseguendo le associazioni che manifestano il loro scontento nei confronti delle sue politiche. Bisogna capire che l’esigenza del referendum, oltre una mera questione di responsabilità  democratica, poiché il referendum è contemplato nella nostra costituzione, è anche un elemento di rigenerazione democratica che afferma che i cittadini che si sono pronunciati alle elezioni hanno diritto ad essere ascoltati durante tutta la legislatura e non necessariamente devono aspettare a che si convochino nuove elezioni generali. Perciò il referendum è un elemento di contestazione delle politiche che si stanno facendo, una questione di igiene democratica ed è anche un meccanismo di rivendicazione della democrazia.

 

paneacqua.info

 

 

 

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