Un recente studio dell' università di Caen dimostra la tossicità del mais genetico prodotto dalla Monsanto denominato Nk603, con conseguenti danni al fegato, alterazione dei parametri ematici e produzione di cellule tumorali.
E il governo Monti che fa? Non prende posizione! Rispetto al mais Nk603 il ministro dell'Agricoltura si è limitato a coinvolgere il ministro della Salute. Il governo non prende posizione perché è l' emanazione diretta delle multinazionali, opera il massacro sociale e non riesce a garantire la salute dei cittadini.
Rifondazione comunista chiede la messa la bando degli OGM. Il governo faccia ricorso contro la decisione della comunità europea di consentire nel nostro paese le coltivazioni OGM da essa autorizzate. Chiediamo l’applicazione di una clausola di salvaguardia come hanno fatto già altri paesi europei come la Francia, l’Austria, l’Ungheria e la Grecia. Se sulla base di ricerche inerenti la salute dei cittadini c 'è il sospetto che un alimento OGM possa essere dannoso può essere vietato. Il governo Monti però non si vuole assumere tale responsabilità. Sarebbe un modo per tutelare i consumatori e l’ambiente un modo reale per tutelare i nostri prodotti di eccellenza che come si sa sono anche essi investiti dalla crisi mondiale che rischia di mettere il comparto agricolo totalmente nelle mani delle multinazionali.
Rosa Rinaldi, segreteria nazionale Prc
Giacomo Marchioni, responsabile nazionale Agricoltura Prc
L'articolo sulla votazione a Padova sulla fusione di Acegas Aps ed Hera (Idv e Sel hanno votato a favore, Rifondazione contro) è tratto da http://www.globalproject.info
Sette ore di mobilitazione intensa dentro e fuori il Consiglio Comunale hanno segnato la votazione sulla fusione di Acegas Aps ed Hera.
Dentro il Consiglio comunale decine di cittadini ed attivisti dei comitati hanno contestato, facendo sospendere il Consiglio comunale, prima al momento della decisione di bocciare la sospensiva della votazione, presentata dalla consigliera comunale di Rifondazione Daniele Ruffini e poi al grido di "vergogna" durante l'intervento del sindaco Zanonato prima delle dichiarazioni di voto volte a ratificare la fusione.
Fuori un presidio rumoroso e determinato, animato dal Centro Sociale Pedro, nonostante una carica della polizia, ha continuato a circondare Palazzo Moroni accompagnando con petardi e botti le dichiarazioni di voto a favore della fusione.
COMUNICATO STAMPA DELLA CELLULA DI FABBRICA DI RIFONDAZIONE COMUNISTA:
Il piano di interventi dell'ILVA presentato qualche giorno fa dal Presidente Ferrante (e bocciato dai custodi e dalla Procura, come c’era da aspettarsi) rappresenta tre passi indietro rispetto alla soluzione positiva della difficile situazione scaturita dal sequestro preventivo degli impianti dell'area a caldo dello stabilimento.
Il primo passo indietro è rappresentato dalla resistenza della proprietà nel recepire gli interventi individuati dai custodi come gli unici in grado di permettere il venir meno del dolo che – vogliamo ricordare, riguarda reati come il disastro ambientale (non propriamente cosette di second'ordine). Salta all'occhio infatti che, a titolo esemplificativo, tra le altre cose i custodi individuano la fermata per i rifacimenti degli altiforni 1 e 5, mentre la proprietà risponde inserendo nel suo piano gli AFO 1 e 2.
Il secondo passo indietro è rappresentato dal numero di zeri della cifra stanziata e in cui far rientrare gli interventi di miglioramento delle “performances ambientali” dello stabilimento. Lo spot Ilva fatto passare in TV qualche mese fa recitava: “hai mai misurato il nostro impegno?”; ebbene, la mole degli interventi da attuare per rimuovere gli elementi di pericolosità delle aree sottoposte a sequestro è tale che anche i semplici operai hanno chiaro che questo impegno, dal quale discende direttamente il loro futuro occupazionale, è largamente insufficiente. Non è un caso infatti che i tentativi di “mobilitazione” fatti partire dall'azienda attraverso la linea del comando abbiano sempre meno successo.
Il terzo passo indietro è la cosiddetta “facoltà d'uso”. I custodi hanno individuato, all'interno delle aree sottoposte a sequestro, due tipologie di interventi da attuare: il fermo col susseguente rifacimento e il cosiddetto “adeguamento”. Senza volere in nessun modo “interpretare” le decisioni dei custodi e della Procura possiamo dire che le riduzioni delle emissioni inquinanti nelle varie fasi della produzione possono essere raggiunte temporaneamente anche attraverso ottimizzazioni mirate delle pratiche operative e una riduzione e stabilizzazione dei ritmi produttivi, nel mentre che gli interventi strutturali di adeguamento vengono portati a termine. I tentativi degli avvocati dell'azienda di dare una lettura diversa del pronunciamento del Tribunale del Riesame è insieme forzosa e preoccupante.
Insomma, la proprietà e lo stesso Presidente Ferrante – che pure aveva dichiarato di voler agire in discontinuità con quanto fatto dalla dirigenza ILVA nel recente passato – continuano a voler ignorare la gravità della situazione. Di questo passo tale atteggiamento potrebbe provocare conseguenze irreparabili per la vita dello stabilimento e per la sicurezza occupazionale dei suoi addetti.
Rifondazione Comunista da tempo ribadisce che un altro modo di fare acciaio è possibile. Lo dimostrano importanti stabilimenti sparsi per l’Europa: si pensi al centro Thyssen Krupp di Duisburg (Germania), dove agli inizi degli anni 2000 sono state investite somme ingenti per ammodernare le parti più inquinanti del ciclo. I risultati non si sono fatti attendere: p. es., a seguito della sostituzione delle cokerie con modelli di nuova generazione le emissioni del cancerogeno più pericoloso, il benzo(a)pyrene, sono crollate ben al di sotto della soglia d’allarme di 1 nanogrammo/m³. In quello stesso stabilimento i lavoratori non sono costretti a respirare fumi tossici durante l’orario di lavoro.
Ma per ottenere risultati analoghi anche all’ILVA sono necessarie cifre ben superiori ai 400 milioni di Euro (in quattro anni) sventolati dal Presidente Ferrante! Solo per la costruzione delle nuove batterie di Duisburg la Thyssen Krupp ha speso, fra 2000 e 2003, 800 milioni di Euro!
Questo importante investimento è stato reso possibile anche dal fatto che nelle grandi fabbriche tedesche i rapporti fra azienda e lavoratori sono improntati al coinvolgimento di questi ultimi nelle decisioni strategiche.
Dunque la proprietà e la dirigenza ILVA farebbero bene a mutare complessivamente il loro atteggiamento: servono più risorse, un piano di investimenti che affronti i reali problemi ambientali dello stabilimento e un modo diverso di rapportarsi ai lavoratori. Questi non possono essere considerati ancora come oggetti da manovrare dentro i cancelli per ottenere i massimi profitti e fuori dai cancelli per fermare il necessario processo di ambientalizzazione. I lavoratori ILVA sono sempre più consapevoli del fatto che i Riva e i loro amministratori stanno giocando con la loro pelle due volte: facendo corrergli il rischio di procurarsi malattie gravi e ora anche mettendo a repentaglio il loro lavoro. Non c’è più tempo da perdere: Riva ha le possibilità economiche per risolvere il problema ma il suo impegno è insufficiente, esca i soldi necessari!
A poco più di un anno dalla grande vittoria referendaria del 12 e 13 giugno 2011 quando milioni di nostri concittadini si pronunciarono in maniera chiara e inequivocabile sulla ripubblicizzazione del servizio idrico integrato e la fuoriuscita dell’acqua dal mercato e dalle logiche di profitto, sulla cancellazione in tariffa della remunerazione del capitale investito dal gestore… ci ritroviamo quasi punto e a capo. Perché la progettata operazione di fusione, meglio, incorporazione della nordestina ACEGAS-APS nell’emiliano romagnola HERA, con la partecipazione della Cassa Depositi e Prestiti, rappresenta solo l’ultimo anello di una serie di provvedimenti (del governo Berlusconi prima, del governo Monti poi) tesi a svuotare la carica autenticamente democratica del risultato referendario, diretto a riportare acqua e servizi pubblici locali sotto il controllo diretto dei cittadini.