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di Daniele Cardetta
Professor Giacchè, il voto greco sembra aver fatto tirare un sospiro di sollievo all’establishment europeo. Pensa che la vittoria di Nuova Democrazia possa traghettare la Grecia verso acque più tranquille? E se avesse vinto Syriza crede che la Merkel e la troika avrebbero accettato di rivedere il memorandum?

“La mia risposta a entrambe le domande e’ negativa. La vittoria di Nuova Democrazia e’ la vittoria del partito che aveva truccato i conti in Grecia. Si continuerà col massacro sociale e con la conseguente depressione economica. I ricchi e gli evasori potranno dormire sonni tranquilli. A proposito, faccio sommessamente notare che l’ “europeista” Nuova Democrazia, appoggiata anche dalla Merkel (del resto al Parlamento europeo sono nello stesso raggruppamento, quello dei popolari), si guarda ben dal rimuovere dalla Costituzione ellenica la norma che prevede che gli armatori non paghino tasse sui profitti maturati all’estero (praticamente tutti: l’anno scorso ammontavano a 15,4 miliardi di euro…), mentre gli “antieuropeisti” di Syriza l’avevano messa nel loro programma. Chi e’ più rigoroso? E in ogni caso il memorandum non vedrà alcuna modifica sostanziale e le cose continueranno ad andare come sono andate sinora: cioè male. Per la Grecia e per l’Europa”.

Il Premio Nobel Krugman sostiene che Atene uscirà comunque dall’Euro. Lei è d’accordo o si sente di concedere maggiori speranze per il futuro?

“Penso che Krugman abbia ragione, e che purtroppo questo avverrà dopo ulteriori sofferenze inflitte al popolo greco. L’unica speranza e’ che l’opposizione a questo governo porti ad assetti politici diversi. E’ proprio l’appeasement ai diktat euro-tedeschi oggi la minaccia più grande. Per la Grecia e non solo. La verità e’ che nessuno in Europa fa niente per scoprire il bluff della Merkel, che guida lo Stato che più ha beneficiato dell’euro e più di tutti perderebbe se l’euro saltasse. Oggi i Tedeschi lucrano sulla crisi dell‘Eurozona (i loro titoli di Stato decennali sono all’1,5% – negativi in termini reali, visto che l’inflazione tedesca e’ al 2,1% – contro il nostro 5,8%: pensate al vantaggio per lo Stato e per le imprese tedesche in termini di costi di raccolta del capitale!), e scaricano tutto il costo dell’aggiustamento sugli Stati più deboli. Per fortuna il loro export verso i Paesi dell’Eurozona si sta inceppando proprio a causa delle misure di austerity che hanno imposto, e questo potrebbe indurre il governo tedesco a più miti consigli”.

Secondo molti osservatori, è stata sorprendente l’affermazione di Syriza. Qua da noi, molti leader politici della sinistra si sono complimentati con Tsipras. Addirittura Ferrero ha lanciato un appello affinchè si “faccia come in Grecia”. Cosa la sinistra italiana secondo lei dovrebbe imparare da quell’esperienza e quanto i contesti sono invece incomparabili?

“Una cosa che dovrebbe sicuramente imparare e’ che una forza di sinistra unita o almeno federata ha un enorme potenziale elettorale perché può evitare la dispersione del voto e rendere inefficaci le sirene del “voto utile”. Dovremmo pero’ uscire dalla logica per cui si rincorrono all’estero modelli sempre diversi. Questo modo di pensare ha un duplice difetto: da un lato, quello di non tener conto delle specificità (storiche, di composizione di classe, di legge elettorale) del nostro Paese; dall’altro, quello di costringere a precipitose ritirate e prese di distanza dai partiti ieri portati a modello quando da quelle parti le cose non vanno più tanto bene. Un tempo andava molto di moda la Linke, oggi perde voti e non se ne parla più. L’entusiasmo per il Front de Gauche e’ rapidamente scemato dopo il deludente risultato alle elezioni legislative. Credo che si debba invece avere il massimo rispetto per le forze che oggi in Europa si battono per un’Europa diversa, quali che siano le loro fortune elettorali. Senza pretendere di dare lezioni (e ovviamente senza farsene dare), ma cercando di costruire uno scambio di idee sui problemi comuni e iniziative di lotta coordinate. Imparando quello che c’è da imparare dalle esperienze altrui ma senza ricercare modelli”.

Giorni fa hanno destato polemiche le dichiarazioni del sottosegretario all’Economia Polillo, che ha sostenuto che per aumentare il Pil basterebbe una settimana di ferie in meno. Lei come ha reagito a questa affermazione? C’è un fondo di verità o si tratta di una semplice provocazione?

“Il sottosegretario Polillo non e’ nuovo a boutade del genere. Ma non e’ il solo a pensare sciocchezze di questo tipo. E’ ovvio che la produzione se si lavora anche la domenica aumenta. Ma c’è un piccolo problema: le cose, dopo averle prodotte, bisogna venderle. Altrimenti non ha senso produrle. E gli ultimi dati ci dicono che la produzione industriale e’ marcatamente in calo, perché a fronte di un aumento della produzione per l’estero ( +2,6%) quella per il mercato interno e’ crollata del 7% in un anno. Siccome questo avviene a causa delle politiche di austerity del governo Monyi, si dovrebbe dire al sottosegretario Polillo che per colpa del suo governo gli operai di molte imprese ormai non lavorano neppure nei giorni feriali. Prima ancora di pensare a farli lavorare la domenica, bisognerebbe preoccuparsi di questo”.
da articolotre.com

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