di Stefano Galieni

Con questa lunga intervista, il professor Bruno Amoroso, a suo tempo allievo di Federico Caffè, definisce gli aspetti di storia economica e di mutamenti geopolitici che hanno attraversato il pianeta negli ultimi cinquanta anni. Un testo ricco di spunti e di riflessioni che potrebbero innescare un interessante dibattito fra chi vuole guardare alla crisi attuale con una prospettiva di ampio respiro.

Il professor Bruno Amoroso è uno dei pochi intellettuali italiani che guarda alla crisi economica con lo sguardo ampio di chi è abituato ad osservare la complessità del pianeta. Sono passati tanti anni da quando, preconizzava uno scontro politico ed economico fra le potenze tradizionali e quelle emergenti, uno scontro che potrebbe anche tradursi in conflitto militare.

 

«Per spiegarmi debbo partire da alcune riflessioni attorno alla crisi. Stanno cambiando velocemente i rapporti fra i diversi sistemi economici che ridefiniscono anche la geopolitica del mondo. Nasceranno nuovi equilibri e si tratta insomma di capire quello che sarà il futuro. Tutto parte dal riconoscimento alla fine degli anni Sessanta, di quelli che sarebbero stati i limiti dello sviluppo conseguenti alla scarsità di risorse. Nasceva consapevolezza e molti fra tecnici e scienziati, non solo marxisti, cominciavano a pensare al futuro dell’umanità. Il sistema capitalistico funzionava basandosi sul profitto, un profitto che avrebbe creato nuova occupazione e maggiore produzione. Si legittimava l’espansione a livello globale. Questa capacità espansiva veniva messa a confronto con i livelli di consumo pro capite a livello energetico. Si definivano gli scenari di una serie di conflitti per l’accesso alle risorse».

Un dibattito attuale ancora oggi?
«Si, sui limiti dello sviluppo. La direzione delle nostre riflessioni era rivolta a come ripensare il modello, come uscire dal capitalismo, come garantire il benessere tenendo conto delle risorse. Si è cominciato a parlare di ambiente e di qualità della vita. Era un occasione storica per l’occidente. . Se avesse fatto una critica dei propri sistemi produttivi si poteva pensare una alternativa. Il dibattito si arenò e si scelse un'altra: quella di bloccare lo sviluppo degli altri. La popolazione mondiale, all’epoca di 4 miliardi, era in crescita e ha vinto quel meccanismo, che nasce negli anni Settanta e che chiamiamo globalizzazione. Si è arrestata anche l’espansione in Occidente, erodendo via via lo stato di benessere, diminuendo la diffusione del consumo di massa e limitandolo a gruppi ristretti della popolazione. Dagli anni Ottanta ci si chiude agli altri continenti, Africa, Asia e America Latina. Si crea quello che con un libro ho definito “Apartheid globale” e si seguita a controllare gli altri popoli utilizzando gli apparati militari. Si comincia ad utilizzare la loro mano d’opra a costo più basso diminuendo quantitativamente la classe operaia autoctona. Ma gli altri popoli se ne accorgono e reagiscono. Iniziano quelle che noi chiamiamo rivolte islamiche nel mondo arabo e soprattutto inizia a correre l’Asia, soprattutto la Cina. La Cina in 15 anni ha fatto quello che l’occidente ha realizzato in un secolo e mezzo».

Si apre una fase di conflitti in concomitanza con il crollo del blocco sovietico.
«Si il primo problema diviene quello di bloccare gli altri che cominciano a crescere. Dagli anni Settanta in poi si cominciano a dare botte a chi tenta di rialzarsi per conto proprio. Si gettano le basi per frantumare la Yugoslavia e poi via via si prende di mira l’Irak, e ci si confronta con le prime rivolte arabe per il controllo delle risorse. Si sfascia il medio oriente attraverso un nuovo tentativo di colonizzazione ancora in atto, trasformando rivolte sociali in guerre di religione. Ora toccherà all’Iran. Ma con l’Asia la situazione è diversa. Rendiamoci conto che da qui a dieci anni o la Cina viene fermata o si fa una seria autocritica e si partecipa al progresso economico e sociale dell’Asia. Ma si tratta di una autocritica di cui ancora non c’è traccia, si continua a guardare a certi Paesi come se fossero ancora sospesi fra barbarie e medioevo. Un errore anche della sinistra. Eppure noi siamo rimasti come europei, quattro gatti spelacchiati, potremmo divenire una struttura di servizio per quei popoli e invece si imbocca la strada che porta ad un conflitto. La Cina chiederà presto di assumere il ruolo istituzionale che oggi è degli Usa. Se continuiamo a dire che il nostro modo di vita non è negoziabile, se pensiamo ad una riforma delle istituzioni internazionali garantendo a certi paesi il solo ruolo di osservatori, significa che non abbiamo capito nulla. Significa che vogliamo riformare le istituzioni secondo il nostro modo di vedere le cose. Oggi il ruolo di Cina o Russia è quello di bloccare i nostri piani di colonizzazione. Se noi non ripensiamo il ruolo dell’occidente non ne usciamo. Le guerre in medio oriente sono in realtà rivolte alla Cina, per impedire la sua espansione. Siamo riusciti a trasformare il conflitto con l’islam in uno scontro fra sciiti e sunniti per fare in modo che la guerra contro l’Iran la combattano paesi come l’Arabia Saudita, alcuni emirati come il Qatar ecc… E in Italia tutto questo passa sotto silenzio. Qualche mese fa è uscito un piccolo articolo su un quotidiano, rispetto al fatto che la base americana di Sigonella sarebbe stata abbandonata. Da anni pensavamo di farla divenire una università euro mediterranea. Invece pochi giorni fa, in perfetto silenzio, Monti ha concluso un accordo con la Nato per farla divenire una base per droni, gli aerei utilizzati per omicidi mirati. Si vuole stabilire il controllo Nato su tutto il Medio Oriente da estendere fino alla Cina e non si può far finta di non sapere. Così si espone il Paese ad un rischio, a ritorsioni. Risultiamo solidali e complici in un piano imperiale che sta andando a rotoli da solo».

E perché accade questo?
«Ignoranza. Manca una analisi di quello che avviene in Asia, pensiamo ancora il mondo come una fotocopia dell’occidente e classifichiamo alcuni Paesi come governati dal capitalismo selvaggio e da dittature. Eppure dimentichiamo che sono gli Stati europei ad aver inventato le dittature, Hitler ha agito in Europa non in Cina. Invece forse accade qualcosa di diverso che dobbiamo comprendere. Lo stesso ragionamento vale per le “primavere arabe”. Si tratta di rivolte sostenute dall’islam e per noi sono inconcepibili rivolte etico religiose, non sappiamo leggerle, rischiamo di sostenere nuovi paesi che costituiranno un muro di cemento. Comunque si tratta di forze che determineranno un nuovo equilibrio mondiale. Noi siamo ancora presi dal discorso sull’euro, nel frattempo Cina e Giappone hanno stretto un accordo per togliere di mezzo il dollaro negli scambi asiatici fra le maggiori potenze. Anche il marxismo non ha compreso questi cambiamenti. Pensavamo di restare egemoni grazie alle tecnologie ma ora queste le hanno anche gli altri paesi. Neanche i droni saranno sufficienti a fermare la Cina. Sei mesi fa hanno deciso un piano di sviluppo per l’aeronautica che riguarderà certamente anche investimenti in campo militare. Nella costruzioni di nuove armi non c’è limite alla follia umana. La loro industria entrerà in concorrenza con quella statunitense e verranno realizzati strumenti offensivi terribili entro pochi anni. Anche la nostra sinistra continua a ragionare solo di diritti, a fare il tifo per chi teoricamente li rispetta di più e non ragioniamo su come cambiare le nostre istituzioni».

Uno scenario inquietante
« In realtà non è la prima volta che i rapporti mondiali si modificano. È ovvio che i rapporti monetari, cambiano con i rapporti internazionali fra gli stati. Pensiamo a quando dollaro e oro erano legati, Tutti organizzavano il proprio sistema a partire da questo. Nixon, se ricordo bene, decise lo sganciamento dall’oro e ci fu un periodo in cui si ricontrattarono i rapporti di cambio. Quando iniziò la formazione del sistema monetario europeo e poi del Serpente monetario, le cose cambiarono ancora. L’euro ha funzionato per 10 anni, ora purtroppo la Germania è divenuta troppo potente e bisogna riorganizzare i sistemi monetari come si è fatto nel secondo dopo guerra. Non si può restare insieme per difendere posizioni di privilegio. Questo vale anche per i rapporti internazionali, dobbiamo ridefinire radicalmente le istituzioni. Un altro esempio per capire come non si tratti di nulla di inedito: guardiamo la sterlina. Un tempo era moneta internazionale, con l’impero, ora non è più dominante ed è stata sostituita negli scambi dal dollaro. Capiterà anche al dollaro e semplicemente le persone non ne prenderanno più per gestire gli scambi. Non sarà la fine del mondo, si tratta di passaggi storici che andrebbero seguiti con giustizia, come dovremmo dire da sinistra».

Una sinistra che pare in forte ritardo
«Si, spaventoso. Soprattutto rispetto alla conoscenza dei paesi asiatici. Quando nacque il marxismo, il mondo occidentale, che comandava, pensava a quei popoli come barbari. Lo si pensava in Inghilterra e ne era convinto anche Marx. Non si poteva neanche immaginare che l’egemonia occidentale potesse essere messa in discussione. Oggi dovremmo cominciare a parlare di sistema pluralistico e multipolare in cui ogni paese deve avere pari dignità in base alle proprie dinamiche. Invece seguitiamo ad essere eurocentrici. Veltroni e Obama vanno a braccetto. Sul piano culturale e teorico questo è terribile. Alla sinistra istituzionale va bene così e si tratta di un modello mentale che vede lo sviluppo capitalista come parte fondante della cultura occidentale. E invece in altri paesi le cose funzionano in modo diverso, noi utilizziamo indicatori che in altri contesti non significano nulla e viceversa. Si tratta poi di criteri ipocriti che ad esempio non siamo in grado di applicare in Italia e pretendiamo di vedere applicati a Cuba».

Ce ne accorgiamo nel modo con cui sono accolti i migranti
«Non possediamo il concetto di intercultura. La nostra logica si basa sul miserabilismo e sull’integrazione. Ovvero sul fatto che chi arriva a lavorare qui faccia propri in toto quelli che definiamo nostri principi. Ma noi non siamo in grado di comprendere neanche la cultura statunitense. Ci accontentiamo di riconoscerci in quello che è scritto nella loro costituzione, così vicino ai dettami europei eppure lì c’è la pena di morte, esempi assurdi di comunitarismo anche di stampo religioso, modalità particolari per determinare i processi elettorali. Un substrato che dovremmo conoscere e invece ci chiudiamo e perdiamo».

Lo stesso concetto di Europa andrebbe rivisto?
«Il continente europeo è composto da entità diverse. Altiero Spinelli europeista ma comunista ( anche se questo è stato dimenticato) insieme ad altre menti forti confinate a Ventotene, ragionava su come fare ad uscire dalle guerre, a come costruire una società di pace, come trasformare la competizione in cooperazione fra popoli diversi che dovevano imparare a convivere, senza annullare gli Stati nazionali. Ma dopo 5 anni dalla fine del conflitto è iniziata la Guerra Fredda. In funzione di questa è stata riarmata l’economia tedesca e finanziata la sua ricostruzione. L’Europa si è militarizzata, è ridiventata competitiva, l’Occidente si è imposto come superiore. C’era un piano preciso, Berlino doveva diventare, in quanto divisa, una città splendida per dimostrare come il nostro modello fosse migliore di quello sovietico. Si è creata una Europa asimmetrica di cui hanno beneficiato soprattutto la Germania e i paesi del confine orientale. Si pensi a come le politiche agricole si siano trasferite da sud a nord. Il mercato unico ha garantito investimenti all’asse tedesco olandese per realizzare un Europa anti Urss. Col crollo del muro si è cementata questa condizione di squilibrio. La Germania si è riunificata e in Germania si sono costruite le istituzioni che contano ei centri di eccellenza, anche se oggi si fa finta che nulla sia successo».

E si arriva all’euro
«Ma dobbiamo ricordarci che l’euro non è la moneta europea. È una delle 11 monete in circolazione. Una situazione simile a quella che c’era con il serpente monetario dove i rapporti di cambio erano basati prima sul dollaro e poi sul marco tedesco. Ma si trattava quasi di un accorgimento tecnico. Oggi i 10 paesi che stanno fuori dalla “zona euro” stanno messi benino perché hanno rapporti di cambio fissi o flessibili ma mantengono una propria sovranità monetaria, decidono dei propri bilanci e delle proprie priorità di spesa e di investimento. Chi è dentro l’euro non può più decidere, siamo incardinati in parametri inaccettabili. Keynes oggi proporrebbe di tornare al serpente monetario e di ricontrattare i rapporti monetari chiederebbe di realizzare un fondo di solidarietà con cui i paesi ricchi possano sostenere i più poveri, come accadde dopo la seconda guerra mondiale. La mia teoria è un'altra, io non penso di tornare alle monete nazionali: i 17 paesi che utilizzano l’euro sono divisi fra una zona forte, concentrata in Germania e una diversa e indebolita che corrisponde al sud ma in parte comprende anche la Francia. Restiamo dentro l’euro ma ridiscutiamo per definire due aree due diversi euro con un rapporto di cambio che favorisca paesi più deboli e istituisca un fondo di solidarietà. La formula giusta sarebbe quella keyenesiana ma dobbiamo dirci una cosa. I borghesi non è che non capiscono e li si può convincere della fondatezza delle nostre opinioni. Fanno semplicemente un lavoro diverso, difendono i propri interessi . Io non penso ad un euro forte e a uno debole ma a due aree produttive diverse. Da economista dico che teoricamente si può fare, certo che ci sono aspetti politici che non analizziamo perché siamo presi dalla retorica dei diritti. Le leggi non modificano gli assetti produttivi, noi dobbiamo arrivare a ricontrattare su posizioni di forza e non ridurci, ogni singolo paese, a cercare di ottenere favori dalla Germania».

In quale maniera e con quali soggetti in campo?
«Se la si smettesse di condannare la Grecia, se i paesi del Sud Europa e i movimenti sociali che li attraversano si unissero attorno alla Grecia in un fronte comune potrebbero tutti insieme andare a dire due cose alla Merkel, parlando di mercato unico e di coesione sociale. Dovremmo dire: “cari amici ricontrattiamo rapporti di cambio e lasciateci la nostra sovranità ed in cambio lasciamo aperto il mercato unico e garantiamo la coesione sociale. Altrimenti chiudiamo il mercato unico”. La Germania sarebbe costretta a trattare, sarebbero messe a rischio le sue possibilità di esportazione. Finora ci si è arenati nel rapporto fra singoli Stati che hanno perso e perdono sempre più sovranità. Ci sarà comunque un crollo dell’euro: o escono i paesi deboli o la Germania. Bisogna noi avanzare una proposta politica per il blocco sociale sud europeo. Su questo la nostra sinistra ancora discute su come mettersi in relazione con i movimenti di protesta. Monti è appoggiato dal Pd perché ha contrattato con la Merkel, ma non può rinegoziare nulla da solo. In questo senso il contesto è cambiato. Negli anni del boom se non c’era il rischio del comunismo non ci sarebbe stato il welfare, oggi occorre ancora costruire un blocco sociale capace di confrontarsi per ridare sovranità politica ai popoli in cambio di una apertura condizionata dei mercati. In Grecia e in Spagna ci sono movimenti molto estesi, solo l’Italia non si muove. C’è stata la grande intuizione di occupare la piazza della Banca d’Italia ma poi le nostre sinistre che non avevano capito, hanno portato le proprie bandiere e hanno tentato di dirottare la protesta contro Berlusconi e la Gelmini e i ragazzi che erano in piazza da una settimana si sono giustamente incazzati La sinistra deve imparare ad offrire sponda a questi movimenti e non pensare solo a difendere i propri percorsi. Possiamo anche vincere dieci referendum ma poi non cambia nulla invece dobbiamo attrezzarci per sfondare, insieme, un grande muro»

 

 

 

 

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