Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione comunista – Federazione della Sinistra, dichiara:

«Monti che parla della fine del tunnel vicina è purtroppo l’ennesima menzogna del premier “tecnico” che “sobriamente” ci ha portato in questa recessione pazzesca: con le sue politiche neoliberiste che aggravano la crisi altro che tunnel, alla fine cadremo dritti dritti nel precipizio! La realtà è che le sue ricette hanno fallito: pur di fare il cameriere della Merkel e degli speculatori, il governo ha penalizzato pesantemente solo lavoratori e pensionati, con il conseguente crollo della domanda e dell’occupazione. Il numero record di persone disoccupate è un dato allarmante, contro il quale bisogna fare subito qualcosa: noi proponiamo l’istituzione di un reddito minimo garantito (pari a 600 euro al mese) e l’avvio di un piano pubblico di rilancio dell’occupazione, nel settore della riconversione ambientale, del riassetto idrogeologico e delle energie alternative, da finanziare con una tassa sui grandi patrimoni, il taglio delle spese militari, della Tav, il tetto a pensioni e redditi anche dei parlamentari, per cominciare. Insieme a movimenti, associazioni e altri partiti abbiamo aderito alla campagna per una proposta di legge di iniziativa popolare per l’istituzione del reddito minimo garantito, per informazioni e adesioni: www.redditogarantito.it».


Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione comunista – Federazione della sinistra, dichiara:

«La spending review è un’altra manovra recessiva targata Monti. Non c’è nulla per la crescita e l’occupazione. Quello che emerge è che ci saranno tagli sconsiderati alla spesa pubblica, che si ripercuoteranno drammaticamente sui servizi ai cittadini. I punti salienti riguardano infatti sanità e scuola: là dove bisognava investire, si decide invece di tagliare! Le risorse vanno trovate altrove: tassa sui grandi patrimoni e le rendite, tagli alle spese militari, alle grandi opere inutili come la Tav, tetto massimo di 5mila euro a tutte le pensioni e a tutti gli stipendi. E per gli esodati ci vuole una vera soluzione, non l’ennesima lotteria…».

di Felice Roberto Pizzuti

Aderisco all'appello contro il «furto d'informazione» pubblicato su il manifesto del 24 luglio.
A distanza di cinque anni dall'inizio della crisi si continua ad affrontarla con politiche che ripropongono la stessa visione economico-sociale che ha contribuito a determinarla; infatti la stanno aggravando.
Il più serio ostacolo al superamento della crisi è riassumibile nel persistente dominio dell'intreccio tra gli interessi materiali e le teorie legati al modello neoliberista che ha dominato negli ultimi tre decenni. Le crisi di carattere epocale prima o poi mettono in discussione anche il senso comune diffuso nell'opinione pubblica. Ma questi cambiamenti non sono semplici e il loro esito non è scontato.

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di Alberto Burgio, Mario Dogliani, Gianni Ferrara, Luciano Gallino, Giorgio Lunghini, Alfio Mastropaolo, Guido Rossi, Valentino Parlato

La politica è scontro d'interessi, e la gestione di questa crisi economica e sociale non fa eccezione. Ma una particolarità c'è, e configura, a nostro avviso, una grave lesione della democrazia.
Il modo in cui si parla della crisi costituisce una sistematica deformazione della realtà e una intollerabile sottrazione di informazioni a danno dell'opinione pubblica. Le scelte delle autorità comunitarie e dei governi europei, all'origine di un attacco alle condizioni di vita e di lavoro e ai diritti sociali delle popolazioni che non ha precedenti nel secondo dopoguerra, vengono rappresentate, non soltanto dalle forze politiche che le condividono (e ciò è comprensibile), ma anche dai maggiori mezzi d'informazione (ivi compreso il servizio pubblico), come comportamenti obbligati ("non-scelte"), immediatamente determinati da una crisi a sua volta raffigurata come conseguenza dell'eccessiva generosità dei livelli retributivi e dei sistemi pubblici di welfare.

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di Domenico Gallo

Se nella prima metà del secolo scorso un pubblico ministero avesse casualmente intercettato una comunicazione telefonica di Vittorio Emanuele III, indubbiamente ne sarebbe nato uno scandalo ed il Pubblico Ministero che all'epoca si chiamava Procuratore del Re, sarebbe stato destituito su due piedi. Nello Statuto albertino, infatti, non esisteva il concetto di indipendenza della magistratura e la giustizia era amministrata in nome del Re dai giudici che egli stesso istituiva (art.68). Poiché il Re riuniva nelle sue mani tutti i poteri dello Stato, egli era al di sopra dell'ordinamento. Infatti l'art. 4 dello Statuto recitava: «la persona del Re è sacra ed in violabile».

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