di Christian Elia

”Il popolo dell’acqua torna in piazza. Lo fa per l’attuazione del risultato referendario, per la riappropriazione sociale e la tutela dell’acqua e dei beni comuni, per la pace, i diritti e la democrazia, per un’alternativa alle politiche d’austerità del Governo e dell’Europa”, recita il comunicato del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua.

Mentre impazza la polemica sulla parata militare del 2 giugno, che molti chiedevano fosse sospesa per devolvere il budget ai terremotati dell’Emilia, il movimento che si è battuto per l’acqua bene comune decide di celebrare la nascita della Repubblica italiana tornando in piazza e chiedendo che il valore più grande ereditato dalla Resistenza, la sovranità popolare, non finisca dimenticata. E’ un rischio che si corre?

”Ad un anno dalla straordinaria vittoria referendaria, costruita da una partecipazione sociale senza precedenti, il Governo Monti e i poteri forti si ostinano a non riconoscerne i risultati e preparano nuove normative per consegnare definitivamente la gestione dell’acqua agli interessi dei privati – continua la nota – in particolare costruendo un nuovo sistema tariffario che continua a garantire i profitti ai gestori. Il 2 giugno è da sempre la festa della Repubblica, ovvero della res publica, di ciò che a tutte e tutti appartiene. Una festa ormai da anni espropriata alle donne e agli uomini di questo Paese e trasformata in parata militare, come se quella fosse l’unica funzione rimasta ad un ‘pubblico’, che si vuole progressivamente consegnare agli interessi dei grandi gruppi bancari e dei mercati finanziari. Saremo in Piazza per affermare con convinzione che La Repubblica siamo noi, le donne e gli uomini che dentro la propria esperienza individuale e collettiva rivendicano una nuova democrazia partecipativa, dentro la quale tutte e tutti possano contribuire direttamente a costruire un diverso futuro per la presente e le future generazioni”.

Sono almeno due i casi che, dal referendum del 12 e 13 giugno 2011, hanno fatto gridare alla negazione della volontà popolare. Volontà, va detto, chiarissima. I primi due quesiti, quelli inerenti all’acqua pubblica, hanno ottenuto rispettivamente il 95,35 e il 95,8 per cento dei consensi, su una partecipazione al voto per al di là del 50 per cento degli aventi diritto. La volontà di più di venti milioni di italiani. Eppure non tutto fila per il verso giusto. In particolare a Roma e a Trento.

Il sindaco della capitale, Gianni Alemanno, si appresta a vendere il 21 per cento delle quote di Acea, l’azienda municipalizzata che gestisce i servizi di elettricità ed acqua, e la cui maggioranza delle quote (51 per cento) è in mano proprio al Comune di Roma. Comune, però, indebitato per 12,5 miliardi di euro. Ecco che Alemanno, in sprezzo dell’indicazione chiara dei cittadini, vende l’acqua per incassare subito. Più o meno, 200 milioni di euro. Di fronte alle polemiche, il primo cittadino romano si è difeso sostenendo che è l’esecutivo Monti a imporre agli enti locali di scendere al 30 per cento nelle partecipazioni di municipalizzate e simili. Solo che Alemanno non dice che il governo fissa il termine per questa operazione al 2015, non subito. E, soprattutto, il decreto liberalizzazioni di Monti, alla fine, lascia stare proprio acqua ed elettricità.

Il secondo caso è Trento. Il Trentino, per il referendum dello scorso anno, ha fatto registrare una delle percentuali di votanti fra le più alte d’Italia: quasi il 70 per cento. Metà delle utenze idriche della regione sono gestite attraverso i Comuni, mentre nell’altra metà della regione, con Trento, Rovereto e altri quindici comuni (in tutto circa 200mila abitanti), viene invece gestita da una società per azioni: la Dolomiti Reti. Controllata al 100 per cento dalla Dolomiti Energia, società mista pubblico-privata con dentro il Comune di Trento, quello di Rovereto, ma anche A2A (multiutility più ricca d’Italia), l’Isa (l’Istituto Atesino di Sviluppo, legato alla Curia trentina), una fondazione bancaria legata all’ex Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto.

Secondo i piani del Comune e della Provincia di Trento è prevista la revisione dell’accordo con la Dolomiti, solo che non è prevista la ripubblicizzazione dell’acqua sul modello di Napoli, ma la creazione di una nuova spa in house, cioè a totale partecipazione pubblica. La scelta non piace ai movimenti per l’acqua, che ritengono comunque l’operazione legata a logiche di profitto.

E non hanno tutti i torti: l’operazione legata alla nascita della nuova spa in house avrà un costo, solo per la città di Trento, di circa 42 milioni di euro. Questa la cifra che i cittadini trentini dovranno sborsare per riavere indietro, dalla Dolomiti Reti, l’acquedotto comunale. Ma se accade, con un esborso enorme per le asfittiche casse degli enti pubblici in Italia, per i movimenti deve avere per obiettivo la totale ripubblicizzazione dell’acqua.

 

 

 

 

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