di Roberta Fantozzi*

 

L’articolo di Guido Viale pubblicato ieri sul Manifesto solleva nodi di fondo sul “se” e il “come” del quarto polo e sugli scenari complessivi della politica in Italia ed in Europa. Vorrei affrontarli partendo da un’autodenuncia, quella di essere iscrivibile nella categoria dei dinosauri, in quanto parte della segreteria di un partito, nella fattispecie Rifondazione Comunista. Secondo alcuni probabilmente, i capofila dei dinosauri, combinando insieme l’essere partito e l’essere comunista, in coppia quanto di più d’antan possa darsi. Tuttavia su questo vorrei tornare più avanti, convinta come sono che si dovrebbe cercare di mettere in ordine i ragionamenti secondo una gerarchia di priorità, che per me ha, alla sua testa, tutt’altra urgenza. Un’urgenza che si riassume in una domanda. Quale sarà il rapporto tra politica e società in Italia tra qualche mese, compiuto il passaggio elettorale, nel mezzo di una crisi profondissima e in relazione alle dinamiche prevedibili del quadro politico, pur nelle fibrillazioni dei soggetti che compongono quel quadro?

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Nessuno si aspettava certo un'inversione di tendenza di questi tempi, ma i dati di bankitalia fanno comunque impressione.

Nel 2011 la crisi economica ha ridotto la ricchezza netta delle famiglie italiane del 3,4% in termini reali. Il dato aggregato era pari a circa 8.619 miliardi di euro, corrispondenti a circa 140 mila euro pro capite e 350 mila euro in media per famiglia. Significa che siamo tornati sui livelli di fine anni Novanta. Rispetto al 2007, quando la ricchezza raggiunse il suo valore massimo in termini reali, la riduzione è pari al 5,8%. Se confrontiamo questi dati con quelli degli altri paesi emerge che le famiglie italiane ancora mantengono «un'elevata ricchezza netta» e risultano «relativamente poco indebitate», con un ammontare dei debiti pari al 71% del reddito disponibile (in Francia e in Germania è di circa il 100%, negli Stati Uniti e in Giappone del 125%, in Canada del 150% e nel Regno Unito del 165%).

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di Fabio Sebastiani (controlacrisi.org)

 

Quattro referendum per ridare dignità al lavoro. Roberta Fantozzi, responsabile Lavoro del Prc illustra le ragioni dei referendum su art. 8, art. 18, pensioni. In cosa consiste la richiesta di abrogazione dell’articolo 8?

L’articolo 8 è una norma varata dall’ultima manovra del governo Berlusconi. Prevede che gli accordi aziendali possano derogare in peggio al contratto nazionale e alle leggi, su materie importantissime quali l'inquadramento delle lavoratrici e dei lavoratori, le mansioni, l'orario di lavoro, i contratti a termine ed in somministrazione, il regime degli appalti, le modalità di assunzione e la disciplina del rapporto di lavoro. L’articolo 8 è stato dettato da Marchionne con l’obiettivo di cancellare tanto il contratto nazionale, quanto l’intera legislazione a tutela del lavoro. E’ una norma di una gravità senza precedenti perché in sostanza vuole distruggere cinquant’anni di conquiste del movimento operaio. E’ il modello americano di relazioni industriali: quello in cui non ci sono condizioni minime di diritti e retribuzioni per tutti, ma ogni lavoratore è messo in competizione con l’altro, in una spirale al ribasso senza limiti in cui si rompe ogni solidarietà del mondo del lavoro. Oggi c’è una ragione in più per raccogliere le firme, arrivare al referendum e vincerlo.

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di Domenico Moro

Quest’anno Babbo Natale tirerà un brutto scherzetto ai lavoratori italiani. Secondo l’ufficio studi della Cgia di Mestre, un operaio con base imponibile di 20.600 euro si troverà la tredicesima decurtata di 21 euro. Un impiegato con reddito lordo annuo di 25.100 euro perderà 24 euro, e un capoufficio, con reddito di 49.500 euro, 46 euro. Per questa ragione la Cgia propone un taglio del 30% alla tassazione delle tredicesime, che lascerebbe 115 euro in più all’operaio, 130 all’impiegato e 315 al capoufficio.

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di Chiara Ricci

Eliminare sindacati e lavoratori scomodi non è una peculiarità della sola Fiat di Sergio Marchionne. Le ennesime, violentissime cariche di ieri mattina al polo logistico Le Mose di Piacenza, centro strategico per i distretti emiliani e l'area milanese, hanno fatto conoscere un'altra protesta anti discriminazione. Quella dei lavoratori delle cooperative di facchinaggio che lavorano in appalto nel gigantesco deposito-magazzino dell'Ikea, fornitore di punti vendita in mezzo continente. Per la multinazionale dell'arredamento non è una bella pubblicità. Per giunta le manganellate e i lacrimogeni, che da più di due settimane stanno scandendo le giornate davanti ai cancelli Ikea

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