di Antonello Patta*

Nell’anniversario della morte di Di Vittorio ringraziamo Marta Fana per aver ricordato la proposta di legge presentata il 14 maggio 1954 da Giuseppe di Vittorio, Teresa Noce, Vittorio Foa e tanti altri parlamentari comunisti e socialisti per la “fissazione di un minimo garantito per tutti i lavoratori”.

Una proposta che parla di noi e del nostro tempo quando nella relazione afferma che  “trova essenzialmente il suo fondamento nelle gravissime condizioni in cui versano centinaia di migliaia di lavoratori che pur sono regolarmente occupati”; e quando dopo aver  citato l’articolo 36 della Costituzione denuncia salari “che per la loro avvilente irrisorieta’ acquistano tutte le caratteristiche di veri e propri salari schiavisti” e che si hanno “situazioni di questa natura nonostante l’esistenza di contratti collettivi di lavoro e degli accordi interconfederali”. Oggi circa il 30% dei lavoratori è al di sotto dei 9 euro con salari da fame.

E’  al meglio di quella  grande tradizione operaia e sindacale e alla Costituzione che ci richiamiamo con alcune delle nostre proposte in difesa dei redditi e dei diritti dei lavoratori:

-Istituzione per legge di un salario minimo orario di nove euro per tutti i lavoratori,

-eliminazione del jobs act e di tutte le norme che producono precarietà, reintroduzione dell’articolo 18.

Il governo se vuole dare segni di cambiamento reale approvi leggi a favore di lavoratrici e lavoratori.

 *responsabile nazionale lavoro Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

Giuseppe Di Vittorio, il comunista, il sindacalista, il rivoluzionario (video convegno)

vari testi su Di Vittorio nella nostra biblioteca on line

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partecipateIl PRC sostiene la lotta delle aziende partecipate dal Comune di Roma che domani vedrà in sciopero praticamente tutte le organizzazioni sindacali, confederali e di base.
L’iniziativa nasce in risposta all’insostenibile situazione delle aziende partecipate del comune dove sono in discussione i livelli occupazionali, la garanzia dei servizi ai cittadini e l’esistenza stessa delle aziende.
Aziende che potrebbero essere il fiore all’occhiello della città e fornire servizi di qualità insieme a buona occupazione sono lasciate a se stesse, private di direttive e risorse con l’intenzione di procedere a processi di privatizzazione a vantaggio dei poteri economici in attesa di spartirsi le spoglie.
L’amministrazione capitolina, oltre a fare accordi che poi non rispetta, è stata ripetutamente inadempiente e, quando è intervenuta, ha prodotto danni anteponendo alle norme di una buona amministrazione la ricerca disperata di un recupero d’immagine ormai impossibile
Ai lavoratori in lotta la Giunta risponde inviando la polizia a sfondare con la forza i picchetti pacifici.
Il Prc è per il rilancio di una idea di municipalismo profondamente innovata in cui la partecipazione e il controllo democratico dei cittadini organizzati e dei lavoratori costituiscano la base per un rilancio di servizi pubblici di qualità sottratti alle logiche dei poteri e dei mercati.
Con questi intendimenti il Prc aderisce allo sciopero del 25 ottobre e sostiene le giuste rivendicazioni dei lavoratori delle partecipate.

Antonello Patta, Responsabile nazionale Lavoro PRC-SE
Vito Meloni, Segretario Federazione di Roma PRC-SE

whirl-44022 210x210La vicenda Whirlpool racconta la storia di un paese, l’Italia, e della devastazione del suo apparato produttivo per l’opera congiunta di politiche liberiste, Privatizzazioni delle industrie base del sistema italiano, ristrutturazioni e delocalizzazioni dentro le logiche di una globalizzazione in cui ha prevalso in tutto il mondo il modello “Export-Oriented”

E’ noto che il settore del “bianco” (lavatrici, frigoriferi) è stato tra gli artefici del boom industriale nei lontani anni ’50 e ’60 e tra i fattori trainanti del tentativo di industrializzazione al Sud.

C’era, però, un diverso modello di sviluppo, in cui il mercato interno aveva un suo peso, e l’Italia aveva un sistema ad economia mista con un rilevante settore pubblico dell’economia.
Il declino di questo settore ha cause in parte simili a quello di altri pezzi del nostro apparato industriale e, in parte, specifici.
Fino agli anni ’90 il nostro Paese nel campo dei “beni di consumo durevoli” aveva una posizione leader, giungendo a produrre il 45% degli elettrodomestici europei e ancora nel 2002 si producevano 30 milioni di pezzi. Oggi sono scesi al di sotto dei 10 milioni, pari a meno del 10% (per i dati citati si veda il SOLE-24 ORE del 9/10/2019).
Insomma, la crisi dello stabilimento napoletano non è un fulmine a ciel sereno, così come non lo è il fatto che le multinazionali chiudano anche stabilimenti attivi, perché con le delocalizzazioni cercano nuovi siti in zone dove possono ulteriormente massimizzare i propri profitti. Il quadro è aggravato dal fatto che le leadership politiche liberiste, ancora convinte della bontà delle dinamiche spontanee del mercato e dei profitti, volutamente rinunciano a politiche industriali che non siano i meri incentivi, rinunciando a un intervento pubblico diretto, l’unico nel contesto attuale in grado di invertire il trend della spoliazione dell’industria del Paese.
L’Italia è non solo è al di sotto della media – già bassa – dell’ Eurozona per gli investimenti pubblici ( il 2,2% del PIL contro il 2,7% europeo), ma diversamente da altri paesi non fa quanto necessario per difendere il proprio patrimoni industriale.
Pertanto, nel confermare la doverosa solidarietà ai lavoratori della Whirlpool e dell’indotto, è ancora una volta importante porre al centro una diversa politica economica che non porti alla desertificazione di interi territori ormai non soltanto meridionali.
Il Governo deve decidere finalmente di fare politiche industriali alla luce di un’idea di paese, e di società che mettano al primo posto l’ambiente e il territorio e la buona occupazione e su questa base intervenire per fermare la desertificazione produttiva che sta colpendo interi territori mettendo a rischi centinaia di migliaia di posti di lavoro. Le istituzioni locali e regionali debbono fare la loro parte: la Città Metropolitana di Napoli, ad esempio, ha precise competenze nel campo dello sviluppo economico. In altri territori (si vedano le Città Metropolitana di Bologna e Firenze) sono stati costituiti Tavoli metropolitani di salvaguardia del patrimonio produttivo o “unità di crisi” e, in tal senso, si sta muovendo la nostra Consigliera Metropolitana, Elena Coccia, con passi formali verso il Sindaco Metropolitano.
Infatti la gravità sociale della situazione richiede che tutte le Istituzioni evitino polemiche e teatrini: in ballo c’è il futuro produttivo della terza città d’Italia.

Le proposte in campo, a pochi giorni dalla chiusura del sito napoletano, sono ancora molto fumose, in realtà il Governo oscilla tra misteriose “azioni unilaterali” nei confronti della multinazionale e la prosecuzione, col decreto imprese, della strada degli incentivi, la Regione ha offerto una disponibilità di fondi fino a 20 milioni all’interno delle agevolazioni previste per le Zone Economiche Speciali (ZES), è vagamente comparsa anche l’ipotesi di applicazione della “legge Marcora”.

L’ impressione è che si voglia fare “ammuina” e di fronte a tanta voluta confusione acquista senso una richiesta d’intervento pubblico che non sia visto tanto come misura-tampone ma come avvio di una diversa politica economica che vada anche contro le direttive europee sugli “aiuti di Stato”.

Come Rifondazione Comunista, siamo impegnati nel sostegno alla lotta della Whirlpool, per l’occupazione e la salvaguardia del tessuto produttivo del nostro territorio con varie iniziative:

- adesione alla campagna “Napoli non molla”

- adesione e partecipazione allo sciopero generale dell’area napoletana previsto per il prossimo 31 ottobre contro la chiusura del sito di Via Argine e per un piano di sviluppo per il Mezzogiorno.

- attivo unitario delle forze della sinistra d’opposizione napoletana venerdì 8 novembre sui temi dell’occupazione e dell’economia del territorio

Antonello Patta responsabile nazionale lavoro del PRC
Rosario Marra segretario provinciale PRC Napoli

Rifondazione Comunista è al fianco dei lavoratori che domani venerdì 25 ottobre manifesteranno con cortei in diverse città italiane in occasione dello sciopero generale su cui sono mobilitati unitariamente diversi sindacati di base: Cub, Sgb, Si.Cobas, Usi, Adl.
E’ una mobilitazione sacrosanta di fronte a un governo che mantiene in vita le scelte neoliberiste antipopolari degli ultimi anni con le quali è stato colpito duramente il mondo del lavoro sul piano dei redditi, dell’occupazione e dei diritti; che non cancella il jobs act, la legge Fornero e i decreti sicurezza che criminalizzano le lotte; che nelle scelte fiscali favorisce tutte le rendite tranne i redditi da lavoro dipendente; che di fronte alle crisi industriali che colpiscono l’occupazione e mettono in discussione l’intero assetto produttivo del paese, continua a lasciare campo libero alle dinamiche spontanee dei mercati e dei profitti che stanno impoverendo sempre più la nostra economia; che promette una vergognosa mancia di 50 centesimi al mese per milioni di pensionati; che rinuncia a reperire le risorse necessarie per serie politiche sociali tassando le grandi ricchezze.
Rifondazione Comunista auspica da anni l’unificazione delle lotte di tutte le componenti in cui il neoliberismo ha diviso il frastagliato mondo del lavoro. Sosteniamo tutte le mobilitazioni della classe lavoratrice.
La piattaforma su cui è convocata questa giornata di lotta – aumento di salari e pensioni, riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, cancellazione della Fornero, investimenti per l’occupazione nella salvaguardia del territorio e la riconversione ecologica dell’economia, democrazia nei luoghi di lavoro, eliminazione dei decreti sicurezza – ci vede totalmente concordi. .
Per tutti questi motivi sosteniamo quindi convintamente questa giornata di lotta e invitiamo a partecipare alle manifestazioni previste nella giornata di domani.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale
Nello Patta, responsabile nazionale lavoro
Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

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Il movimento sviluppatosi con i Fridays for future contro tutte le emissioni che alterando gravemente il clima producono effetti devastanti sugli habitat, mettendo a rischio la stessa vita sul pianeta, suona come una critica mortale verso l’attuale modello di produzione, di relazioni sociali, di distribuzione e consumi che ha a suo fondamento il profitto. “Cambiare il sistema non il clima” appunto. Un sistema, quello capitalista, che nello stadio neoliberista ha accentuato i suoi caratteri distruttivi di risorse umane e ambientali con lo sfruttamento senza limiti dell’uomo e della natura, aumento a dismisura delle disuguaglianze, impoverimento di uomini e donne, devastazione di popoli e paesi, privazione del futuro delle nuove generazioni, nella spinta a una competitività di tutti contro tutti.

Dopo il movimento delle donne con le sue istanze di liberazione e uguaglianza anche questo straordinario movimento ci parla della necessità della lotta contro il capitalismo neoliberista in direzione di un nuovo modello di società che noi chiamiamo socialismo del XXI secolo.

A noi che pensiamo da tempo che sia necessario un processo rivoluzionario per fermare lo scivolamento progressivo dell’umanità verso la barbarie si presenta una nuova opportunità e una non facile sfida.

Ma c’è il rischio concreto, come è avvenuto in passato, che i grandi movimenti globali non riescano a tradurre il loro potenziale di cambiamento in lotte articolate contro le forme concrete che assumono il dominio, l’oppressione e la distruzione ambientale, con il risultato che le tante forme di resistenza che pure periodicamente si sviluppano contro la desertificazione industriale in difesa dell’occupazione, contro le privatizzazioni, contro le grandi opere in difesa del territorio, contro le varie forme d’inquinamento, per i diritti di tutte e tutti non si unifichino in un grande movimento unitario in grado di contrastare il neoliberismo e contrapporgli un altro modello di società.

Col risultato che si può ripetere quanto già visto in questi anni: le lotte vengono sconfitte e si accumula nuova sfiducia.

Le difficoltà a far crescere un grande movimento per il cambiamento sono da attribuire a molti fattori, in primo luogo alla disgregazione sociale prodotta dalle politiche neoliberiste cui si è accompagnata la penetrazione nel corpo sociale della competitività esasperata, dalla perdita di fiducia nell’azione collettiva che di fronte incertezza sul futuro producono chiusure e rancore. E pesa enormemente l’egemonia del pensiero unico, la rassegnazione rispetto alla possibilità stessa di un’alternativa di società. Per questo alle sofferenze sociali prodotte dal neoliberismo si risponde stando all’interno della concorrenza assunta come principio ordinatore delle relazioni sociali, fino al “prima noi” contro tutti gli altri.

Gioca anche un forte ruolo negativo la diffusione a piene mani da tutti gli apparati ideologici di sistema dell’idea che siamo di fronte alla scarsità e quindi occorre subordinare le richieste di diritti e migliori condizioni di esistenza alla disponibilità limitata di risorse economiche. Mentre invece come mostra la finanziaria in gestazione le risorse ci sarebbero, ma non si vogliono andare a prendere per una precisa scelta di classe.

Processi epocali dentro i quali ha avuto un peso determinante quella che è stata la prima e principale offensiva del neoliberismo contro la società: quella contro la classe lavoratrice, le lavoratrici e i lavoratori, i loro diritti, le protezioni sociali, il loro ruolo nei luoghi di lavoro, nella cultura e nei rapporti sociali e politici.

L’offensiva del capitale ha mutato profondamente il “cuore del sistema” sia nei suoi aspetti materiali, il meccanismo dello sfruttamento, sia nei suoi aspetti soggettivi, ideologici riproducendo insieme al controllo sul lavoro anche quello sulle menti.

La disarticolazione del mondo del lavoro in una moltitudine di figure lavorative, la compressione dei salari, la disoccupazione e la precarietà come condizione esistenziale di milioni di lavoratori, cresciute con l’eliminazione di fondamentali diritti acquisiti e la ripresa del controllo sul lavoro sono alla base dell’involuzione e della regressione sociale culturale e politica che stiamo vivendo. Sono queste le cause fondamentali, insieme ai rischi ambientali delle paure e dell’incertezza sul futuro che disorientano le persone e possono spingerle verso l’adesione a ricette reazionarie falsamente rassicuranti.

Allora un partito comunista non può non vedere come compito decisivo, la ripresa di iniziative nei luoghi e nei confronti del mondo del lavoro al fine di contribuire alla ripresa e all’estensione delle lotte contro la disoccupazione, la precarietà, i salari da poveri, la perdita di tutele e diritti.

Questo richiede obiettivi unificanti chiari come abbiamo cominciato a definire nel documento della direzione nazionale, ma soprattutto la messa a tema di una serie di analisi e pratiche con lo scopo di:

- rilanciare la costruzione di momenti di internità delle/i comuniste/i alle lotte delle molteplici figure di cui si compone il lavoro oggi,

- operare dovunque si sia collocati - sindacati, forme di autorganizzazione, attività mutualistiche - per l’unificazione dei movimenti e delle lotte e l’affermazione di un punto di vista di classe,

- riprendere il lavoro d’inchiesta per indagare la composizione di classe nelle sue componenti oggettive e soggettive come premessa indispensabile per la riunificazione della grande varietà di figure in cui il mondo del lavoro è stato disgregato,

- avviare una riflessione sull'intreccio tra riproduzione sociale caricata sulle spalle delle donne e il lavoro retribuito con le sue discriminazione di genere,

- mettere in rete il sapere di chi lavora e lotta e le competenze e le analisi prodotti da economisti, sociologi, storici critici che non hanno abbandonato un punto di vista di classe.

Senza una forte ripresa delle lotte per la dignità e i diritti del lavoro e nel lavoro, la costruzione delle convergenze sociali indispensabili per produrre grandi mobilitazioni in grado di contrastare il neoliberismo mancherà del suo tassello decisivo e così pure la prospettiva dell’alternativa. Mai come in questo momento si è sentita la mancanza di una sinistra di classe.

Con questo spirito a un mese dall’incarico ricevuto dalla direzione prende il via con l’incontro di giovedì 19 il nuovo dipartimento lavoro nazionale, con la piena consapevolezza della sproporzione tra i compiti da affrontare e le forze disponibili, ma con la serena determinazione di tante compagne e compagni che vogliono continuare a dirsi ed essere comuniste/i.

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro PRC-SE
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