di Fabio Marcelli

L’elezione a presidente della Repubblica di Hugo Chavez, nel 1998 e l’approvazione della nuova Costituzione venezolana nel 1999 hanno certamente aperto una nuova era per il Venezuela e l’America Latina. Epoca segnata da importanti affermazioni dei diritti sociali e della partecipazione democratica. Fatto sta che mai come negli anni dal 1998 ad oggi in Venezuela si è votato per elezioni presidenziali, politiche, locali, referendum costituzionali e revocatori e sempre Chavez ne è uscito vittorioso, con l’unica eccezione del referendum del dicembre 2007, perso per un’incollatura, probabilmente perché prospettava, insieme alla rieleggibilità, una serie di modifiche di troppo ampia portata.

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di Roberta Fantozzi

La campagna referendaria che sta per iniziare ha con tutta evidenza un valore straordinario. Per almeno tre ordini di motivi.
Il primo riguarda il merito stretto delle questioni oggetto dei referendum.
Il secondo, il rapporto tra quel merito e la “politica politicante”: l’irruzione di nodi di tale rilevanza da scompaginare un gioco delle alleanze costruito “a prescindere” da programmi e contenuti.
Infine la possibilità che a partire dalla costruzione dei comitati per la raccolta delle firme, quei contenuti si incarnino in una nuova stagione di  protagonismo politico diffuso, che la partecipazione diventi parte di un processo “costituente” di uno spazio pubblico dell’alternativa.
Il merito delle questioni riguarda come è noto due atti politici dei governi Berlusconi prima e Monti poi, le cui conseguenze hanno una portata devastante sul modello sociale e i diritti del lavoro. Con il primo, l’approvazione dell’articolo 8 della manovra dell’agosto 2011, si sono poste le premesse per la cancellazione tanto del contratto collettivo nazionale quanto dell’intero complesso della legisazione a tutela del lavoro, rendendo contratto e leggi derogabili dalla contrattazione di secondo livello e dunque dall’accordo con qualsiasi sindacato di comodo a livello aziendale o territoriale. Una mostruosità giuridica chiave di volta del lungo attacco alla contrattazione collettiva e ai diritti del lavoro di Marchionne e Sacconi, viatico per l’importazione del modello americano di relazioni industriali, della balcanizzazione del mondo del lavoro attraverso la competizione azienda per azienda, in una spirale al ribasso senza fine di condizioni e diritti.

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di Alessandro Robecchi

I banchieri, gli imprenditori, i finanzieri, i geni dell'economia di mercato e gli altri guru del disastro riuniti al famoso Workshop Ambrosetti vorrebbero un governo Monti-bis. E' come se la vasca dei pescecani dell'acquario di Genova votasse «Lo squalo» per la nomination all'Oscar. Ora, io non so cosa vende esattamente l'Emporio Ambrosetti elegantemente allestito a Cernobbio. Probabilmente vende previsioni macroeconomiche sul futuro del mondo. Una merce piuttosto deperibile, a giudicare dalle previsioni passate. Basta scorrere la rassegna stampa delle ultime edizioni per farsi quattro risate: «Imprenditori e banchieri: torna l'ottimismo», titolava il Corriere nel 2010. E Il Sole 24 Ore nel 2009: «Ritorno alla crescita tra due anni». E Tremonti nel 2008: «Lo sviluppo è anche il nucleare».

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di Micaela Bongi

Il diretto interessato continua a svicolare, prima ribadisce, attraverso i suoi collaboratori di non volersi occupare della questione e che non desidera essere «tirato per la giacchetta». Poi ripete in prima persona che «il mio orizzonte finisce ad aprile 2013, nessun dubbio». Ma il Forum Ambrosetti di Cernobbio si conferma sempre più come l'appuntamento per il lancio del Monti-dopo-Monti.
Dopo il sondaggio tra gli imprenditori, all'80% pro Monti-bis, è direttamente il presidente della repubblica Giorgio Napolitano, artefice del governo dei «tecnici», a dettare tempi e modi in cui si dovrà arrivare, se non a una nuova investitura per il presidente del consiglio in carica (del resto lui stesso potrebbe davvero non desiderare il ritorno a palazzo Chigi nel 2013), a un governo che non si discosti di una virgola dalla famosa agenda del professore.

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di globalist.it

Se non è scomunica, poco ci manca. Perché la tesi comparsa sul blog ufficiale del fondatore del M5s è scritta con il manganello: un finto scoop e un fuorionda concordato per motivi di interesse politico, avvicinandosi il termine della seconda legislatura per il consigliere regionale Giovanni Favia: questo il sospetto avanzato in un post pubblicato sul blog di Beppe Grillo a firma del giornalista free-lance Maurizio Ottomano. La tesi prende spunto dalle polemiche nate dal fuorionda choc carpito al grillino eletto in Emilia Romagna, Giovanni Favia, e trasmesso durante la trasmissione "Piazzapulita" di La7 in cui si denunciava la mancanza di democrazia nel Movimento lamentando la gestione padronale del suo fondatore e del guru Gianroberto Casaleggio.

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