di Antonello Patta -

Scenari. Il Def non utilizza le risorse per investire in assunzioni indispensabili per scuola, sanità,
servizi pubblici, ricerca con ricadute positive su pil, entrate fiscali e riduzione del debito
Il parlamento ratifica ancora una volta lo svuotamento del proprio ruolo approvando la risoluzione di maggioranza sulla nota di accompagnamento al Def, limitandosi a chiedere al governo generici impegni che non potranno essere assolti proprio in virtù del fatto che si è votato anche il rispetto delle compatibilità con gli obiettivi di finanza pubblica indicati nella Nadef 2021 In essa il governo ha fissato la scelta di ridurre il deficit del 2021 dall’11,8% programmato, e accettato in sede europea, al 9,4%, 2,4 punti in meno che valgono circa 43 miliardi di mancate spese che si sarebbero potuti aggiungere ai 22 miliardi ora disponibili.
SI È IN PRATICA deciso consapevolmente di mettere in competizione tra loro possibili destinazioni delle risorse, quali la rivalutazione delle pensioni in rapporto all’inflazione, un intervento più serio sulle bollette, il finanziamento del reddito di cittadinanza, la riforma delle pensioni, le spese per scuola, sanità e così via dicendo. Una scelta dunque che lascerà insoddisfatte molte aspettative che verranno messe a tacere col ritorno del refrain “I soldi non ci sono”.
Ma Draghi e il ministro delle finanze, oramai gli unici decisori delle politiche economiche del paese, non si sono fermati qui, ma sempre con il varo della Nadef (nota di adeguamento del decreto di economia e finanza) hanno ottenuto la ratifica della scelta, fatta col Def ad aprile, di fissare il deficit programmatico per il 2022 al 5,6%, un livello più basso di altri paesi europei col risultato di avere da un anno all’altro una riduzione delle risorse disponibili di circa 120 miliardi. Non si è voluto nemmeno tenerlo più alto come la Spagna che nel nostro caso avrebbe significato la disponibilità di ulteriori 36 miliardi.

Il governo in questo modo ha precostituito volutamente una condizione di scarsità delle risorse, che non era obbligata, e che determinerà una riduzione di spesa con conseguenze economiche e sociali gravissime, attuata senza che nel parlamento e sui media si siano alzate voci di dissenso ne dalla maggioranza né dall’opposizione.
AL CONTRARIO PARTITI al governo, giornali e tv a reti unificate sono così uniti nell’esaltazione enfatica di una ripresa economica e di un futuro di rilancio del paese resi possibili dalle qualità del presidente del consiglio da non valutare come avrebbero dovuto le conseguenze economiche negative leggibili lì nero su bianco nel documento votato: L’Italia nel 2023 avrà una crescita del Pil solo di 1,1% rispetto al 2019 anno prima della pandemia mentre nel mondo la crescita viaggerà a più 5,6% e in Europa intorno al +3% medio.

È impressionante che queste decisioni siano arrivate nonostante nel 2021 si sia potuto toccare con mano il fatto che il debito si riduce aumentando gli investimenti (non l’aveva detto anche Draghi?) e non come si è pervicacemente, e inutilmente fatto per decenni riducendo le spese. Grazie agli investimenti e alle spese apparentemente improduttive permesse da un deficit storico infatti nel 2021 si è avuta una crescita inattesa del 6% e il debito nazionale che nel documento di economia e finanza di aprile era stato previsto al 159, 8% si attesta nelle stime del governo di ottobre al 153,5%.
Non è difficile immaginare gli effetti positivi sul debito e sulla crescita futura se si fossero spesi tutti i miliardi in più di risorse disponibili.

Allora perché il governo non ha approfittato dell’inedita possibilità di confermare l’indebitamento del 2021 all’11,8% previsto e ha perseguito l’obiettivo del 9,4% ottenuto per due terzi attraverso una riduzione netta delle spese rispetto a quanto previsto in aprile? Perché di nuovo riducendo anche il deficit previsto per il 2022 sono state sprecate occasioni importanti per rimettere l’Italia su un percorso che avrebbe allineato la crescita a livelli europei e avviato il paese sulla strada di un risanamento duraturo dei conti pubblici?
PERCHÉ NON SI SONO utilizzate le risorse per investire nelle assunzioni indispensabili per rilanciare la scuola, la sanità, i servizi pubblici, la ricerca che com’è noto hanno immediate ricadute positive sul pil e quindi sulle entrate fiscali accelerando ulteriormente la riduzione del debito?
E non si dica che la colpa è dell’Europa. Il nostro presidente del consiglio, acclamato come il successore della Merkel, avrebbe potuto benissimo convincere, dati alla mano i partners della possibilità di ridurre il debito mantenendo la spesa pubblica a livelli più alti, almeno quanto altri paesi europei.

LA VERITÀ È CHE SIAMO, in tutta evidenza, di fronte a una linea ben precisa di Draghi e di questo governo che hanno scelto consapevolmente di anticipare di un anno, dal 2022 al 2021 la riproposizione di politiche di austerità e poi proseguire sulla stessa via con la riduzione esagerata del deficit del 2024 fissato al 3% e non per esempio, come sarebbe stato possibile, al 5 o al 6%. Ad aggravare il quadro dei conti pubblici futuri concorrono altri due scelte che vedono uniti i partiti al governo: in primo luogo un progetto di riforma fiscale che non solo non migliora, ma peggiora il sistema attuale, probabilmente spostando ancora una volta la distribuzione del carico fiscale a vantaggio delle aziende, dei ricchi e della speculazione immobiliare, si veda l’eliminazione dell’Irap, alla riforma del catasto, alla sottrazione alla base imponibile dell’Irpef di ricchezze soggette alle varie tasse piatte; in secondo luogo continua a esser negata qualsiasi intenzione di tassare le grandi ricchezze su qualsivoglia versante.
La spiegazione di tutto ciò pur tenendo conto anche dell’ideologia monetarista del banchiere Draghi, non può che essere trovata nella volontà di utilizzare l’argomento della scarsità di risorse a fini di disciplinamento sociale e di adeguamento di tutto il sistema ai principi dell’ordoliberismo.

TUTTE LE SCELTE del governo vanno in questa direzione: lo sblocco dei licenziamenti, la normalizzazione brunettiana della pubblica amministrazione, l’affidamento dell’Itavia a un discepolo di Marchionne, l’utilizzo dei fondi del recovery fund per ristrutturare il sistema produttivo aumentando la precarietà e il comando sul lavoro, la scelta di non intervenire positivamente su salari, occupazione e leggi della precarietà, il varo di una riforma sulla concorrenza destinata a privatizzare l’acqua e tutto ciò che di pubblico è rimasto, e si potrebbe continuare.
Si torna all’antico, si precostituisce artificialmente una condizione di risorse scarse, questa volta per responsabilità nazionale, per poi utilizzare a piene mani la narrazione che i soldi non ci sono al fine di mettere un freno alle rivendicazioni e alle lotte continuando così ad aprire spazi alle destre per alimentare la guerra tra poveri.

PRATO: OPERAI PICCHIATI CON MAZZE DA BASEBALL. NO AL FASCISMO AZIENDALE.
AGGRESSORI A PIEDE LIBERO: DOPO ADIL VOLETE UN ALTRO MORTO?
NEL 2021 SQUADRACCE CONTRO I LAVORATORI COME CENTO ANNI FA.

Due giorni fa, lunedì 11 ottobre, a Prato lavoratori della Dreamland in sciopero contro le condizioni di lavoro disumane imposte dall’azienda sono stati pestati da un manipolo di figuri armati di mazze da baseball e bastoni. Tra i lavoratori feriti uno versa in gravi condizioni e ci auguriamo possa riprendersi quanto prima.
Nella stessa azienda l’ispettorato del lavoro intervenuto dietro denuncia di uno dei lavoratori pestati aveva riscontrato gravissime irregolarità come lavoro nero, turni di 12/14 ore, mancanza di diritti e tutele.
È inconcepibile che nel 2021 un’azienda non solo possa continuare a produrre dopo sanzioni irrisorie, ma utilizzi squadracce di mazzieri contro i lavoratori che denunciano condizioni di sfruttamento che oltraggiano la dignità umana e sono frequentemente all’origine di incidenti e morti sul lavoro.
Fatto ancor più grave, ai limite dell’incredibile, è che la polizia presente abbia assistito all’arrivo del gruppo di picchiatori e al pestaggio senza nemmeno provare a intervenire per fermare l'aggressione.
A due giorni di distanza gli aggressori non sono stati ancora identificati e arrestati.
Il fatto allarmante è che non siamo di fronte a un caso isolato perché le dinamiche viste alla Dreamland sono le stesse di cui operai inermi sono stati recentemente vittime alla Fedex e alla Texprint.
Si ripetono episodi di aziende che fanno ricorso a mazzieri contro i lavoratori in lotta. Questo ritorno del fascismo aziendale va fermato.
Non è tollerabile quanto accaduto. A Prato c'è il far west e le istituzioni si girano dall'altra parte per non disturbare una filiera produttiva che si fonda sull'ipersfruttamento.
Dove sono il Prefetto e il Questore? Perchè i responsabili dell'aggressione non sono stati ancora arrestati?
Sembra di riprecipitare indietro a un secolo fa quando i manipoli fascisti al servizio di agrari e industriali imperversavano impunemente incendiando camere del lavoro e aggredendo lavoratori e lavoratrici in sciopero mentre le forze dell’ordine stavano a guardare.
Il governo è doppiamente colpevole. Per un verso lascia in vita leggi che producono precarietà e sfruttamento e mettono lavoratrici e lavoratori in condizioni tali di ricattabilità da indurli ad accettare condizioni di illegalità che confinano nel caso dei migranti nel lavoro schiavistico. Per l’altro non solo garantisce l’impunibilità sostanziale delle imprese mantenendo insufficienti le strutture e il personale addetto ai controlli e sanzioni inadeguate, ma interviene con la repressione, spesso brutale, delle lotte mentre tollera le squadre punitive dei padroni.
Questo governo come quelli che l’hanno preceduto considera bassi salari, precarietà, assenza di diritti, insicurezza nei luoghi di lavoro, repressione delle lotte condizioni indispensabili per la competitività delle imprese e intende continuare a farsi garante del primato dei profitti.
Poi quando ci scappa il morto come è accaduto al compagno del SiCobas Adil Belakhdim durante la vertenza FedEx, o le morti sul lavoro fanno notizia, tocca assistere alle farisaiche promesse dei rappresentanti del governo.

Cosa aspetta il governo a intervenire a Prato?

Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea

Per la prima volta l’11 febbraio si terrà uno sciopero nazionale convocato unitariamente da tutte le sigle del sindacalismo di base contro le politiche neoliberiste del governo e una ripresa costruita a suon di licenziamenti, ulteriore precarizzazione del lavoro, aumento dello sfruttamento e della devastazione sociale.

Sosteniamo l’iniziativa perché segna un primo passo verso l’unificazione e la generalizzazione delle lotte resa urgente dalla drammaticità della situazione economica e sociale e perché condividiamo pienamente i contenuti della piattaforma avanzata

La gestione della pandemia ha accentuato le conseguenze di trent’anni di attacco al lavoro e ai ceti popolari fatto di riduzione dei salari, aumento della precarietà tagli alla sanità, alla scuola, ai servizi e a tutte le protezioni sociali. L’aumento delle disuguaglianze, delle povertà e delle marginalità sociali fotografano una situazione sociale in grandissima sofferenza.

Il commissario dell’UE Draghi aveva l’occasione di utilizzare le risorse del Recovery fund per rafforzare il pubblico colmando le carenze enormi sia di personale che di strutture della scuola, della sanità e dei servizi, dare risposte positive ai temi della disoccupazione, dei bassi salari e delle pensioni da fame ora attaccati anche dalla ripresa del carovita, del bisogno di case popolari, delle disuguaglianze di genere, generazionali e territoriali.

Invece il governo non solo eroga valanghe di miliardi alle imprese per sostenere ristrutturazioni a spese dei lavoratori, ma, con lo sblocco dei licenziamenti, l’uscita dal contratto nazionale di Itavia, il mancato contrasto alle delocalizzazioni, l’affidamento a Brunetta della “riforma” della pubblica amministrazione mostra di voler completare l’adeguamento del sistema alle logiche del mercato e al primato dei profitti.

La volontà dei partiti al governo è resa chiarissima dal ritorno a politiche di austerità volutamente predeterminate con gli strumenti finanziari e con una riforma fiscale a somma zero per mettere in conflitto tra loro le domande di rivalutazione delle pensioni e dei salari rispetto al carovita, l’estensione degli ammortizzatori sociali, il reddito di cittadinanza, il bisogno di investimenti nella scuola, nella sanità e nei servizi.

È il momento della lotta! No al patto sociale di Draghi e Bonomi che serve solo a impedire la ripresa delle mobilitazioni per fermare le politiche neoliberiste e avviare una nuova fase di cambiamenti in direzione di un modello economico e sociale fondato sul lavoro e sulla cura delle persone e dell’ambiente.

Prima le persone non i profitti.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale
Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea

Care compagne e compagni,

Le lotte in corso, dalla Gkn alla Whirlpool ad Alitalia/Itavia riportano all'attenzione del Paese l'attacco all'occupazione e ai diritti dei lavoratori conseguenza delle politiche neoliberiste sostenute con lo sblocco dei licenziamenti, le ristrutturazioni a spese dei lavoratori e delle lavoratrici coi soldi pubblici, la non volontà di intervenire seriamente contro le delocalizzazioni.
Tutto ciò mentre con gli aumenti delle bollette e dei generi di prima necessità colpiscono duramente tutti gli strati popolari.
C'è la necessità impellente di intensificare e allargare le lotte. Lo sciopero dell'11 ottobre dei sindacati di base, una novità a cui guardare con attenzione, è un primo passo nella direzione giusta. È nostro compito intervenire dovunque, tra i lavoratori, nelle Rsu, nei sindacati col fine della generalizzazione delle lotte.

Utilizziamo la settimana che precede lo sciopero dell'11 per una campagna nazionale sui temi del lavoro e del caro vita.

In allegato, il volantino f/r.

Fraterni saluti

Maurizio Acerbo, segretario nazionale PRC-SE
Antonello Patta, segreteria nazionale, responsabile nazionale Lavoro PRC-SE

Vol f

Vol r

Ancora morti sul lavoro, è notizia di oggi quella di due operai rispettivamente di 46 e 42 anni morti intossicati all'interno del Campus dell'università Humanitas di Pieve (MI) mentre stavano caricando una cisterna di azoto liquido utilizzato nei laboratori dell'ateneo e per alimentare l'impianto antincendio.

Per i due lavoratori, che erano dipendenti della ditta "Autotrasporti Pe" di Costa Volpino che lavora in subappalto per la monzese "Sol Group spa", a nulla sono serviti i soccorsi, al caso lavorano i carabinieri e il personale dell'Ats di Milano per verificare se ci siano stati errori nella manovra o mancanze strutturali e l'area è stata messa sotto sequestro. L'ipotesi è omicidio colposo.

Da tempo denunciamo una gravissima mancanza di sicurezza sul lavoro causata, tra le altre cose, dai tagli ai fondi destinati agli enti proposti al controllo e alla vigilanza effettuati da tutti i governi che si sono susseguiti e dalla tolleranza verso il proliferare di esternalizzazioni appalti e subappalti dove la mancanza di condizioni di sicurezza è favorita dalla ricattabilità.

Ora siamo davvero nel mezzo di una strage che non può andare proseguire.

Non si può morire di lavoro, si investa seriamente in sistemi di sicurezza e di controllo e si perseguano realmente le aziende che, nel nome del profitto, non rispettano i protocolli.

Tutta Rifondazione Comunista si stringe ai colleghi, agli amici e alla famiglia dei due lavoratori morti ed esprime loro le più sentite condoglianze.

Basta morti!

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Fabrizio Baggi, segretario regionale Lombardia
Partito della Rifondazione Comunista / Sinistra Europea

Brunetta, il ministro nemico dei dipendenti pubblici, fa demagogia da quattro soldi offendendo la dignità di una categoria fondamentale di lavoratori.
Dichiarare che covid e smart working sono stati utilizzati dai dipendenti pubblici come alibi per non fare nulla non è accettabile da parte di un ministro che dovrebbe dimettersi. Il Brunetta- pensiero esplicitato da post apparsi sul sito del ministero della pubblica amministrazione è populismo indecente che merita solo pernacchie.
Non è una novità per Brunetta che già detto nel 2008 aveva definito i dpendenti pubblici fannulloni e furbetti; si è ripetuto in più occasioni quando ha parlato dei poliziotti come panzoni cinquantenni o delle impiegate per le quali il lavoro sarebbe stato un ammortizzatore sociale.
Il fatto gravissimo è che un simile personaggio sia stato messo da Draghi a fare il ministro della pubblica amministrazione.
Ma quello che sarebbe incredibile in un paese normale si spiega con l’obiettivo principale di Draghi, sancito nel Pnrr, di destrutturare ulteriormente la pubblica amministrazione.
E Brunetta non delude le aspettative dei liberisti nostrani intervenendo sulla contrattazione e la riorganizzazione del personale con l’utilizzo dei pochi soldi stanziati non per elevare la qualità e le professionalità di tutti, ma per premiare con soldi e ruoli di comando quella parte di dipendenti che accetterà le logiche competitive imposte.
Non di questo che ha bisogno il paese, come ha mostrato il covid falsificando in un colpo solo i dogmi delle logiche privatistiche e aziendalizzatrici che illudono di creare efficienza alimentando la competitività tra i/le dipendenti
E’ solo un fortissimo senso del pubblico e del bene comune che ha spinto medici e infermieri della sanità pubblica taglieggiata e privata di risorse a fare argine alla pandemia ed evitare catastrofi peggiori.
E’ su questo che occorre puntare: più risorse per un pubblico nuovo, depurato da degenerazioni del passato, che nella valorizzazione del personale e nel controllo dei cittadini e delle comunità locali ritrovi quello spirito di servizio pubblico che mette al primo posto i diritti e la cura delle persone.

Invece di fare demagogia si proceda a fare concorsi per immettere in tutto il settore pubblico energie giovani e nuove competenze e a reinternalizzare i servizi.

L'Italia ha 1 milione di dipendenti in meno rispetto alla media europea e un ministro di troppo.

Via il ministro della pubblica distruzione. Rispetto per chi lavora.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Antonello Patta, responsabile lavoro del Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea

Rifondazione Comunista è a fianco delle lavoratrici e dei lavoratori di Alitalia in lotta contro la protervia dell’amministratore delegato che ha nuovamente sbattuto la porta in faccia alle rappresentanze dei lavoratori e alle loro legittime richieste.
E’ inaccettabile l’arroganza con cui sono state respinte le sacrosante richieste di rispetto del contratto nazionale del settore, garanzie contro i licenziamenti, di un progressivo riassorbimento del personale anche attraverso il ritorno a una flotta sufficiente perché la nuova società possa avere un futuro degno di una compagnia nazionale.
E’ ancor più inaccettabile che un manager di una società di proprietà totalmente pubblica possa assumere scelte duramente antisindacali come quelle tenute a suo tempo dall’amministratore delegato della Fca Marchionne.
Anche per questo condividiamo appieno la denuncia da parte dei sindacati del comportamento del governo latitante e complice di questo attacco ai diritti di 10.500 lavoratrici e lavoratori.
Bene hanno fatto ieri le organizzazioni sindacali a occupare a oltranza i locali della società e ad indire la giornata di mobilitazione per oggi, con manifestazione a piazza San Silvestro, a sostegno della richiesta di un intervento immediato del governo.
Rifondazione Comunista sostiene con forza la giusta lotta delle
lavoratrici e lavoratori di Alitalia-Ita e invita tutte e tutti a sostenerla partecipando a tutte le iniziative dei prossimi giorni.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale
Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea

La decisione della Gkn di chiudere lo stabilimento di Campi Bisenzio e licenziare tutti i lavoratori è stata annullata. Lo ha stabilito il tribunale di Firenze accogliendo il ricorso della Fiom contro la multinazionale per comportamento antisindacale e dichiarando illegittima la brutale decisione di chiudere la fabbrica e licenziare i lavoratori senza nessun preavviso né confronto.

È una prima sconfitta del pensiero unico neoliberista, di quanti nell’economia e nella politica sostengono la totale libertà della finanza, delle imprese e del mercato nell’indifferenza più totale per il lavoro, i diritti, le economie dei territori.

La grande manifestazione nazionale promossa dal collettivo di fabbrica aveva già dato un fortissimo segnale non solo in difesa della GKN, ma contro la strage di lavoro e diritti cui si rischia di andare incontro se multinazionali e imprese saranno lasciate libere di delocalizzare o ristrutturare le aziende con soldi pubblici senza piani nazionali che mettano al primo posto il lavoro e la cura delle persone e dell’ambiente.

I due fatti, la scommessa vinta con la manifestazione di sabato e la decisione del tribunale, mettono ancor più a nudo la scandalosa latitanza del governo che dopo il colpevole sblocco dei licenziamenti ha saputo solo scrivere bozze di decreto sulle delocalizzazioni di cui è ignoto l’iter e già svuotate di ogni efficacia perché dettate in gran parte da Confindustria.

Cos’altro occorre perché il ministro del lavoro Orlando porti all’approvazione del parlamento una vera legge antidelocalizzazioni accogliendo la proposta nata dal basso nell’assemblea promossa dal collettivo della Gkn con i giuristi democratici?

Ora occorre il massimo impegno per continuare ed estendere la lotta a tutto il mondo del lavoro per costruire una grande opposizione alle politiche di questo governo, rimettere al centro il lavoro, i diritti e la cura delle persone e dell’ambiente.

Sosteniamo la proposta approvata dall’assemblea della Gkn, aderendo alla raccolta firme lanciata dal collettivo di fabbrica, da giuristi democratici e da noti accademici firmando la petizione a questo link.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale
Antonello Patta, responsabile lavoro
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea

Rifondazione Comunista con i lavoratori e le lavoratrici di Almaviva contro i licenziamenti

Rifondazione Comunista sostiene i lavoratori di Almaviva di Palermo in lotta per la salvaguardia del posto di lavoro contro la decisione di ITA di affidare il call center alla società internazionale Covisian in sostituzione di Almaviva senza rispettare la clausola sociale sulla prosecuzione del rapporto di lavoro.

Nell’’incontro tenutosi ieri tra i rappresentanti del ministro del lavoro, dei sindacati e delle aziende in causa sia Ita che Covisian hanno rifiutato di garantire il mantenimento dei livelli occupazionali attuali.

È gravissimo e inaccettabile che un’azienda pubblica come Ita, di proprietà al 100% del ministero del tesoro proceda con operazioni selvagge di questa natura contribuendo alla distruzione di posti di lavoro che in questo paese sembra diventato uno sport nazionale.

È intollerabile che il governo Draghi avalli un’operazione che non rispetta la legge che in caso di cambio d’appalto prevede il rispetto della clausola sociale, mettendo sul lastrico 621 lavoratori e lavoratrici e le loro famiglie.

Sosteniamo lo sciopero indetto per oggi 9 settembre dai sindacati confederali e siamo impegnati per il rilancio delle lotte per il lavoro e i diritti contro tutti i tentativi del governo e delle imprese di ristrutturare il sistema economico e produttivo ai danni dei lavoratori.

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro, Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

Sgomberato violentemente nella notte senza preavviso alcuno il presidio dei lavoratori della Texprint di Prato in sciopero della fame davanti al Comune per essere ricevuti dal Sindaco.
Dopo le violenze sulle persone e sulle cose condotta in stile che si addice allo squadrismo e non ai tutori dell’ordine di un paese democratico i lavoratori sono stati portati in questura e uno di loro, notizia gravissima dell’ultima ora, è stato tratto in arresto con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale; cosa inaccettabile riferendosi a persone aggredite violentemente nel sonno e trascinate scalze in questura.
I lavoratori di questa azienda con le loro lotte che durano da trecento giorni hanno fatto emergere situazioni di illegalità e sfruttamento che non dovrebbero avere diritto di cittadinanza in un paese civile. Sono indegni del ruolo che ricoprono rappresentanti delle istituzioni che invece di ringraziare i lavoratori e reprimere con tutti gli strumenti di legge le aziende che violano le leggi e riducono le persone a schiavi, utilizzano il pugno di ferro per reprimere i lavoratori e le loro lotte. Il sindaco e la giunta Pd dimostrano di stare dalla parte dei padroni come il loro partito che è nato per cancellare diritti dei lavoratori.
I lavoratori della Texprint hanno deciso di sospendere lo sciopero della fame inascoltato dalle istituzioni e preparano nuove forme di lotta. Nel frattempo hanno invitato tutte e tutti a sostenerli partecipando al presidio che terranno davanti al tribunale dove Abdou, il lavoratore arrestato sarà processato per direttissima.
Rifondazione Comunista esprime la propria solidarietà ai lavoratori colpiti e al Si Cobas, rinnova l’appello alle istituzioni ad assumersi le proprie responsabilità e si associa alle istanze regionali e provinciali del partito invitando i propri iscritti a partecipare al presidio di domani e sostenere le future iniziative.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Antonello Patta, responsabile lavoro del Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea

Nulla di fatto nell’incontro di ieri al ministero tra Gkn, sindacati e rappresentanze istituzionali interessate. La dirigenza della multinazionale mantiene la posizione arrogante della chiusura della fabbrica e del licenziamento di tutti i dipendenti, rifiutando perfino l’utilizzo delle 13 settimane di cassa integrazione messe a disposizione delle aziende con lo sblocco dei licenziamenti.
Riteniamo sacrosanta la posizione della Fiom di “non accettare nessuna soluzione che ruota intorno alla cassa integrazione per cessazione di attività perché ci sono tutte le condizioni ( come sostengono con forza i lavoratori del collettivo della fabbrica) per la continuità produttiva e occupazionale”.
Ma non aiutano sicuramente chi lotta per salvaguardare lavoro e produzioni gli arretramenti del governo sul decreto localizzazioni di fronte all’offensiva vergognosa di Confindustria, riportati con soddisfazione dal giornale dei padroni.
Si conferma ancora una volta la sudditanza di tutto lo schieramento politico al governo agli interessi dei padroni e l’assolutizzazione della libertà d’impresa anche quando questa lede gravemente diritti sociali e fondamentali principi costituzionali.
Solo un nuovo grande ciclo di lotte può invertire la continuazione e l’intensificazione delle politiche liberiste attuate con i soldi del Pnrr e aprire la strada a una nuova stagione in cui si rimettano al primo posto il lavoro, le persone, i diritti.
Concordiamo appieno sul fatto che fin che la multinazionale non ritirerà la pregiudiziale dei licenziamenti occorra rispondere all’arroganza con il rilancio della lotta e per questo invitiamo tutti i nostri iscritti a sostenere le iniziative organizzate in diverse città d’Italia dal collettivo della Gkn.

Maurizio Acerbo, Segretario nazionale
Antonello Patta, Responsabile nazionale lavoro
Partito della Rifondazione Comunista/ Sinistra Europea

"L'Economist ci informa che la principale priorità del candidato socialdemocratico alla cancelleria tedesca è l'aumento del salario minimo a 12 euro all'ora dagli attuali 9,60.
Negli Stati Uniti Bernie Sanders ha fatto inserire nel programma dell'amministrazione Biden l'aumento a 15 dollari orari per legge.
Solo in Italia non abbiamo un salario minimo fissato per legge.
La scusa sarebbe che abbiamo sempre demandato la materia alla contrattazione sindacale. Il caso della Germania dimostra che anche dove i sindacati sono molto forti è utile avere un salario minimo orario legale.
Perchè in Italia no?
Eppure nel nostro paese le basse retribuzioni e la giungla della precarizzazione pongono milioni di lavoratrici e lavoratori in una posizione di scarsissimo potere contrattuale.
Consideriamo incomprensibile la contrarietà di CGIL-CISL-UIL all'introduzione del salario minimo per legge. Più evidenti la contrarietà di Confindustria e dei partiti neoliberisti di centrodestra e centrosinistra.
Mentre distribuiscono miliardi su miliardi alle imprese il parlamento e il governo avrebbero il dovere morale di approvare una legge che fissi a 10 euro lordi il salario orario minimo nel nostro paese".

Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Antonello Patta, responsabile lavoro del Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea

Al tavolo convocato in pompa magna con tutte le parti sociali il ministro Orlando si è ripresentato con una proposta totalmente inadeguata, che mantiene l’impostazione inaccettabile delle linee guida e soprattutto senza nessuna cifra relativa alle durate, agli importi e al reperimento delle risorse; né sull’estensione della cassa integrazione né sui sussidi di disoccupazione
Il vizio principale, lo ribadiamo, risiede nell’impostazione di fondo della riforma esplicitata dall’ossimoro, universalismo differenziato, utilizzato nella presentazione per appropriarsi del primo termine positivo che poi viene negato col secondo.
Infatti non c’è nulla di universalistico nella proposta del ministro; anche dallo striminzito documento presentato ieri sembrano emergere sperequazioni di trattamento tra categorie, tipologie contrattuali e settori produttivi, sicuramente nella durata delle prestazioni, differenziata appunto in base alla dimensione delle aziende.
Così dopo aver approvato lo sblocco dei licenziamenti senza la riforma degli ammortizzatori sociali promessa per l’estate ci sono tutte le premesse perché si arrivi allo sblocco completo dei licenziamenti , previsto per il 31 ottobre, nelle identiche condizioni.
È non promette nulla di buono il rifiuto delle associazioni padronali, i cui dipendenti sono più a rischio, di farsi carico delle contribuzioni necessarie per estendere anche alle loro aziende gli ammortizzatori sociali.
Un grande rilancio delle lotte si conferma come unica strada per affermare i diritti e le tutele realmente universali che governo e padroni non intendono garantire.
Rifondazione C’è.

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Partito della Rifondazione Comunista / Sinistra Europea

Molti cittadini europei non possono fare nemmeno una settimana di vacanze. Anche così si manifesta in Europa la crescita delle disuguaglianze prodotta dalle politiche neoliberiste che hanno tagliato salari, pensioni e protezioni sociali.
E’ quanto emerge da un report della CES basato sull’elaborazione di dati Eurostat sui cittadini e lavoratori europei a rischio povertà secondo cui ben 35 milioni di europei, il 59,5% di quelli il cui reddito è sotto la soglia del rischio povertà, non possono permettersi nemmeno una settimana di vacanze all’anno fuori casa.
L’Italia occupa il primo posto di questa triste graduatoria con ben 7 milioni di persone seguita dalla Spagna con 4,7 milioni, la Germania con 4,3 milioni, la Francia con 3,6 milioni.
Non siamo sorpresi da questi dati avendo denunciato da tempo gli effetti delle feroci politiche neoliberiste degli ultimi decenni in termini di disoccupazione, precarietà, bassi salari, aumento delle povertà; i salari da fame in particolare sono responsabili del fatto che una percentuale enorme della popolazione italiana, ben il 27% è a rischio povertà.
Non siamo nemmeno sorpresi del fatto che mentre si enfatizzano come strumenti di distrazione di massa i risultati dei nostri atleti alle olimpiadi, questo primato da veri numeri venga fatto passare dal governo e dai media amici completamente sotto silenzio.
La Ces presenterà questi dati alla Commissione europea per chiedere che la Direttiva sui salari minimi in preparazione contenga l’indicazione che essi non siano inferiori al 50 per cento della media , in modo da togliere ben 24 milioni di lavoratori dal rischio povertà.
Sappiamo che spesso le Direttive Ue lasciano il tempo che trovano e che essendo i salari italiani tra i più bassi d’Europa una retribuzione media sarebbe comunque insufficiente, ma va colta l’occasione per aprire una grande discussione nel paese.
Siamo impegnati per un autunno di mobilitazioni in cui oltre alle lotte contro i licenziamenti, la precarietà, l’occupazione e la riduzione d’orario si rimetta al centro la richiesta di un salario minimo orario di 10 euro netti.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale
Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Partito della Rifondazione Comunista / Sinistra Europea

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